Che rapporti avevano i profeti con il governo? Anche qui gli studiosi si dividono in concezioni opposte. Vediamole brevemente.
Secondo il Winckler (Die Keilischriften und das Alte Testament, pagg. 170-175), i grandi profeti sarebbero stati solo degli agenti al servizio della potenza assira. Ipotesi del tutto assurda, perché i profeti volevano e lottavano per il trionfo d’Israele, promettendo bene e felicità a condizione che ci fosse un mutamento di condotta e la fedeltà all’alleanza sinaitica.
Altri studiosi (come M. Buber in Das Glaube der Propheten) fanno una valutazione teologica che innesta il movimento profetico nella storia dell’alleanza: per costoro, i profeti sono i rivendicatori della maestà di Dio oltraggiata dalla nazione ebraica infedele. Si tratta quindi di veri messaggeri divini e non di semplici consiglieri politici che seguivano una visione di politica umana.
Kraus e van Rad ammettono l’esistenza anche di un’istituzione profetica aulica, i cui addetti avrebbero ricevuto l’investitura dal sovrano. Ci sarebbero state quindi due classi di profeti, di cui una costituita da ufficiali investiti dal re. I veri profeti, invece, erano chiamati direttamente da Dio. I falsi profeti cercavano di attuare il bene dello stato con mezzi puramente umani, mentre i veri profeti cercavano di indirizzare il popolo verso i futuri beni messianici. Questa non è soltanto un’ipotesi di alcuni studiosi. Nella Bibbia abbiamo un riscontro. I falsi profeti sono citati in Mic 3:5: “Così parla il Signore riguardo ai profeti che sviano il mio popolo e che gridano: ‘Pace!’ quando i loro denti hanno qualcosa da mangiare, ma dichiarano la guerra santa contro chi non mette nulla nella loro bocca”; in Ger 23:11: “’Profeti e sacerdoti sono empi, nella mia casa stessa ho trovato la loro malvagità’, dice il Signore”.
Per capire bene il vincolo tra politica e culto, va ricordato che a quel tempo questi due campi si identificavano. Yhvh è il re del suo popolo, mentre i re sono solo dei suoi rappresentanti. È Dio che dirige i sovrani mediante i profeti. I re compiono la loro missione se sono fedeli a Dio. Culto e sorte del popolo erano a quel tempo indissolubilmente connessi. Solo il rispetto della volontà divina poteva procurare benessere e prosperità.
Profetismo e socialismo
Alcuni moderni hanno voluto vedere nei profeti i precursori d’avanguardia del socialismo. Si tratta di letture parziali e superficiali di chi non conosce bene la materia e cerca solo di portare acqua al proprio mulino. Dalla Bibbia si può trarre tutto, se si isolano i versetti dal loro contesto e non si conosce l’ambito storico e culturale in cui furono scritti. Un ateo potrebbe perfino usare la Bibbia per dimostrare l’inesistenza di Dio citando Sl 14:1 in cui si legge: “Non c’è Dio”, ma il versetto completo dice: “Lo stolto ha detto in cuor suo: ‘Non c’è Dio’”, e farebbe così solo la figura dello stolto.
Se si riduce il socialismo alla denuncia degli abusi dei ricchi, in tal caso i profeti sono il più zelante esempio di questo aspetto. Basta leggere alcuni passi profetici per vedere come essi denunciarono gli oppressori e difesero gli oppressi. “Come mai onori i tuoi figli più di me e vi ingrassate con il meglio di tutte le oblazioni d’Israele, mio popolo?” (1Sam 2:29). “C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa” (2Sam 12:1-4). I profeti di Israele furono i difensori della giustizia e del diritto, i protettori dei deboli. Si pensi a Elia contro Acab per la vigna di Nabot (1Re 21). Amos indirizza le più severe rampogne contro i tiranni: “So quanto sono numerose le vostre trasgressioni, come sono gravi i vostri peccati; voi opprimete il giusto, accettate regali e danneggiate i poveri in tribunale” (Am 5:12). “Vendono il giusto per denaro e il povero a causa di un paio di sandali” (Am 2:6). Isaia denuncia la perversione di Gerusalemme e condanna coloro che si arricchiscono a spese del popolo: “I tuoi prìncipi sono ribelli e compagni di ladri; tutti amano i regali e corrono dietro alle ricompense; non fanno giustizia all’orfano, e la causa della vedova non giunge fino a loro”, “Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio (Is 1:23;5:8). Michea, suo contemporaneo, ha i medesimi suoi accenti (Mic 3:1-12), seguito a distanza di un secolo da Geremia (Ger 5:26-28;22:13-19) contro Ioachim (Ger 6:6-8;7:8-11;22:3-6). Ma questo, se pur importante, è solo un aspetto.
Il socialismo propugna però il livellamento delle classi e l’eliminazione del diritto di proprietà. Allora non possiamo davvero ritenere i profeti dello stesso pensiero. Il livello delle classi è per Isaia un castigo che colpisce Gerusalemme perché espii le azioni commesse dai suoi capi. Il livellamento delle classi era per Isaia la piaga della povertà diffusa: “Ecco, il Signore, il Signore degli eserciti, sta per togliere a Gerusalemme e a Giuda ogni risorsa e ogni appoggio, ogni risorsa di pane e ogni risorsa d’acqua, il prode e il guerriero, il giudice e il profeta, l’indovino e l’anziano, il capo di cinquantina e il notabile, il consigliere, l’artefice esperto, e l’abile incantatore. […] Dirà: ‘Io non sarò vostro medico, nella mia casa non c’è né pane né mantello; non fatemi capo del popolo!’. […] Il mio popolo ha come oppressori dei bambini, e delle donne dominano su di lui”. – Is 3:1-15, passim.
Il regno messianico non è per nulla pensato come un regno in cui tutti i cittadini si vedano spartiti i beni in modo uguale. Nel regno messianico tutti sono possidenti: “Potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi” (Mic 4:4); “Si compreranno dei campi […]. Si compreranno dei campi con denaro, se ne scriveranno gli atti, si sigilleranno, si chiameranno testimoni” (Ger 32:43,44). Il socialismo livella tutti al basso, rende poveri quelli che poveri ancora non sono. Il regno messianico porta in alto, garantendo benessere per tutti. I profeti erano ben lontani dall’idea di attizzare la ribellione del popolo. Piuttosto, i profeti esortavano alla pratica della giustizia e all’osservanza del Decalogo (che tutela, tra l’altro, la proprietà privata): “Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne!” (Am 5:24). – Is 1:16,17; Ez 33:12-20.
I profeti di Israele tendevano a migliorare la società migliorando gli individui, mentre il socialismo si attende il miglioramento dell’individuo dal miglioramento della società. Visione opposta, dunque. Di più, va notato che il socialismo (e specialmente il comunismo) considera la fede in Dio come un qualcosa di nocivo per il benessere della società e quindi arriva a vietarla.
I profeti furono degli intolleranti?
Furono intolleranti i profeti? La chiara risposta è un sì! I profeti lavorarono perché tutti i nemici di Israele (ovvero tutti i nemici della fede ebraica) fossero debellati. Siamo quindi ancora ben lontani dalla concezione che attualmente sta pervadendo la società europea in cui tutto viene accolto: droga liberalizzata, matrimoni tra omosessuali, convivenza senza matrimonio, immoralità e pornografia (oltre a tutto quanto concorra al libertinismo, ben diverso dalla libertà). I profeti non tolleravano l’ingiustizia e la disubbidienza alla Legge di Dio.
Attenzione, però. Non si tratta per niente di fondamentalismo religioso, come siamo costretti a sperimentarlo oggi da parte soprattutto di fanatici islamici. Se da una parte c’è giustamente il rifiuto deciso del peccato, c’è anche la benevolenza di Dio. “Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5:45). Non si tratta di tolleranza, che – tra l’altro – non è una parola positiva. Tollerare significa sopportare. Ma la sopportazione del male essendo ubbidienti a Dio è altra cosa. La tanto sbandierata tolleranza della società, che oggi è allo sbando, nasconde dietro la tolleranza a volte la sopportazione e altre volte il permissivismo. Ci si sopporta perché ognuno possa poi fare come vuole. Mal comune mezzo gaudio. Quella di Dio è invece pazienza: “È paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (2Pt 3:9). Si ricordi la benevolenza di Dio verso Assur. – Gna.
I profeti furono intolleranti per il loro zelo nella fedeltà a Dio.
Profeti e culto
Pare che il pensiero tradizionale degli studiosi sia stato proprio quello che i profeti fossero opposti al culto. Eppure, Geremia ed Ezechiele appartenevano a famiglie sacerdotali. Il rapporto tra sacerdoti e profeti era molto stretto. Isaia dice: “Mi scelsi come testimoni fedeli il sacerdote Uria e Zaccaria” (Is 8:2). È anche vero che i falsi profeti che contrastavano Geremia agivano in accordo con i sacerdoti. Ad esempio, Pascur – che gettò in carcere Geremia – era “sacerdote e capo-sovrintendente della casa del Signore” (Ger 20:1-6). Erano sacerdoti e profeti coloro che accusarono Geremia di bestemmia davanti al re (Ger 26:11). Aggeo e Malachia s’interessarono delle azioni di culto proprie del Tempio.
Tuttavia, nonostante questo, alcuni studiosi hanno pensato che i profeti fossero persone contrarie al culto. I riferimenti biblici addotti sono: “’Andate a Betel, e peccate, a Ghilgal, e peccate ancora di più! Portate ogni mattina i vostri sacrifici e ogni tre giorni le vostre decime! Fate fumare sacrifici di ringraziamento con lievito! Bandite delle offerte volontarie, proclamatele! Poiché così vi piace fare, o figli d’Israele’, dice il Signore, Dio. ‘Da parte mia, vi ho lasciati a bocca asciutta in tutte le vostre città’” (Am 4:4-6); “O casa d’Israele, mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto, durante i quarant’anni? […] Io vi farò andare in esilio oltre Damasco’, dice il Signore, il cui nome è Dio degli eserciti” (Am 5:24-27); “’Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?’, dice il Signore; ‘io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco’” (Is 1:11). Questi studiosi hanno quindi concluso che ci fosse un’opposizione tra la spiritualità della parola dei profeti e il culto dei sacrifici dei sacerdoti.
La loro valutazione è sbagliata. Le invettive contro i sacrifici vanno inquadrate nel loro giusto valore. Il Tempio e il culto erano stati voluti da Dio. I profeti non erano per nulla contro il culto. Come avrebbero potuto? I profeti e Dio stesso erano contro le espressioni puramente esteriori del culto.
Questi studiosi – non collocando le citazioni bibliche nel loro contesto più ampio – commettono lo stesso errore di coloro che citando la disapprovazione di Paolo per le “opere della Legge” condannano sia le opere che la Legge. Con l’acqua sporca buttano via anche il bambino. Paolo condannava quel tipo di opere, non la Legge che per lui era santa. In Is 1:14 Dio dice: “L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite; mi sono un peso che sono stanco di portare”. Occorre capire il contesto. Dio non sta qui condannando i noviluni, i sabati e le feste che lui stesso aveva ordinato di osservare. L’accento qui è posto su “vostri”. Dio non condannava i noviluni, ma i loro noviluni, il loro modo di osservarli. Non condannava i sabati, ma i loro sabati. Questo è chiaro dal v. 13 che precede il passo citato: “Smettete di portare offerte inutili; l’incenso io lo detesto; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni, io non posso sopportare l’iniquità unita all’assemblea solenne”. Una cosa è l’”assemblea solenne”, che rimane “assemblea solenne”, altra cosa l’“iniquità” che caratterizzava le persone che osservavano solo esteriormente le Feste stabilite da Dio. Stessa cosa per Paolo, che non condanna mai la Legge, ma le opere fatte meccanicamente credendo così di osservare la Legge. L’elemento fondamentale che si trascurava e si trascura tuttora (lo trascuravano gli ebrei redarguiti dai profeti, lo trascuravano gli ebrei che praticavano le opere della Legge al tempo di Paolo, lo trascurano gli abolitori odierni della Legge) è la trasformazione interiore. Non si trattava di abolire i sabati e le altre Feste, ma di viverli con sincera partecipazione. Non si trattava di non compiere opere della Legge, ma di non compiere opere della Legge puramente esteriori, di compierle vivendole con sincera partecipazione e fede. “Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta”. – Gc 2:17.
I figli di Elì, condannati da Samuele, lo furono perché non erano fedeli alla Legge (1Sam 2:12;3:11). Amasia aveva fatto di Betel la casa reale, dove la volontà dello stato sostituiva la volontà di Dio: “A Betel non profetizzare più, perché è santuario del re e residenza reale” (Am 7:13); vi vigeva uno spirito sincretista, tanto che due tori (simbolo di Baal) raffiguravano Yhvh.
Il Tempio condannato da Geremia ed Ezechiele era ricolmo di fenomeni orrendi (Ger 7; Ez 8). Vi si adorava il sole, vi si piangeva Tammuz, vi si implorava la Regina del Cielo, vi si celebravano le antiche liturgie cananee in promiscuità con il culto di Yhvh. Eppure si osava dire: “Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!”. – Ger 7:4.
L’opposizione di Geremia al sacerdote Pascur non era un’opposizione al sacerdote perché tale, ma al burocrate statale, al cancelliere regio. Vi era poi tutta una folla di sacerdoti accomodanti che lasciavano penetrare nel Tempio la prostituzione: “Figlio e padre vanno dalla stessa ragazza, per profanare il mio santo nome. Si stendono accanto a ogni altare su vestiti presi in pegno, e nella casa del loro Dio bevono il vino” (Am 2:7,8). I profeti riportarono le parole di Dio, che non condannava i sacerdoti ma quel tipo di sacerdoti: “Anch’io rifiuterò di averti come mio sacerdote; poiché tu hai dimenticato la legge del tuo Dio”. – Os 4:6.
A causa di tutte queste trasgressioni, nel 587 a. E. V. vi fu la catastrofe: la distruzione del Tempio.
E, con la distruzione del Tempio, un cambiamento essenziale. Prima, dinanzi ad un culto ritualizzato, i profeti rivendicavano la morale e lo spirito. L’alleanza era qualcosa di globale, non era solo una parte (il rito) senza l’altra (l’ubbidienza). Dopo il 587, quando per forza di cose poteva esserci solo una spiritualità senza riti, i profeti rivendicarono i riti. La spiritualità non era qualcosa di astratto: il Tempio andava ricostruito! E lo fu. Proprio grazie ai profeti. “I profeti Aggeo e Zaccaria, figlio di Iddo, profetizzarono nel nome del Dio d’Israele ai Giudei che erano in Giuda e a Gerusalemme. Allora Zorobabele, figlio di Sealtiel, e Iesua, figlio di Iosadac, andarono a riprendere la costruzione della casa di Dio a Gerusalemme; e con loro erano i profeti di Dio, che li assistevano”. – Esd 5:1,2.
Non c’è dubbio: i profeti tendevano all’applicazione globale dell’alleanza con Dio: vita liturgica e morale.
Ma – si sa – gli studiosi non finiscono di sorprendere. Dopo la loro asserzione che i profeti sarebbero stati contro il culto, ci fu chi andò all’estremo opposto. Così Movinckel portò una vera rivoluzione nello studio del profetismo (Psalmenstudien: Die Kultprophetie und Prophetischen Psalmen). Ora i profeti non erano più opposti al culto, ma diventavano puri ministri di culto. La supposizione fu basata sul fatto che alcuni Salmi (61,75,82,92,110) presentano delle sezioni in prima persona (“io”) che sarebbe la risposta divina a domande poste a Dio nel culto da parte del ministrante. Che dire? Che non bisogna affrettare le conclusioni.
Tracce di connessione tra profeti cultuali e cantori posteriori – è vero – si rivengono in 1Croc 15:22,27: “Chenania, capo dei Leviti, era preposto al canto; dirigeva la musica, perché era competente in questo”, “Tutti i Leviti che portavano l’arca, i cantori, e Chenania, che dirigeva la musica fra i cantori”; e anche in 2Cron 20. Brani liturgici si rinvengono anche in scritti profetici (Ab 3; Gle 1 e 2, Os 6; Ger 14). Quindi, profeti del tipo di Aggeo, Zaccaria e Gioele – stando a questa teoria – sarebbero persone appartenenti al clero, dediti all’azione liturgica, e che avrebbero avuto un ruolo permanente nelle cerimonie del Tempio, continuando così la tradizione inaugurata da Samuele.
Vediamo le ragioni che vengono addotte per questa teoria:
- Nomi cultuali. Da Am 7:14 sappiamo che il profeta Amos era un boqèr (בֹוקֵר), “mandriano”, e da 1:1 sappiamo che faceva parte dei noqdìm (נֹּקְדִים), “pastori”. Questi termini alcuni vogliono ricollegarli ai funzionari sacri esistenti, ad esempio, presso Ugarit. Ma questa traccia è davvero debole e non affidabile.
- Si è perfino voluto andare oltre e vedere in certi passi biblici nient’altro che il rituale accadico dell’intronizzazione del re all’inizio dell’anno. La purificazione di Isaia sarebbe, in quest’ottica, simile a quella che compiva sul re accadico durante la festa: “Uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall’altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: ‘Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato’” (Is 6:6,7). I serafini alluderebbero agli “esseri” del rituale accadico e il carbone alla pianta sacra della regalità. Ma più che valutazioni scientificamente serie, pare che siano accostamenti di una fantasia che va troppo oltre.
Occorre vedere bene tutti lati della questione. È vero che i profeti non intendevano combattere il culto in se stesso, quanto piuttosto le deviazioni di un culto divenuto solo formalistico. Ma, proprio per questo, non possiamo accogliere tutta l’enfasi che viene posta su un profetismo tutto dedito al culto. Non si deve poi generalizzare. Anche se alcuni profeti furono in rapporto con il culto, non se ne deve dedurre che tutti furono così. Occorre valutare caso per caso i singoli profeti. Questo legame è chiaro e attestato per Ezechiele, la cui descrizione del nuovo Tempio è tutta imperniata sull’idea della santità. Si continua dopo l’esilio con Aggeo, in cui il Tempio e il culto formano il centro della sua profezia. Con Zaccaria il profeta comincia a essere sostituito dal sacerdote. Gioele è un po’ moralizzante. Prima dell’esilio tale rapporto è meno evidente. Geremia, pur essendo sacerdote, non parla mai del culto. Il libro di Gioele, che ha un andamento liturgico, dovette essere pronunciato in occasione di una riunione di culto straordinaria.
Inoltre, la spiritualità ebraica non ha nulla a che vedere con le feste accadiche dell’intronizzazione del re. Israele non accolse mai la festa del dio che muore e che rinasce in primavera. Anzi, non divinizzò mai il re. Il re, in Israele, era separato al sommo sacerdote e non aveva i suoi poteri. Gli oracoli messianici prima dell’esilio non postulano mai l’esistenza di un’ideologia divino-regale. Né Amos, né Osea, né Isaia, né Michea, né Geremia si presentano come profeti cultuali dediti al servizio del Tempio e autori di libretti liturgici.
Si deve poi ricordare che anche dove vi sono accenni ed espressioni liturgiche, gli scritti profetici non vanno per questo ritenuti un rituale. I profeti hanno una loro originalità che non può essere ridotta ad altre forme. Vi sono nei profeti allusioni anche ad altri generi letterari, senza che per questo si debba concludere che il profeta appartenga a qualcuna di queste altre categorie. Perché mai dovrebbe essere diverso il caso delle allusioni al culto? Dalle allusioni che vi si trovano, non si deve frettolosamente concludere subito che l’autore era un ecclesiastico. Così, ad esempio, Ezechiele usa espressioni tratte dai racconti popolari (Ez 14:12-23;16:1-43;17:1-10;19:1-14;21:13-22;23:1-27;26:19-21;28:1-10;31:1-18;32:17-32), ma non per questo possiamo affermare che fu un cantastorie. Isaia usa il tipo dei canti d’amore (Is 5:1-17), ma non per questo era un trovatore. In Is 28:23-29 vi è il tipo dell’istruzione sapienziale, ma non per questo egli apparteneva al gruppo dei saggi. In Am 1:3;2:16 e in Ez 25 si rinviene la medesima struttura dei salmi egizi di esecrazione, ma non per questo i profeti si dedicavano ai rituali di esecrazione. Geremia spezza una giara (Ger 19) imitando così il rituale magico, ma non per questo egli diviene un mago. Figurarsi.
Possiamo dire che i profeti traggono espressioni dai vari generi letterari in modo da colpire meglio l’immaginazione e la fantasia del popolo. Così, Amos utilizza il tipo della qìna (lamentazione su un morto) – senza essere per questo un impresario di pompe funebri del suo tempo – per meglio sottolineare la distruzione imminente del popolo: “Ascoltate questa parola, questo lamento che io pronunzio su di voi, o casa d’Israele! ‘La vergine d’Israele è caduta e non risorgerà più; giace distesa al suolo e non c’è chi la rialzi’”. – Am 5:1,2.
Che conclusione possiamo trarre? I profeti erano contro il culto? Non contro il culto in se stesso, ma contro il culto formalistico e deviato del loro tempo. I profeti erano tutti sacerdoti e i loro scritti sono tutti atti di culto? No; ciò può riguardare qualche profeta e qualche parte dei loro scritti.
I profeti sono i profeti.