Dato che diversi libri sapienziali della Bibbia sono scritti in poesia, occorre conoscere – anche se in modo essenziale – le caratteristiche della poesia ebraica.

   Letteratura poetica ebraica. La poesia – pur essendo stata una delle prime manifestazioni dello spirito umano – fu, di fatto, una delle ultime a lasciare le sue tracce. Il vaso, l’arma forgiata nella selce o nel metallo perdurano. Il lamento per la morte di una persona amata o l’espressione gioiosa per la nascita di una nuova creatura scompaiono. A meno che vengano tramandati di persona in persona e poi perpetuati nello scritto. È per questo che la poesia è una delle ultime manifestazioni documentabili di un periodo.

   Anche gli ebrei, come gli altri popoli, sentirono il bisogno di raccogliere in un volume i brani poetici che prima si tramandavano a viva voce. Sorse così il Libro dei Canti. Ne fa menzione Gs 10:13, che NR traduce con: “Questo non sta forse scritto nel libro del Giusto?”. Cos’è questo “libro del Giusto”? Diodati lo interpreta come “Libro del Diritto”. TNM lo scambia per un libro di chissà chi: “Libro di Iashar”. L’ebraico ha סֵפֶר הַיָּשָׁר (sèfer hayashàr). Le traduzioni diverse tra loro stanno ad indicare una difficoltà di comprensione del termine hyshr (הישר), letto come hayashàr. Che la prima lettera (ה) vada letta come ha – che è l’articolo determinativo – non ci sono dubbi: -ה ספר (sèfer ha), “libro del” in italiano. Ma ישר (yshr)? La disposizione delle tre lettere obbligherebbe a identificare la parola con yashàr, “giusto”, ma cosa c’entrerebbe un brano poetico (il canto di Giosuè dei vv. 12-13) con un supposto “libro del Giusto”? Cosa c’entrerebbe la poesia con un “libro del Diritto”? E cosa sarebbe mai un fantomatico “libro di Iashar”? L’espressione la troviamo anche in 2Sam 1:18. Qui il contesto – come nel passo di Gs – parla similmente di un “canto” (v. 17): “Il canto dell’arco. Si trova scritto nel Libro del Giusto” (v. 18). E, nuovamente, Diodati lo interpreta come il “libro del Diritto” e TNM come “libro di Iashar”. Di certo canti e poesie non hanno a che fare con il diritto e i giusti. TNM sembra voler salvare capra e cavoli e prende yshr per nome proprio, creando un tale di nome “Iashar”; il che suona molto strano, dato che questo vocabolo compare sempre come aggettivo (“giusto”) e mai come nome proprio (che, in effetti, risulta del tutto sconosciuto). Che dire? Un dubbio viene, e viene per la somiglianza della parola ebraica yshr con un’altra parola ebraica. Tenendo presente che il testo originale biblico era scritto senza segni vocalici, si paragonino le seguenti due parole alquanto simili:

 

ישר

yshr

> yashàr

“giusto”

שיר

shyr

> shir

“canto”

 

   Uno scambio di consonanti? Il dubbio viene. Ed è anche confermato. La traduzione greca dei LXX, infatti, ha “libro del canto”, che in ebraico è השיר ספר (sèfer hashir). Comunque, anche volendolo chiamare “libro del giusto”, si tratta di una raccolta di poesie e di canti molto popolari tra gli ebrei, indubbiamente di notevole interesse storico.

     Tra i più antichi esempi di poesia biblica va ricordato il cantico di Lamec: “Lamec disse alle sue mogli:

 

‘Ada e Zilla, ascoltate la mia voce;

mogli di Lamec, porgete orecchio al mio dire!

Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito,

e un giovane perché mi ha contuso.

Se Caino sarà vendicato sette volte,

Lamec lo sarà settantasette volte’”.

Gn 4:23,24.

Parallelismi

Ada, Zilla  –  Mogli di Lamec

ascoltate  –  porgete orecchio

mia voce  –  mio dire

un uomo  –  un giovane

ferito  –  contuso

Caino  –  Lamec

7 volte  –  77 volte

Un altro esempio è quello del pozzo: “Fu in quell’occasione che Israele cantò questo cantico:

 

‘Scaturisci, o pozzo! Salutatelo con canti!

Pozzo che i capi hanno scavato,

che i nobili del popolo hanno aperto con lo scettro, con i loro bastoni!’”.

Nm 21:17,18.

 

Altro esempio è il cantico di guerra contro Moab: “Per questo dicono i poeti:

 

‘Venite a Chesbon!

La città di Sicon sia ricostruita e fortificata!

Poiché un fuoco è uscito da Chesbon, una fiamma dalla città di Sicon;

essa ha divorato Ar di Moab,

i dominatori delle alture dell’Arnon.

Guai a te, Moab!

Sei perduto, o popolo di Chemos!

Chemos ha fatto dei suoi figli tanti fuggiaschi

e ha dato le sue figlie come schiave a Sicon, re degli Amorei.

Noi abbiamo scagliato su di loro le nostre frecce;

Chesbon è distrutta fino a Dibon.

Abbiamo tutto devastato fino a Nofa,

il fuoco è giunto fino a Medeba’.

Nm 21:27-30.

   Da queste antiche “vestigia” della poesia ebraica possiamo arguire l’esistenza di un’abbondante letteratura poetica che andò tuttavia irrimediabilmente perduta.

   La poesia degli antichi ebrei che ora possediamo si trova solo nella Bibbia. I Masoreti (“maestri della tradizione”, copisti delle Scritture che vissero fra il 6° e il 10° secolo E. V.; le copie manoscritte che produssero sono, appunto, chiamate testi masoretici) considerarono poetici solo tre libri della Scrittura: Giobbe, Salmi e Proverbi. Questi tre libri furono corredati dai Masoreti di uno speciale sistema di accentazione. Ne diamo un esempio, segnalando poi le speciali accentazioni:

 

לֹ֣א יָשָֽׁב׃ בַּעֲצַ֪ת רְשָׁ֫עִ֥ים וּבְדֶ֣רֶךְ חַ֭טָּאִים לֹ֥א עָמָ֑ד וּבְמוֹשַׁ֥ב לֵ֝צִ֗ים ׀לֹ֥א הָלַךְ אֲשֶׁ֤ר ‏אַ֥שְֽׁרֵי־הָאִ֗ישׁ

‏ ֹ וּֽבְתוֹרָת֥וֹ יֶהְגֶּ֗ה יוֹמָ֥ם וָלָֽיְלָה׃ בְּתוֹרַ֥ת יְהוָ֗ה חֶ֫פְצ֥ו כִּ֤י אִ֥ם

אֲשֶׁ֤ר פִּרְי֨וֹ׀ יִתֵּ֬ן בְּעִתּ֗וֹ וְעָלֵ֥הוּ לֹֽא־יִבּ֑וֹל וְכֹ֖ל אֲשֶׁר־יַעֲשֶׂ֣ה יַצְלִֽיחַ׃ עַֽל־פַּלְגֵ֫י מָ֥יִם שָׁת֪וּל כְּעֵץ֮ וְֽהָיָ֗ה

Verso 1

Verso 2

Verso 3

(Sl 1:1-3)

Accenti disgiuntivi

(accenti che segnalano anche una pausa nella recitazione)

ֽ

Sillûq: si pone sotto la sillaba tonica dell’ultima parola di un versetto ed è seguito dal sôf pāsûq (׃); il sillûq + sôf pāsûq corrisponde al nostro punto fermo. Il sillûq indica l’accento tonico, il sôf pāsûq costituisce la pausa. Esempio: יָשָֽׁב׃

؞

Atnāch: è il segno della pausa mediana, e divide il verso in due membri. Esempio: יִבּ֑וֹל

֭

Tifchà: disgiuntivo di minor valore, ma che fa da staffetta alle pause maggiori del sillûq (ֽ) e dell’atnāch (؞). Esempio: וְכֹ֖ל

   Comunque, i Masoreti – indicando solo tre libri come poetici – si sono ingannati. Ci sono altri tre libri biblici che sono scritti in poesia: Cantico, Ecclesiaste e Lamentazioni. Molti brani profetici sono pure scritti in poesia.

   Più tardivamente gli ebrei composero in poesia altri due libri: Ecclesiastico e Sapienza, che però non furono accolti nel canone delle Sacre Scritture, per cui non vanno considerati ispirati. I cattolici li chiamano “deuterocanonici” (appartenenti ad un presunto ‘secondo canone’. Ma quanti canoni mai ci sono? Uno, e uno solo). Il nome più esatto – usato dai protestanti – è quello di apocrifi (il termine greco apòkrüfos significa “nascosto”).

   Brani di poesia biblica si trovano anche nei libri storici, come la benedizione di Giacobbe (Gn 46), i vari cantici di Mosè (Es 15; Dt 32), le profezie di Balaam (Nm 23), il cantico di Deborah (Gdc 5), l’elegia di Davide in occasione della morte di Saul. – 2Re 1.

Caratteristiche della poesia ebraica

   La poesia ebraica non ricerca l’arte per se stessa (come presso i greci e i latini), ma è manifestazione spontanea di sentimenti individuali. Questo è il motivo per cui tra gli ebrei non si trovano il dramma e l’epopea (che descrivono sentimenti e fatti eroici di altre persone). La manifestazione di gioia ha prodotto la poesia in cui il poeta, anche se parla della natura, esprime il suo sentimento stupefatto verso Dio che l’ha creata.

   Ad esempio, il Salmo 18:8-16 – descrivendo mirabilmente la paurosa potenza del temporale – vi vede riflessa la grandiosa maestà di Dio che usa il temporale come strumento per punire i malvagi o per far prosperare la terra con pioggia benefica. Il tuono diventa voce di Dio, le nubi il suo sgabello, i lampi le divine saette che egli lancia per impaurire gli empi. Anche se molti non possono gustare tutto lo splendore di questo brano nell’originale ebraico, una buona traduzione può renderlo (come una traduzione non buona può oscurarlo). Diamo due versioni: quella magnifica di PdS e quella molto mediocre di TNM.

 

PdS

TNM

“Un terremoto scosse la terra,

tremarono i monti dalle fondamenta,

sussultarono per la collera di Dio.

Fumo usciva dalle sue narici,

dalla sua bocca un fuoco divorante,

un getto di carboni ardenti.

Inclinò il cielo e discese,

una nube scura sotto i suoi piedi.

Portato da un cherubino

volava rapido sulle ali del vento.

S’avvolgeva di un velo di tenebre

tra nere nuvole cariche d’acqua.

Davanti a lui

una folgore squarciava le nubi

con grandine e carboni infuocati.

Il Signore tuonò dal cielo,

l’Altissimo fece udire la sua voce.

Scagliò frecce all’intorno,

moltiplicò fulmini ai quattro venti.

Allora apparve il fondo dei mari,

si scoprirono le fondamenta del mondo,

davanti alle tue minacce, Signore,

davanti alla tempesta della tua collera”.

“E la terra cominciò a scuotersi e a sobbalzare,

E le stesse fondamenta dei monti si agitarono,

E si scuotevano da una parte all’altra perché egli si era adirato.

Fumo gli salì alle narici, e fuoco stesso divorava dalla sua bocca;

Carboni stessi divamparono da lui.

Ed egli curvava i cieli e scendeva.

E sotto i suoi piedi c’era fitta oscurità.

E venne cavalcando un cherubino e venne volando,

E venne sfrecciando sulle ali di uno spirito.

Fece quindi delle tenebre il suo nascondiglio,

Tutt’intorno a lui come sua capanna,

Tenebrose acque, fitte nubi.

Dal fulgore di fronte a lui passarono le sue nubi,

Grandine e carboni di fuoco ardenti.

E nei cieli Geova tuonava,

E l’Altissimo stesso dava la sua voce,

Grandine e carboni di fuoco ardenti.

E mandava le sue frecce, per disperderli;

E scagliò lampi, per gettarli in confusione.

E divennero visibili gli alvei delle acque,

E si scoprirono le fondamenta del paese produttivo

Dal tuo rimprovero, o Geova, dal soffio dell’alito delle tue narici”.

(Sl 18:8-16)

 

   Il dolore ha creato l’elegia (קינה, qynàh), come quella composta in occasione della morte di Saul e Gionata. Anche qui proponiamo due versioni, traendo i vv. 19-21 dal brano di 2Sam 1:19-27:

PdS

TNM

“I tuoi uomini più forti, o Israele,

giacciono trafitti sulle tue colline:

perché sono morti gli eroi?

Non portate questa notizia

Agli abitanti di Gat,

non date l’annuncio nelle strade

di Ascalon:

non devono far festa le ragazze filistee,

non devono esulare

le donne di quella gente senza Dio.

Colline di Gelboe, rugiada,

pioggia e acque di sorgente

non bagnino più la vostra terra:

perché là rimasero abbandonati

gli scudi degli eroi”

“La bellezza, o Israele, giace uccisa sui tuoi alti luoghi.

Come sono caduti gli uomini potenti!

Non riferitelo in Gat;

Non annunciatelo nelle vie di Ascalon,

Affinché non si rallegrino le figlie dei filistei,

Affinché non esultino le figlie degli incirconcisi.

O monti di Ghilboa, non sia su di voi rugiada, né pioggia, né ci siano campi di sante contribuzioni;

Perché là si sporcò lo scudo dei potenti”

(2Sam 1:19-21)

   La riflessione ha fatto sorgere la poesia didattica (שאל, shal) quale appare in Proverbi. Con essa l’autore sacro intende insegnare il comportamento individuale nelle varie circostanze della vita.

   L’elemento base della poesia biblica è lo stico, risultante da due (raramente tre) elementi detti emistichi (metà stico), che di solito presentano un pensiero a sé stante. Talora alcuni di questi stichi si riuniscono in modo da costituire una strofa. Lo stico è, grossomodo, un verso.