Il problema del mito nella Bibbia ha creato una discussione assai dura che ebbe inizio nel 19° secolo e fu originata dalle somiglianze tra i racconti biblici della creazione, del Diluvio e dei patriarchi con simili racconti cosmologici (sumeri, assiri, babilonesi). Si veda Enuma Elish per la creazione, Ghilgamesh per il Diluvio, Adapa per il primo peccato. Il Lénormant scrisse che i primi capitoli genesiaci contengono tradizioni identiche a quelle mitiche degli altri popoli: “Ciò che si raccontava presso questo popolo è uguale, in tutti i dati essenziali, a quanto dicevano i libri sacri sulla riva dell’Eufrate e del Tigri . . . L’ispirazione ha solo infuso uno spirito nuovo nel racconto: Le nozioni naturalistiche grossolane che là si esprimevano, diventarono qui il rivestimento morale di un ordine più elevato e di una spiritualità più pura”.
Presso i non cattolici ciò divenne pacifico, come appare dal commento alla Genesi di H. Gunkel: “Le leggende di Ge 1-11 sono tratte in gran parte” – dice lui – “da miti babilonesi, e non hanno più diritto al titolo di storia” (H. Gunkel, Die Genesis, 1922, pag. 16). Secondo costui le narrazioni mitiche mesopotamiche sarebbero state alquanto scolorite ma accettate dalla Bibbia, perché il monoteismo biblico era un clima “favorevole ai miti” (Ibidem, pag. 18). Per i cattolici la situazione fu diversa: l’ipotesi di Lénormant fu accolta (almeno in parte) da J.M. Lagrange (La methode Historique, 1907) e da Mons. d’Huest che in un celebre articolo apparso nel Correspondant del 25 gennaio 1893 su la Question Biblique, sosteneva che, salvo alcune esagerazioni, le idee del Lénormant potevano essere accolte: “L’ipotesi per la quale l’ispirazione biblica potrebbe riguardare anche racconti di origine umana senza garantirne la veracità assoluta per introdurvi delle verità dogmatiche e morali, è un’ipotesi accolta da un certo numero di studiosi ortodossi. In tal modo essi si traggono d’impiccio in tutte le difficoltà storiche, cosmologiche ed etnografiche . . . che oggi solleva la lettura della Genesi”.
Il Loisy, pur non riconoscendo una dipendenza diretta dei racconti biblici da quelli mesopotamici, asseriva: “Benché le leggende caldee abbiano fornito in gran parte il materiale delle leggende bibliche, un vasto lavoro di assimilazione, di trasformazione, è avvenuto durante un lungo tempo. Probabilmente vari anelli intermediari (tramite le tradizioni fenicie ed aramaiche) si sono intromesse un po’ dovunque tra i Caldei e la Bibbia. Né la forma mitologica né la forma poetica si conservarono nella tradizione israelita; l’epopea divenne un racconto prosaico e il racconto assunse un valore morale per adattarsi al carattere di un Dio unico”. – A. Loisy, Les mythes babylonieus et le premiers chapitres de la Genèse, Paris, 1901, pagg. VII,VIII.
L’enciclica Provvedentissimus Deus (di Leone XIII, del 18 novembre 1893) proibì in modo assoluto le ipotesi precedenti: “Non deve tollerarsi la condotta di coloro che, per trarsi di impiccio, non esitano a concedere che l’ispirazione appartenga alla materia di fede e di costumi senza nulla di più, perché essi pensano a torto che le idee sono vere non tanto per quello che affermano, quanto piuttosto per il motivo con cui Dio le afferma”.
Dopo gli studi del Lagrange e specialmente degli esegeti più moderni, possiamo asserire in modo sicuro che i primi capitoli genesiaci (1-11) non provengono direttamente dai miti mesopotamici che sono tra loro staccati, spesso in contrasto e con lo sfondo politeistico. Essi sono un brano profetico che utilizza per la sua narrazione delle tradizioni antiche diffuse tra i semiti, dando loro un concatenamento e un significato nuovo atto a esprimere il messaggio divino.
Si tratta, infatti, della creazione e della preistoria, che non potevano essere conosciute dallo scrittore se non mediante una rivelazione divina. Soltanto che tale profezia invece di presentare il futuro, narra il passato. L’intento è quindi spirituale, il tempo è raccorciato (come nelle profezie del futuro) e vengono utilizzati (come nelle profezie) antichi miti orientali del passato, purificati però dal loro politeismo per mostrare la superiorità del Dio israelitico che tutto crea senza opposizione alcuna; che premia il bene, ma punisce la malvagità (Diluvio, peccato dei protoparenti) e che conduce la storia verso il suo fine salvifico.
I capitoli 1-11 della Genesi, unici nella storia dell’umanità, non vanno quindi presi alla lettera, trattandosi di profezia anziché di storia e di preistoria. Questa valutazione dei primi capitoli genesiaci merita d’essere studiata e sviluppata più a lungo.