Nell’8° secolo a. E. V. l’Assiria, con Ninive per capitale, dominava indisturbata tra tutti i regni asiatici, finché nel 7° secolo la sua potenza iniziò a declinare per il sorgere dell’impero neobabilonese. Si spiega così come il re Giosia, nel 622 a. E. V., abbia potuto svolgere indisturbato la sua azione distruttrice dell’idolatria che era in gran parte di importazione assira. Nel 612 a. E. V. Ninive cadde sotto i colpi di Nabucodonosor e dei medi, ma l’ultimo re ninivita poté rifugiarsi ad Harran da dove chiese rinforzi all’Egitto che era il suo nemico d’un tempo. Il faraone Neco corse in aiuto, ma nel suo passaggio attraverso la Palestina fu fermato da Giosia (favorevole ai babilonesi) che venne ucciso a Meghiddo, nel 609 a. E. V..
Un movimento popolare giudaico mise allora sul trono Ioacaz (nel 609 a. E. V.) che, non essendo però favorevole all’Egitto, venne destituito dal faraone dopo soli tre mesi di regno e sostituito da Ioachim che durò in carica 11 anni (609-598/597 a. E. V.). Geremia non restò indifferente a questo fatto e profetizzò: “Non piangete per il morto, non vi affliggete per lui; ma piangete, piangete per colui che se ne va, perché non tornerà più e non vedrà più il suo paese natìo” (Ger 22:10). Si allude qui a “Sallum, figlio di Giosia, re di Giuda, che regnava al posto di Giosia suo padre” (v. 11) e che fu deportato in Egitto. – V. 12.
Verso il 605 a. E. V. l’armata egiziana fu sconfitta a Carchemish sull’Eufrate da Nabucodonosor che la inseguì fino in Palestina. Qui vinse anche Ioiachim alleato dell’Egitto e, sempre nel 605, prese Gerusalemme senza distruggerla. Ci fu la prima deportazione, e tra i deportati c’era Daniele. Geremia celebrò in un’ode trionfale la sconfitta egiziana, mostrando in tal modo la sua simpatia verso i babilonesi:
“Riguardo all’Egitto. Circa l’esercito del faraone Neco, re d’Egitto, che era presso il fiume Eufrate a Carchemis, e che Nabucodonosor, re di Babilonia, sconfisse il quarto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda. ‘Preparate lo scudo grande e quello leggero; avvicinatevi per la battaglia. Attaccate i cavalli; cavalieri, montate. Presentatevi con gli elmi in capo; lucidate le lance, indossate le corazze! Perché li vedo sbigottiti, lanciati in fuga? I loro prodi sono sconfitti, si danno alla fuga senza volgersi indietro; tutto intorno è terrore’, dice il Signore. ‘Il veloce non fugga, il prode non scampi! Al settentrione, presso il fiume Eufrate vacillano e cadono. Chi è colui che sale come il Nilo, le cui acque si agitano come quelle dei fiumi? È l’Egitto, che sale come il Nilo, le cui acque si agitano come quelle dei fiumi. Egli dice: Io salirò, ricoprirò la terra, distruggerò le città e i loro abitanti. All’assalto, cavalli! Al galoppo, carri! Si facciano avanti i prodi, quelli d’Etiopia e di Put che portano lo scudo, quelli di Lud che maneggiano e tendono l’arco. Questo giorno, per il Signore, per il Dio degli eserciti, è giorno di vendetta, in cui si vendica dei suoi nemici. La spada divorerà, si sazierà, si ubriacherà del loro sangue; poiché il Signore, Dio degli eserciti, immola le vittime nel paese del settentrione, presso il fiume Eufrate. Sali a Galaad, prendi del balsamo, o vergine, figlia d’Egitto! Invano moltiplichi i rimedi; non c’è medicazione che valga per te. Le nazioni odono la tua infamia e la terra è piena del tuo grido; poiché il prode vacilla appoggiandosi al prode, tutti e due cadono assieme’”. – Ger 46:2-12.
Ioiachim, negli ultimi anni del suo regno, si ribellò nuovamente alla Babilonia, resistendo per cinque anni agli eserciti nemici sino alla sua morte (597/596 a. E. V.). Gli successe per tre soli mesi Ioiachin, che fu costretto a cedere ai babilonesi e fu condotto in esilio.
Sul trono di Gerusalemme i vincitori posero allora Sedechia che vi rimase per 11 anni (597-586 a. E. V.). Debole di volontà, finì per lasciarsi sobillare dal partito filo-egiziano e si ribellò a Nabucodonosor, credendo che Gerusalemme fosse inespugnabile. Solo fra tutti, Geremia si scagliò contro il re e il suo partito. “Il faraone, re d’Egitto, non è che un vano rumore” (Ger 46:17), aveva detto dopo la sconfitta di Carchemish.
Nel 588 a. E. V., nel mese di tevèt (dicembre/gennaio) le schiere di Nabucodonosor s’accamparono dinanzi a Gerusalemme, dal lato settentrionale. L’assedio della città durò un anno. Un raggio di speranza si accese quando l‘egiziano Hofra (Uah-ab-ra, della 26a dinastia saita) apparve ai confini palestinesi. Ma non appena i babilonesi accorsero per dar battaglia, egli si ritirò senza colpo ferire, abbandonando la città santa al suo destino. Seguirono giorni tragici, con tutti gli orrori della fame e della pestilenza. Alla fine, nel quarto mese (luglio del 587 a. E. V.), i babilonesi entrarono in Gerusalemme attraverso una breccia. Sedechia, fuggito verso Gerico con pochi suoi fidati, fu raggiunto e condotto prigioniero da Nabucodonosor a Ribla (nel territorio di Hamat). Qui venne accecato. Per un mese intero infuriò la strage fino a quando, nel mese di av (luglio/agosto) Nabuzardan, capitano delle guardie del corpo reale, ebbe l’ordine di incendiare l’acropoli con la sua reggia e il maestoso Tempio, riducendo tutto in macerie. Ci fu allora la terza e definitiva deportazione degli ebrei (587/6 a. E. V.). I popoli circonvicini (ammoniti, moabiti e edomiti) accorsero numerosi per sottrarre qualcosa dalle ceneri fumanti della città, completando così la devastazione.
Nabucodonosor, desideroso d’ordine, richiamò in Giudea gli agricoltori poveri e i pastori nomadi delle campagne, dando loro come governatore il nobile israelita Godolia, amico dei caldei. Geremia, che era sempre stato favorevole a una politica filo-babilonese, fu liberato. Il nuovo governatore si stabilì nella vicina città di Mizpa (l’attuale Tell en Nasbe), a pochi chilometri a settentrione di Gerusalemme. Tuttavia, dopo soli due mesi di governatorato, fu pugnalato a tradimento da Ismael, uomo di stirpe regale che era tornato dalla fuga insieme ad altri ebrei (586 a. E. V.). Questo truce evento sparse terrore in tutta la regione, per cui gli abitanti – temendo la punizione di Nabucodonosor – fuggirono in disordine verso l’Egitto. Questi fuggiaschi si trascinarono dietro, a forza, anche il settantenne Geremia.
Che fine abbia poi fatto il profeta non si sa. Una tradizione – che però non è controllabile – lo fa morire ucciso da ebrei non credenti e senza patria. Secondo una leggenda, Geremia avrebbe nascosto l’arca sacra del Tempio sul monte Nebo e sarebbe poi tornato a riconsegnarla al futuro re che avrebbe riunito Israele. Questa leggenda è riportata in un apocrifo della letteratura ebraica: “Si diceva anche nello scritto che il profeta, ottenuto un responso, ordinò che lo seguissero con la tenda e l’arca. Quando giunse presso il monte dove Mosè era salito e aveva contemplato l’eredità di Dio, Geremia salì e trovò un vano a forma di caverna e là introdusse la tenda, l’arca e l’altare degli incensi e sbarrò l’ingresso. Alcuni del suo seguito tornarono poi per segnare la strada, ma non trovarono più il luogo. Geremia, saputolo, li rimproverò dicendo: Il luogo deve restare ignoto, finché Dio non avrà riunito la totalità del suo popolo e si sarà mostrato propizio. Allora il Signore mostrerà queste cose e si rivelerà la gloria del Signore” (2Maccabei 2:4-8, CEI). Tracce di questa leggenda sono ancora presenti in Mt 16:13,14: “’Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?’. Essi risposero: ‘Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia’”. Ma si tratta, appunto, di una leggenda.