I Salmi regali e messianici sono costituiti da preghiere per il re nel quale è impersonata tutta la nazione e che aveva una funzione di primo piano nell’azione liturgica. Talora la sfumatura acquista un colorito ideale che riceve la sua piena luce quando è riferita al tempo messianico. È per questo che tali Salmi sono chiamati, oltre che “regali”, anche “messianici”.
Salmi messianici: 2, 16, 20, 22, 45, 72, 89, 101, 110, 132, 144.
Qui esamineremo solo quelli che più propriamente sono considerati messianici, vale a dire:
Sl 89 (La Promessa) in NR. *
Sl 45 (L’intronizzazione) in CEI. *
Sl 72 (Il regno pacifico) in ND. *
Sl 2 (I nemici e le lotte) in TNM. *
Sl 110 (Il messia re e sacerdote) in TNM. *
Sl 22 (Le sofferenze) in Luzzi. *
Sl 16 (La resurrezione) in NR. *
(* È la versione italiana in cui saranno esaminati).
Il primo salmo che consideriamo è l’89 (La promessa), che si divide in tre sezioni, di cui considereremo solo quella mediana che ci interessa.
Prima sezione: vv. 2-18, La felicità di Israele.
Seconda sezione: vv. 19-37, Oracolo divino nello stabilire il patto messianico con Davide. Risulta di versi a tre accenti.
Terza sezione: vv. 38-52, La dolorosa situazione attuale in cui apparentemente sembra che Dio abbia rinnegato il patto con Davide e respinto Israele.
Lasciamo alla lettura personale la prima e la terza parte, commentando solo la seconda (quella mediana). Comunque alcuni ragguagli – se pur solo alcuni – li diamo anche sulla prima e la terza parte.
Il salmo è attribuito ad Etan Ezraita, forse l’omonimo sapiente del tempo salomonico. Di Salomone si dice che “era più saggio di ogni altro uomo; più di Etan l’Ezraita” (1Re 4:31). Se però attribuiamo il salmo a questo Etan, dobbiamo ritenere che la parte riguardante la situazione esilica sarebbe un’aggiunta posteriore.
Prima parte (vv. 2-18). Il poeta vuole cantare le misericordie divine perché la misericordia e la fedeltà di Dio sono eterne (vv. 2,3). Dopo un breve oracolo sull’elezione di Davide (vv. 4,5), si canta la magnificenza di Dio “terribile” nei cieli e nell’assemblea dei santi (vv. 6-8), la sua vittoria su ràhav (vv. 9,10), la creazione e il dominio divini del mondo (vv. 11-14), per proclamare a conclusione la felicità del popolo che da lui dipende. – Vv. 15-18).
È il caso di soffermarsi un momento sui vv. 5-7 che parlano dei “santi” che dimorano “nella nube” e che formano la corte celeste degli esseri divini attorno al trono di Dio. Occorre riferirsi al testo ebraico, perché le traduzioni sembrano temere il testo.
מִי בַשַּׁחַק יַעֲרֹךְ לַיהוָה יִדְמֶה לַיהוָה בִּבְנֵי אֵלִים׃
mi vàshakhaq yaròch layhvàh ydmèh layhvh bivnè elìm
chi nella nube uguale a Yhvh assomiglia a Yhvh tra figli di dèi?
Frase che viene resa da NR: “Chi, nei cieli, è paragonabile al Signore? Chi è simile al Signore tra i figli di Dio?”. E la “nube” che fine ha fatto? TNM esce dall’impaccio affidandosi alla meteorologia: “Chi nei cieli nuvolosi si può paragonare a Geova? Chi può somigliare a Geova tra i figli di Dio?”. Ma la Scrittura dice “nella nube” (בַשַּׁחַק, vàshakhaq), non “nei cieli nuvolosi” (e cosa c’entrano, poi, i cieli nuvolosi?). Nella visione ebraica, la presenza di Dio è raffigurata da una nuvola: “La gloria del Signore si alzò sopra i cherubini, movendosi verso la soglia della casa; la casa fu riempita della nuvola” (Ez 10:4). Gli ebrei non amano le astrazioni, per cui usano un linguaggio concreto: la presenza invisibile di Dio è perciò raffigurata da una nuvola. È una figura metaforica. È un errore d’ingenuità prendere la “nuvola” in senso letterale, come sembra fare TNM che parla di “cieli nuvolosi”. Il salmista intende dire che nella corte celeste i “figli degli dèi” (noi diremmo: “i divini”) stanno attorno al simbolico trono di Dio. Si tratta degli esseri che i Targumìm (parafrasi aramaica di parti della Bibbia) e la Pescitta siriaca traducono con “angeli”. I bivnè elìm (בִּבְנֵי אֵלִים, “figli degli dèi”), sono creature angeliche. La parola ebraica elìm (אֵלִים) è il plurale di אל (el), “Dio”, e significa quindi “dèi”. Non è affatto un plurale “per indicare maestà o eccellenza” (Nota in calce a Sl 89:6 in TNM). In ebraico non esiste il plurale di maestà. In Es 15:11, proprio la stessa TNM traduce: “Chi fra gli dèi [אֵלִים, elìm] è come te, o Geova?”. È il caso di chiarire bene la differenza tra parole simili:
אל
el
Dio
dio
“Dio”, maschile singolare. Nella Scrittura il termine al femminile (dea) è totalmente assente. Il termine può applicarsi al vero Dio: “Chi è Dio [אל (el)] oltre a Geova”? (2Sam 22:32, TNM). Ma può applicarsi anche a un dio pagano: “Il tuo cuore si è insuperbito, e continui a dire: ‘Io sono un dio [אל (el)]’” (Ez 28:2, TNM). Il Dio unico è chiamato האל (haèl), “il Dio”. – Gn 31:13.
אֵלִים
elìm
dèi
È il plurale del precedente el. Sempre al maschile.
אלוה
אלֺה
elohà
Dio
dio
È una forma relativamente rara e tardiva, usata soprattutto in Gb (41 volte). Può indicare il Dio unico: “Ogni detto di Dio [אֱלֹוהַּ (elohà)] è raffinato” (Pr 30:5, TNM). Può indicare anche un dio pagano: “Insieme a un dio [אֱלֹוהַּ (elohà)] straniero”. – Dn 11:39, TNM.
אֱלֹהִים
elohìm
אֱלֹהֵי
elohè *
Dio
dio
dèi
dea
Questo termine esiste solo al plurale (in ebraico ci sono parole che hanno solo il plurale, come màym, “acqua”, e shamàym, “cielo”). È un nome diverso dal precedente el. Può indicare il Dio unico: “In principio Dio [אֱלֹהִים (elohìm)] creò i cieli e la terra” (Gn 1:1, TNM). Può indicare anche un singolo dio pagano: “Il tuo cuore si è insuperbito, e continui a dire: ‘Io sono un dio [אל (el)]. Mi sono seduto nel posto di dio [אֱלֹהִים (elohìm)]” (Ez 28:2, TNM). Può indicare degli dèi pagani: “Ora davvero so che Geova è più grande di tutti gli [altri] dèi [אֱלֹהִים (elohìm)]” (Es 18:11, TNM). Può indicare perfino una dea: “Hanno cominciato a inchinarsi davanti ad Astoret dea [אֱלֹהֵי (elohè)] dei sidoni”. – 1Re 11:33, TNM.
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* Elohè è un’altra forma plurale di elohìm, proprio come nel plurale della parola “figlio” (בן, ben), che fa banìm oppure benè: “Ho io ancora figli [בָנִים (banìm)]”? (Rut 1:11, TNM); “I figli [בְּנֵי (benè)] della mia propria madre”. – Cant 1:6, TNM.
Tornando alla prima sezione di Sl 89, al v. 14 è detto di Dio: “Bontà e verità emanano dal tuo volto”. TNM svilisce questa “bontà” riducendola a “amorevole benignità”. A parte il fatto che è difficile immaginare una benignità non amorevole, qui non si coglie tutta la grandiosità dell’espressione ebraica חֶסֶד וֶאֱמֶת (khèsed veèmet) – “bontà e fedeltà”, come sarebbe meglio tradurre – riferita a Dio. “Bontà e fedeltà” sono spesso nella Scrittura un binomio inscindibile applicato a Dio. La parola “bontà” è un povero espediente per tradurre la parola ebraica khèsed (חֶסֶד), che non ha equivalente degno nelle nostre lingue occidentali. L’idea centrale è quella di un grande affetto fedele. Un’idea di khèsed la possiamo avere in Gn 19:19: “Tu [Dio] hai mostrato la grandezza della tua bontà verso di me”. Davvero non si può tradurre. Ma non è proprio il caso di banalizzare traducendo “amorevole benignità” (TNM) e mettendo una nota in calce che peggiora: “O, ‘il tuo amore leale’”, come se potesse esistere un vero amore che non sia leale. Stiamo parlando della bontà di Dio, quel tipo di bontà che fece sussultare Yeshùa e gli fece dire: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne Dio!” (Mr 10:18, PdS). In quanto a èmet (אֱמֶת), significa sì “verità”, ma contiene l’idea della solidità e della sicurezza; indica anche la fedeltà.
Al v. 10 NR traduce: “Hai stroncato l’Egitto, ferendolo a morte”; questa è una traduzione interpretativa. TNM è più letterale: “Tu stesso hai schiacciato Raab, perfino come un ucciso”. A parte il poco senso di “perfino come un ucciso”, che non si capisce cosa voglia dire, qui ci interessa “Raab”. L’ebraico ha letteralmente: “Tu calpestasti come un ferito ràhav” (אַתָּה דִכִּאתָ כֶחָלָל רָהַב, attà dikìta chekhalàl ràhav). Come abbiamo già visto, ràhav può indicare l’Egitto. Etimologicamente significa “eccitato / superbo / tracotante”. Ma non è detto che ogni volta debba per forza indicare l’Egitto. Altrove indica un mostro marino. Ora, il contesto in cui si trova qui nel salmo ci obbliga proprio a vedervi un’allusione a tale mostro, che nella credenza ebraica era il mostro primitivo combattuto da Dio prima di creare l’universo (Gn 1:1; Sl 104:6). Ne parlano tutte le mitologie antiche e i mesopotamici lo chiamavano Timat. Anche nella Bibbia si parla della lotta vittoriosa di Dio contro i mostri primordiali:
Ràhav (רַהַב) – “Non sei tu [il braccio di Dio] quello che fece a pezzi Raab, che trafisse il mostro marino?”. – Is 51:9, TNM.
Tanìn (תַּנִּין) – “Non sei tu [il braccio di Dio] quello che fece a pezzi Raab, che trafisse il mostro marino [תַּנִּין (tanìn)]?”. – Is 51:9, TNM.
Livyatàn (לִוְיָתָן) – “Tu stesso facesti a pezzi le teste di Leviatan”. – Sl 74:14, TNM.
Questo senso di mostro marino è richiesto dal parallelismo tra ràhav e “mare” ai vv. 9 e 10. Ma è anche richiesto dal fatto che nei vv. 11 e 12 si continuano a descrivere i vari atti creativi di Dio. Naturalmente, per il poeta queste allusioni alla battaglia divina contro le acque ricoprenti all’origine ogni cosa hanno solo valore illustrativo retorico. Sono parole letterarie che alludendo a concetti di quel tempo intendono solo esaltare la potenza di Dio nella creazione dell’universo.
Sl 89:19-36 – La promessa (NR)
19 Tu parlasti allora in visione al tuo diletto, 1
e dicesti: «Ho portato aiuto 2 a un prode,
ho innalzato un eletto fra il popolo.
20 Ho trovato Davide, mio servo,
l’ho unto con il mio santo olio;
21 la mia mano lo sosterrà saldamente
e il mio braccio lo rafforzerà.
22 Il nemico non lo sorprenderà 3
e il perverso 4 non l’opprimerà.
23 Io disperderò davanti a lui i suoi nemici
e sconfiggerò quelli che l’odiano. 5
24 La mia fedeltà e la mia bontà saranno con lui 5
e nel mio nome crescerà la sua potenza. 6
25 Stenderò la sua mano sul mare e la sua destra 7 sui fiumi. 8
26 Egli m’invocherà, dicendo: “Tu sei mio Padre,
mio Dio, e la ròcca 9 della mia salvezza”.
27 Io inoltre lo costituirò mio primogenito, 10
il più eccelso dei re della terra. 11
28 Gli conserverò la mia grazia per sempre,
il mio patto con lui rimarrà stabile.
29 Renderò eterna la sua discendenza
e il suo trono come i giorni dei cieli. 12
30 Se i suoi figli abbandonano la mia legge 13 14
e non camminano secondo i miei ordini, 14
31 se violano i miei statuti 14
e non osservano i miei comandamenti, 14
32 io punirò il loro peccato con la verga 15
e la loro colpa con percosse;
33 ma non gli ritirerò la mia grazia
e non verrò meno alla mia fedeltà. 13
34 Non violerò il mio patto
e non muterò quanto ho promesso.
35 Una cosa ho giurato 16 per la mia santità,
e non mentirò a Davide:
36 la sua discendenza durerà in eterno
e il suo trono sarà davanti a me come il sole,
37 sarà stabile per sempre come la luna;
e il testimone ch’è nei cieli è fedele». 17 [Pausa]
Note:
Questa seconda parte (sezione mediana) del Sl 89 tratta dell’oracolo divino circa la dinastia davidica.
1 “Al tuo diletto”. TNM ha “ai tuoi leali”, che è più corretto (l’ebraico ha “ai fedeli di te”). Si tratta di Samuele (1Sam 16) e del profeta Natan, come racconta 2Sam 7:17. La scelta di Davide come re è descritta in 1Sam 16:4-13.
2 “Aiuto”. Così anche TNM. Tuttavia, la parola “aiuto” qui non ha molto senso. NR corregge il verbo in “ho portato aiuto” per armonizzare con “aiuto”. TNM, che sta sul letterale, mantiene il verbo ebraico: “Ho posto aiuto”. Ed è proprio questo verbo che mette in dubbio la traduzione “aiuto”: un aiuto non si pone, ma si porge o si reca. Come se non bastasse, l’ebraico ha proprio “su” (עַל, al) e non “a” (NR); la frase è proprio come tradotta da TNM: “Ho posto aiuto su”; “su un prode”, dice l’ebraico, tradotto “su un potente” da TNM. La frase ebraica non ha molto senso e obbliga ad aggiustamenti (NR) o a traduzioni letterali senza senso. Esaminando bene il testo ebraico si scopre l’arcano. La parola tradotta “aiuto” è עֵזֶר (èzer). Ora si noti la parola simile al v. 39, che significa “diadema”. Questa somiglianza e il parallelismo del v. 19b ci fanno pensare ad un errore di trascrizione. Se correggiamo èzer in nèzer tutto fila bene: il senso, il verbo, la preposizione “su” e il parallelismo. – Cfr. Sl 21:6;132:18; 2Re 11:12.
v. 19
עֵזֶר
èzer
“aiuto”
v. 39
נִזְר
nèzer
“diadema”
Ricostruzione
“In quel tempo parlasti in una visione ai tuoi fedeli, e dicevi:
‘Ho posto un diadema su un potente; ho esaltato uno scelto fra il popolo’”.
3 “Il nemico non lo sorprenderà”. Traduzione oscura. Ma, in verità, è oscuro il significato di tutto il verso ebraico. TNM fa volare talmente la fantasia che quasi siamo in imbarazzo a riprodurre la loro traduzione: “Nessun nemico farà esazioni da lui” (sic). Il testo ebraico potrebbe essere tradotto: “Il nemico non lo opprimerà”.
4 “Il perverso”, reso “figlio d’ingiustizia” da TNM. L’ebraico ha “figlio d’iniquità”. La parola “figlio” (בן, ben) è segno di categoria: la persona appartenente alla categoria degli iniqui.
5 Tutti i nemici del re messianico saranno debellati dal potere divino: Dio sosterrà il suo eroe.
6 “Potenza”: traduzione interpretativa. L’ebraico ha “corno” (cfr. TNM). Il corno è segno di potenza in quanto serve agli animali come arma di offesa e di difesa.
7 La “destra” è un’allusione all’uso dei monarchi assiri che assumevano il titolo di re solo dopo aver toccato personalmente il mare occidentale e quello orientale tramite una cerimonia.
8 Il potere del re si estenderà. Il “mare” è il Mediterraneo, ad occidente. I “fiumi” sono l’Eufrate a nord-est e il Nilo a sud. “In quel giorno il Signore fece un patto con Abramo, dicendo: ‘Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate’” (Gn 15:18). “Egli dominerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra”. – Sl 72:8.
9 “Rocca” o “roccia” (TNM). Per l’immagine della “roccia” si vedano questi altri passi:
Sl 18:2
“Il Signore è la mia ròcca, la mia fortezza, il mio liberatore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio”
Sl 95:1
“Venite, cantiamo con gioia al Signore, acclamiamo alla ròcca della nostra salvezza!”
Dt 32:15
“[Iesurun] ha abbandonato il Dio che lo ha fatto e ha disprezzato la Rocca della sua salvezza”
10 “Primogenito” indica il primo fra tutti i re. Il primogenito è quello che, nella Bibbia, aveva diritto all’eredità paterna. Non si faccia qui l’errore classico del direttivo dei Testimoni di Geova, che – prendendo alla lettera! – credono che Yeshùa sia stato il primogenito di tutta la creazione. Si noti, invece, che la Scrittura dice: “Io stesso lo porrò come primogenito” (v. 27, TNM). È il modo ebraico in cui la Bibbia si esprime. Questo vale per Davide, il tipo, e per Yeshùa, l’antìtipo. Esattamente come vale per il popolo di Israele: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito” (Es 4:22); “Il Signore ti ha fatto oggi dichiarare che sarai un popolo che gli appartiene, come egli ti ha detto, e che osserverai tutti i suoi comandamenti, affinché egli ti metta al di sopra di tutte le nazioni che ha fatte, quanto a gloria, rinomanza e splendore e tu sia un popolo consacrato al Signore tuo Dio com’egli ti ha detto” (Dt 26:18,19; cfr. 28:1). Si ricordi poi che mentre per gli egizi il re era divinizzato, per gli ebrei era solo il figlio di Dio, il suo rappresentante sulla terra. In 2Sam 7 la frase relativa a Dio che diventa Padre del re è riferita a Salomone: “Tu [Davide] riposerai con i tuoi padri, io innalzerò al trono dopo di te la tua discendenza, il figlio [Salomone] che sarà uscito da te, e stabilirò saldamente il suo regno. Egli costruirà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio” (vv. 12-14). Qui nel salmo, invece, è riferita a Davide. Ed è riferita a Yeshùa quale antìtipo. Ciò che è detto al padre vale anche per la discendenza.
11 Qui c’è un forte senso messianico. Davide è solo un imperfetto tipo storico (cfr. 2Sam 7). L’antìtipo è Yeshùa: è in lui che si adempiono completamente le promesse di Dio. “Infatti, a quale degli angeli ha mai detto: ‘Tu sei mio Figlio, oggi io t’ho generato’? e anche: ‘Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio’?”. – Eb 1:5.
12 Il trono davidico sarà stabile e durerà “come i giorni dei cieli”, vale a dire fino a quando durerà il cielo. – Cfr. Dt 11:21.
13 Sempre a proposito di errori del direttivo americano dei Testimoni di Geova, che sostengono che Dio avrebbe rinnegato Israele, si notino bene i vv. 30-33: “Se i suoi figli abbandonano la mia legge e non camminano secondo i miei ordini, se violano i miei statuti e non osservano i miei comandamenti, io punirò il loro peccato con la verga e la loro colpa con percosse; ma non gli ritirerò la mia grazia e non verrò meno alla mia fedeltà”. Anche se “non osservano i miei propri comandamenti” (v. 31, TNM), dice Dio, li punirò, ma “non gli ritirerò la mia grazia e non verrò meno alla mia fedeltà”.
14 Si notino le quattro parole più o meno sinonime, ai vv. 30 e 31, tutte in parallelismo. Anzi: per ottenere il tanto amato parallelismo.
Ebraico: תורה (toràh), “legge”;
משפטים (mishpatìm), giudizi;
חקת (kheqòt), “norme”;
מצות (mitzvòt), “comandi”.
NR, TNM, CEI* (*in CEI è in Sl 88:21,32): “legge”.
NR: “ordini”.
TNM: “decisioni giudiziarie”.
CEI*: “decreti”.
NR, TNM, CEI*: “statuti”.
NR, TNM: “comandamenti”.
CEI*: “comandi”.
15 “Verga”. La verga è usata da Dio per punire a scopo educativo. “Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama, lo corregge per tempo” (Pr 13:24). “La verga e la riprensione danno saggezza” (Pr 29:15). Questa correzione avviene senza che Dio ritiri la sua promessa a Davide, ai suoi discendenti e al suo popolo: “Ma non gli ritirerò la mia grazia e non verrò meno alla mia fedeltà. Non violerò il mio patto e non muterò quanto ho promesso. Una cosa ho giurato per la mia santità, e non mentirò a Davide: la sua discendenza durerà in eterno e il suo trono sarà davanti a me come il sole, sarà stabile per sempre come la luna” . – Vv. 33-37; vedere anche nota n. 13.
16 “Ho giurato”. Si noti l’insistenza con cui Dio garantisce la paternità della discendenza davidica: per giuramento divino sarà stabile come il sole e la luna. Dio non può giurare per qualcosa superiore a se stesso, dunque giura ‘per la sua santità’, ovvero per ciò che lo rende superiore e separato dal mondo.
17 È meglio tradurre: “[Il] testimone nelle nubi è fedele”, proprio come dice l’ebraico. Ciò è conforme al pensiero ebraico secondo cui Dio si nasconde nelle nuvole e ne fa uno sgabello per i suoi piedi. “Nasconde l’aspetto del suo trono, vi distende sopra le sue nuvole” (Gb 26:9). “Nuvole e oscurità lo circondano” (Sl 97:2). “Le nuvole sono la polvere dei suoi piedi” (Naum 1:3). Conoscendo il linguaggio biblico, la traduzione proposta dà un senso migliore che non l’enigmatica traduzione di altri: “Come testimone sulle nubi, fedele”. Ridicola è invece TNM: “Testimone fedele nei cieli nuvolosi”.
Altre annotazioni:
Questa parte del salmo è messianica? Sì. Ma solo in senso generico. Di fronte alla situazione dolorosa che dura da molto (“Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto e l’ira tua arderà come fuoco?”, v. 46) e in cui la dinastia regale è caduta (“Tu ti sei adirato contro il tuo unto [il re], l’hai respinto e disprezzato”, v. 38), un ignoto autore (tale Etan, v. 1) – sperando contro ogni speranza – ricorda a Dio le antiche promesse fatte a Davide per bocca di Natan, quelle cioè di voler conservare in perpetuo la dinastia davidica. Ma le promesse di Dio non vengono mai meno (Gs 21:45; Is 55:10,11; Rm 5:5; Mt 19:26; Eb 10:23). La promessa di Dio si attuerà pienamente solo con Yeshùa, di cui però gli ebrei non compresero il valore spirituale della missione. Sarà Yeshùa a portare benessere e felicità al popolo di Dio, lo stesso popolo ebraico che fu il popolo di Yeshùa. Sono perciò esagerate le parole di Agostino (De civitate Dei 17,2) che pretendono di trovare in questo salmo un’allusione diretta al messia. La situazione presente quando il salmo fu composto era questa:
- L’unto (v. 38; il re consacrato) è respinto, il patto sembra ripudiato: “Tu hai rinnegato il patto con il tuo servo” (v. 39). Le fortezze sono diroccate e depredate: “Hai abbattuto tutti i suoi baluardi, hai ridotto in rovine le sue fortezze. Tutti i passanti l’hanno saccheggiato”. – Vv. 40,41.
- Gli avversari hanno la meglio. Lo “splendore” (segno della protezione divina) è scomparso dall’unto (il re consacrato), caduto in miseria e ignominia: “Tu hai reso vittoriosa la destra dei suoi avversari, hai rallegrato tutti i suoi nemici . . . Hai fatto cessare il suo splendore e hai gettato a terra il suo trono”. – Vv. 42-44.
- Vengono presentate diverse ragioni per persuadere Dio pregandolo affinché la prova abbia termine: “Ricòrdati quant’è breve la mia vita, e per quale vanità hai creato tutti i figli degli uomini! . . . Signore, dov’è la tua antica bontà che giurasti a Davide nella tua fedeltà? Ricorda, Signore, l’oltraggio fatto ai tuoi servi . . . ricordati . . . l’oltraggio di cui t’hanno ricoperto i tuoi nemici, o Signore, l’oltraggio che hanno gettato sui passi del tuo unto”. – Vv. 47-51.
Sembra che sia qui descritto il periodo esilico, infatti ‘le fortificazioni sono ridotte in rovina” (v. 40). Anzi, l’ebraico dice che sono ridotta in rovina כָל־גְּדֵרֹתָיו (chol-ghederotàyu), “tutte le sue mura”. La città è indifesa e ogni passante può saccheggiarla (v. 41). Il trono è rovesciato: “Hai gettato a terra il suo trono” (v. 44). È poco probabile che la situazione descritta riguardi l’invasione della Palestina da parte di Sesac al tempo di Roboamo. La descrizione pare proprio quella del tempo esilico.