Il significato del Cantico
È il problema più discusso su questo libro biblico, che ha sempre agitato le menti dei commentatori. Come mai un libro d’amore, carico d’erotismo, d’intonazione che sembra profana, ha potuto entrare nel canone della Sacra Scrittura? Gli esegeti rispondono in varie maniere. Analizziamole.
Teoria allegorica. Il Cant sarebbe un’allegoria continuata che descrive l’amore di Dio (personificato da Salomone) verso il popolo ebraico (la sposa). Sarebbe la storia di Israele con Dio. Nel periodo “cristiano” (e quando diciamo “cristiano” non ci riferiamo al periodo apostolico, ma a quello eretico della deviazione successiva) vi si sostituì l’amore del Cristo per la sua chiesa, con tendenze mistiche. Ai nostri giorni si cerca di identificare meglio gli eventi particolari della storia ebraica che sono evocati in Cant.
Interpretazione tradizionale giudaico-“cristiana”. Anche se preso gli ebrei non è sconosciuta una corrente che intendeva il Cant come una serie di canti amorosi nuziali, di fatto prevalsero le interpretazioni allegoriche di Yohanan ben Zakikai (Mekhità su Es 14,13) e del 1° secolo E. V. di R. Aqiva, del quale sono famose le parole:
“Nessun israelita ha mai dubitato che il Cantico dei Cantici contamini le mani, vale a dire sia ispirato e canonico, perché il mondo tutto quanto non sorpassa in valore il giorno in cui il Cantico dei Cantici fu dato a Israele. Tutti i ketuvìm sono santi, ma il Cantico dei Cantici è il più santo di tutti”. – Toseftà, Sanhedrin XII, 10: Mishnà, Yayìm III, 5, Avòth I.
Il fatto che R. Aqiva lanciò l’anatema contro chiunque l’avesse cantato in qualche banchetto come canto profano dimostra che il Cantico non aveva più un senso letterale. Difatti, nella sulammita egli vedeva la nazione giudaica, in Salomone vedeva Dio, in tutto il libro la storia di Israele fino al messia.
Questo metodo di interpretare il Cantico passò dal giudaismo al “cristianesimo” che vi vide l’amore del Cristo e della sua chiesa. Così Origène (morto nel 254). E così per tutti gli esegeti antichi fino al Medioevo. Origène, a capo della scuola allegorica alessandrina, in un’opera in dieci volumi (di cui solo un terzo è giunto fino a noi in traduzione latina) spiegava il Cant secondo il noto principio dei tre sensi: 1. letterale; amore umano tra marito e moglie (da scartarsi, secondo lui, perché inammissibile e indegno dello spirito santo); 2. morale; amore dell’anima per il suo fidanzato celeste; 3. mistico; unione spirituale tra Cristo e la chiesa.
Teodoreto (morto nel 457) si scagliò contro l’interpretazione di Teodoro di Mopsuestia, che vi vedeva un amore puramente umano, tornando così all’allegorismo origeniano. Tale allegorismo diventò con Cirillo d’Alessandria (morto nel 444) tanto fantasioso e stravagante al punto di vedere nella lettiga di Salomone (3:7) la croce, nella corona nuziale (3:11) la corona di spine e così via.
Il secondo concilio Trullano (nel 692) approvò ufficialmente l’esegesi dei padri ortodossi. A questa stessa interpretazione è rimasto ancorato il corpo dirigente della Watch Tower: “Tale è l’inalterabile amore che c’è fra Gesù Cristo e la sua ‘sposa’ o congregazione generata dallo spirito. (Rivelazione 21:2, 9; Efesini 5:21-33) E come lo descrive bene Il Cantico dei Cantici!”. – La Torre di Guardia del 15 novembre 1987, pag. 24.
Interpretazione mistica. Secondo l’opinione diffusasi nel Medioevo, all’allegoria tra Dio e Israele oppure tra il Cristo e la chiesa, va aggiunta un’altra allegoria riguardante l’unione dell’anima individuale con Dio. Basti qui riprodurre parte dell’esegesi allegorica di Bernardo di Chiaravalle nei suoi 80 Sermoni sui primi due capitoli di Cant. Sulle parole “Mi baci egli dei baci della sua bocca” (1:2) così egli commenta:
“Chi è che dice questo? La sposa. E chi è la sposa? L’anima assetata di Dio. Ma io voglio qui accennare a varie categorie di affetti, affinché quello che è proprio della sposa sia in più limpida evidenza. Se uno è schiavo, in presenza di Dio, trema; se è servo, s’attende qualcosa dalla mano di Dio; se è discepolo, porge orecchio a Dio come a un maestro; se è figliolo, l’onora come un padre; ma colei che chiede un bacio ama. Questo amore appassionato è il più sublime fra i doni di natura, specialmente quando torna alla propria origine che è Dio. E per esprimere i dolci affetti che uniscono Cristo all’anima non esistono nomi tanto dolci come quello di sposa e sposo, poiché lo sposo e la sposa hanno tutto in comune, non hanno nulla che uno pretenda a danno dell’altra, nulla in cui l’altro non abbia parte”.
Con tale interpretazione allegorica, sin dal Medioevo si è voluto introdurre da alcuni cattolici – come è ovvio – anche Maria. In alcuni passi di Cant si è voluto perfino trovare un’allusione alla sua presunta ascensione al cielo: “Chi è colei che sale dal deserto”? (3:6). Si tratta di pura interpretazione di comodo. Come l’interpretazione – sempre di comodo – che vede nella “tazza rotonda” di 7:3 il calice della messa; o come quella – sempre di comodo – che vede nelle concubine di Salomone (6:8,9) le varie sette religiose.
- Espressione allegorica più recente. In generale i cattolici odierni continuano sulla scia precedente, cercando anzi di individuare meglio i singoli eventi storici cui il Cantico alluderebbe sotto il velo dell’allegoria. Feuillet vi trova i particolari della storia ebraica dall’esilio al ritorno in patria. Tale ipotesi fu seguita anche dal Dalmazio nella Bibbia Garzanti e con entusiasmo esagerato dal Cucchi nella Bibbia Concordata. Ecco alcuni esempi di questa interpretazione allegorica:
● “Il nostro letto” di 1:16 sarebbe una metafora del territorio palestinese che sarebbe tornato ad essere fiorente dopo le devastazioni della conquista di Nabucodonosor.
● La “nostra grande casa” di 1:17 (TNM) sarebbe il Tempio di Gerusalemme.
● “Le fanciulle” di 1:3 sarebbero le nazioni di cui Siòn sarebbe diventata regina.
● “I giovani” di 2:3 sarebbero i re delle nazioni.
● Le “schiacciate d’uva passa” (2:5) indicherebbero il culto.
● Il “muro”, la “finestra” e “le persiane” evocherebbero la schiavitù dell’esilio.
● “Le volpi” e “le volpicine” in 2:15 si riferirebbero a popoli e tribù confinanti che razziano Israele.
● “Casa di mia madre” (3:4) indicherebbe il Tempio, la “madre” sarebbe la nazione ebraica(!).
● “Chi è colei che sale dal deserto”? (3:6): descriverebbe la carovana dei reduci dall’esilio, in cui i “prodi” (3:7) indicherebbe la potenza divina.
● Il “giardino serrato” (4:12) indicherebbe che Israele appartiene solo a Dio.
● Le due mammelle (4:5) indicherebbero i due colli di Gerusalemme.
In questa interpretazione, lo stesso nome di “sulamita” (7:1) indicherebbe Gerusalemme, in quanto si fa derivare il nome da shlomòh (Salomone), “pacifico”; sarebbe quindi la “pacifica” (Salem, l’antica Gerusalemme, significa “pace”).
Ma con tutte le stranezze precedenti si può far dire al Cant quello che si vuole: basta la fantasia!
- Interpretazione mista o tipica. Si tratta di un’interpretazione simile alla precedente, ma che interpreta il Cant anche in senso letterale. Si tratterebbe di un canto nuziale tipico, in cui l’antìtipo sarebbe l’amore di Dio per Israele e l’amore di Cristo per la sua congregazione. Così Giansenio di Gand nel 16° secolo, Bossuet nel 17°, Calmet nel 18° e alcuni autori odierni anche protestanti (Delitsch, Zükler).
I primi rappresentanti di questo sistema appaiono ben definiti soltanto nel 12° secolo, sia presso gli ebrei (escludendovi il Cristo, ovviamente) che presso i “cristiani”. Tuttavia, non ebbero seguito. Occorrerà attendere fino al 16° secolo perché questo sistema esegetico venga accettato. Oggi, presso i cattolici, di rado è accettato.
Giudizio sulle precedenti ipotesi. È vero che la Bibbia parla dell’amore di Dio per Israele e dell’amore di Israele per Dio come di un rapporto tra marito e moglie. Già nel Pentateuco l’idolatria è paragonata all’adulterio: “Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese, altrimenti, quando quelli si prostituiranno ai loro dèi e offriranno sacrifici ai loro dèi, potrà avvenire che essi t’invitino e tu mangi dei loro sacrifici, prenda delle loro figlie per i tuoi figli, e le loro figlie si prostituiscano ai loro dèi e inducano i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi” (Es 34:15,16; cfr. Lv 20:5,6). Anche in Es 20:5 l’espressione “io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso” esprime il sentimento di gelosia del marito nei confronti della moglie. Ciò suppone che l’alleanza al Sinày sia paragonata ad un contratto nuziale. In altri passi biblici le allegorie si ampliano ancora di più.
In Os 2:16-20 le disgrazie familiari del profeta Osea diventano immagini dell’unione d’amore tra Yhvh e il suo popolo:
“’Quel giorno avverrà’, dice il Signore, ‘che tu mi chiamerai: Marito mio! e non mi chiamerai più: Mio Baal! Io toglierò dalla sua bocca i nomi dei Baal, e il loro nome non sarà più pronunciato. Quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; spezzerò e allontanerò dal paese l’arco, la spada, la guerra, e li farò riposare al sicuro. Io ti fidanzerò a me per l’eternità; ti fidanzerò a me in giustizia e in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà, e tu conoscerai il Signore’”.
Si possono anche leggere i seguenti passi:
Scritture Ebraiche
“Così parla il Signore: ‘Dov’è la lettera di divorzio di vostra madre con cui io l’ho ripudiata? . . . per i vostri misfatti vostra madre è stata ripudiata”. – Is 50:1.
“Il tuo creatore è il tuo sposo . . . il Signore ti richiama come una donna abbandonata . . . come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata . . . con un amore eterno io avrò pietà di te”. – Is 54:5-8, passim.
“Così dice il Signore: Io mi ricordo dell’affetto che avevi per me quand’eri giovane, del tuo amore da fidanzata”. – Ger 2:2.
“’Tu, che ti sei prostituita con molti amanti, ritorneresti da me?’ dice il Signore . . . ‘Benché io avessi ripudiato l’infedele Israele a causa di tutti i suoi adulteri e le avessi dato la sua lettera di divorzio, ho visto che sua sorella, la perfida Giuda, non ha avuto alcun timore, ed è andata a prostituirsi anche lei’ . . . ‘Torna, o infedele Israele’, dice il Signore”. – Ger 3:1-12, passim.
Scritture Greche
“Gesù disse loro: ‘Possono gli amici dello sposo far cordoglio finché lo sposo è con loro? Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno’”. – Mt 9:15.
“Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio”. – Mt 22:2.
“Colui che ha la sposa è lo sposo”. – Gv 3:29.
“Sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo”. – 2Cor 11:2.
“Queste cose hanno un senso allegorico; poiché queste donne sono due patti; uno, del monte Sinai, genera per la schiavitù, ed è Agar. Infatti Agar è il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente, che è schiava con i suoi figli. Ma la Gerusalemme di lassù è libera, ed è nostra madre”. – Gal 4:24-26; al v. 27 si cita Is 54:1.
“Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa . . . anche Cristo ha amato la chiesa . . . Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa”. – Ef 22-32, passim.
“sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata . . . Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. – Ap 19:7-9, passim.
“E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”, “Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello”. – Ap 21:2,9.
Come si vede, le Scritture Greche riprendono l’allegoria marito-moglie, che nelle Scritture Ebraiche era applicata a Dio-Israele, riferendola a Yeshùa-congregazione.
Talora le espressioni bibliche diventano molto crude, come quando si dice che Dio ripudia e poi riprende Israele. – Ger 3:1-12.
Yhvh sposa due sorelle: “Benché io avessi ripudiato l’infedele Israele a causa di tutti i suoi adulteri e le avessi dato la sua lettera di divorzio, ho visto che sua sorella, la perfida Giuda, non ha avuto alcun timore, ed è andata a prostituirsi anche lei”. – Ger 3:8; cfr. anche Ez 23:43.
Tuttavia, questi brani allegorici riguardanti l’amore di Dio verso il suo popolo presentano la chiave interpretativa tramite la spiegazione che vi è annessa. Ad esempio, quando in Ez 3:8 Dio parla di Israele chiamando in causa i suoi adulteri che hanno motivato la sua lettera di divorzio, è del tutto chiaro ed evidente che si tratta di un allegoria: è Dio che parla che parla in questi termini e l’espressioni usate non possono avere altro significato che quello allegorico. Nel Cantico, però, questa chiave interpretativa – a differenza di tutti gli altri passi biblici – non ci è offerta. Ciò significa che gli esegeti hanno interpretato soggettivamente, per conto loro, e gratuitamente i passi di Cant. Così facendo riducono – senza averne la giustificazione – le bellissime metafore piene di calore e di vita ad una serie di scialbi richiami e dati storici che nessuno si sarebbe mai sognato di scoprire. Così, Salomone lo fanno diventare Dio; il gregge lo trasformano in popolo di Dio; e così via.
Va poi notato un altro aspetto importante. I passi biblici in cui Dio è paragonato (in modo chiaro ed evidente) al marito di Israele, mai si soffermano a descrivere il corpo divino: presentano solo la miseria della sposa-Israele caduta in adulterio (ovvero nell’idolatria). In tutti quei passi permane l’idea ebraica e biblica che Dio non ha sesso e non ha moglie. L’ebreo, leggendo, capisce l’allegoria e non va oltre. È vero che la Bibbia attribuisce – nel linguaggio concreto degli ebrei – a Dio mani e braccia, occhi e orecchi, ma la Bibbia non parla mai di caratteri sessuali divini. Il Cantico costituirebbe allora l’unica eccezione, cosa questa che ci fa dubitare fortemente dell’interpretazione tradizionale delle chiese. Se si vuole ammettere che il Cantico parla dell’amore tra Dio e Israele o tra Yeshùa e la sua congregazione, bisogna portare ragioni più che valide per sostenere una tesi che fa letteralmente a pugni con la mentalità biblica. Queste ragioni mancano. Si segue solo la tradizione imposta dai primi esegeti.
Dobbiamo anche notare che in tutte le religioni i canti in origine amorosi sono sempre poi stati reinterpretati in senso spirituale. Così i canti cinesi, così le scene d’amore di Krishna, così i poemi eroici della Georgia. Ma quella della Bibbia non è una religione: è rivelazione.
A questo punto, mancandone la chiave interpretativa, il povero lettore religioso ed occidentale potrebbe pensare che il Cantico si ridurrebbe ad un vero rebus, a un indovinello del tutto astruso e assurdo. Ma non è così. Ciò sarebbe contrario allo spirito positivo degli ebrei.
Teoria dell’interpretazione liturgica. Secondo l’interpretazione diffusasi negli ultimi decenni, il Cantico sarebbe stato originariamente una liturgia che in modo drammatico celebrava le nozze del dio Tammuz (Hadad, Addu, Dod) con la dea Ishtar (Astarte, Venere) e con cui i sacerdoti e le ierodule celebravano il nuovo anno. Così la pensano S. Minocchi (Le perle della Bibbia: il Cantico dei Cantici, l’Ecclesiaste, Bari), A. Haller (Dal Hole Lied fünf Megilloth) e T. J. Meek (The Song of Songs and the Fertilità Cult, Filadelfia). Il Cantico sarebbe il residuo di un antico culto degli dèi della fecondità che gli israeliti avrebbero accolto dagli agricoltori cananei. Queste liturgie si troverebbero sia in Cant che in Sl 45. A detta di questi esegeti, ovviamente.
Dobbiamo riconoscere che tracce di sopravvivenza del culto del dio Tammuz sono rimaste nel giudaismo. Ci riferiamo all’usanza tuttora rispettata dagli ebrei italiani di preparare dei giardini ad inizio anno. Tali giardini altro non sono che la continuazione degli antichi “giardini di Adone” reinterpretati in senso monoteista. – Cfr. I giardini d’Adone in un’usanza degli Ebrei d’Italia di A. Neppi-Modona, in Bilychnis Vol. XXII, pagg. 165-173.
Secondo questa interpretazione l’epiteto dodì (דֹּודִי) attribuito in Cant allo sposo sarebbe una sopravvivenza del nome dod, divinità palestinese corrispondente al dio Tammuz. “Ecco la voce del mio amico [dodì, דֹּודִי, “amato di me”]!” (2:8). Anche “Salomone” (shlomòh, שְׁלֹמֹה) sarebbe un’interpretazione tardiva di shelem, altro nome di Tammuz. “Sulamita” (shulamìt, שּׁוּלַמִּית) sarebbe l’interpretazione di shala o shulmanitu, la moglie di Dod. Si tratta però di etimologie molto incerte che non possono essere addotte come sicure. Vero è, comunque, che il culto di Tammuz fu introdotto perfino a Gerusalemme: “Mi condusse all’ingresso della porta della casa del Signore, che è verso settentrione; ed ecco là sedevano delle donne che piangevano Tammuz” (Ez 8:14). La lettura del Cantico durante la festa ebraica della Pasqua (nel periodo del capodanno ebraico all’inizio della primavera) favorirebbe questa interpretazione.
L’importanza del culto della vegetazione presso i cananei è ora ben documentata grazie alle recenti scoperte della biblioteca di Ugarit. Ci è nota l’importanza della nudità in tali culti connessi alla prostituzione sacra. Gli interpreti di questa corrente fanno notare che i due innamorati del Cantico danzavano nudi, cosa che era permessa solo ai prostituti e alle prostitute sacre. Per sormontare l’obiezione che Cant entrò a far parte della Sacra Scrittura, questi esegeti dicono che il libro assunse poi per gli ebrei un significato spirituale. Noi rileviamo che la connessione di Cant con la Pasqua è alquanto tardiva: non la si trova prima del 6° secolo E. V., ovvero in epoca gnostica.
Aggiungiamo che le parole d’amore, presenti in Cant, usate da questi studiosi per dimostrare il rapporto con il culto della fertilità, non sono nient’altro che le parole d’amore che in tutti i tempi si usano tra innamorati.
Inoltre, la descrizione delle nudità in Cant non presuppone affatto che i due amanti danzassero nudi. Non è scritto da nessuna parte.
Non si riesce poi a capire come l’origine cultuale connessa con il dio pagano Tammuz possa aver favorito l’inclusione del Cantico nel canone ebraico. L’opposizione biblica ad associare Dio con il sesso e l’opposizione dei profeti ebrei a Tammuz dovevano piuttosto favorire l’esclusione e l’allontanamento del libro dal canone, se fosse vera l’ipotesi di questi studiosi.
È difficilmente pensabile, anzi è del tutto impensabile che una liturgia pagana sia stata accolta, sia pure reinterpretata, dal giudaismo ortodosso. E poi, dove sarebbero mai nel libro le tracce di questa pretesa reinterpretazione? Dato che non se ne trovano, si dovrebbe ammettere che un canto liturgico pagano tra due divinità sarebbe rimasto tal quale nella Bibbia. Questo è del tutto assolutamente impossibile.