La principale obiezione all’interpretazione naturalistica del Cantico, che abbiamo esaminato nello studio precedente, è quella che in tal caso non se ne capirebbe più l’ispirazione e la conseguente canonicità, né tanto meno la sua importanza teologica. Chi fa quest’obiezione continua a ripetere che l’interpretazione allegorica è quella tradizionale, per cui occorre vederci l’amore di Dio per Israele o quello di Yeshùa per la congregazione. Vediamo di rispondere.
Di fatto l’interpretazione allegorica si rinviene solo negli ultimi secoli giudaici e non rappresenta neppure tutta la tradizione “cristiana” in merito, essendoci state dai cosiddetti “padri della Chiesa” delle interpretazioni letterali.
Come abbiamo già visto, inoltre, l’allegoria amorosa della Bibbia non si spinge mai alla descrizione minuziosa.
La poesia amorosa non è poi indegna dell’ispirazione. Perché mai dovrebbe esserlo? L’interpretazione naturalistica è anzi in grado di stabilire meglio lo scopo e il posto del Cantico nella storia di Israele, spiegando la sua ispirazione e la sua canonicità.
Nell’antico Oriente la sessualità era esagerata (si pensi ai riti della fecondità) ed era divinizzata (si pensi ad Astarte). Il popolo ebraico, invece, non attribuì né un sesso né una moglie a Yhvh e proibì tutte le pratiche connesse al culto della fecondità. Il Cantico è l’espressione concreta di questa visuale equilibrata della sessualità. Non contiene tracce di una sua divinizzazione né di un suo disprezzo. Il Cantico vede la sessualità così com’è, così come Dio l’ha voluta per l’uomo e per la donna. La presenta come una realtà umana. È questo il significato teologico che dava al Cantico pieno diritto di entrare nel canone biblico. Questo significato teologico è valido e attuale ancora oggi contro le tendenze che anche oggigiorno sopravvalutano la sessualità o la disprezzano religiosamente. Su quest’aspetto dovrebbero riflettere specialmente i cattolici, esaltando meglio l’amore coniugale.
Va poi notato che l’orientale non trova affatto “piccanti” e indecenti certe descrizioni della nudità. Anche i racconti di Mille e una notte (che fanno parte della letteratura orientale) vanno oltre nella descrizione della donna e presentano affinità notevoli con il Cantico della Bibbia. Occorre stare attenti nel valutare il Cantico con la diffusa mentalità cattolica che è portata a vedere la colpa in ogni cosa attinente al sesso, imponendo perfino una castigatezza innaturale nell’uso dei vocaboli. Molti credenti, pur non essendo cattolici, possono inconsapevolmente risentire della mentalità cattolica. È il caso di quei genitori – solo per citare uno tra i tanti pessimi esempi – che insegnano ai loro figli a parlare di “pisellino” anziché di pene e che insegnano alle loro figlie a riferirsi all’italiano vulva come alla “farfallina”. Man mano che i figli crescono, il “pisellino” e la “farfallina” prendono il nome di “lì”, fino a riferirsi ad essi senza nominarli, come ad esempio quando una mamma domanda alla figlia se si è pulita “lì”. In questo modo i genitori, prigionieri essi stessi di un tabù, trasmettono il tabù. La deduzione dei figli che crescono non può essere, alla fine, che quella che il pene e la vulva siano cose “sporche” e innominabili. Questo non fa molto onore al creatore del pene e della vulva. Di certo fa il danno dei figli.
Gli insegnamenti che possiamo trarre dal Cantico sono di grande valore morale e spirituale. Questi insegnamenti gli danno pieno diritto di cittadinanza nel canone dei libri ispirati da Dio, senza la necessità di ricercarvi chissà quali pensieri reconditi superiori (non sarà poi che tale necessità è dettata solo dal rifiuto di vedere le cose come sono per un riserbo tutto religioso che è solo un tabù?).
Il matrimonio che consiste nell’unione dell’uomo con la donna è un bene in se stesso. Esso è voluto da Dio nella creazione (Gn 2:18-24;1:28), quando ancora tutto era buono, anzi “molto buono” (Gn 1:31). Il donare il proprio corpo l’uno all’altra non è biasimevole né volgare. È il momento in cui l’uomo e la donna si completano naturalmente e si sentono davvero “una stessa carne” (Gn 2:24). Nella Bibbia non c’è posto per un ascetismo in cui l’uomo rifugga la donna come qualcosa di peccaminoso, come fanno gli eremiti. Né c’è posto per un ritiro in cui la donna rifugga l’uomo come tentazione diabolica, come fanno le suore. Il matrimonio non è qualcosa di basso, secondo la mentalità manichea o catara. Paolo si fece al riguardo portavoce dello spirito di Dio: “Lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza. Essi vieteranno il matrimonio”. – 1Tm 4:1-3.
Yeshùa partecipò ad una festa nuziale e ne provvide lui stesso il vino (Gv 2:1-11). Le indicazioni bibliche indicano che gli sposi novelli non devono separarsi tra di loro neppure durante il servizio di guerra: “C’è qualcuno che si è fidanzato con una donna e non l’ha ancora presa? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e un altro se la prenda” (Dt 20:7). Nel matrimonio non tutto deve mantenersi entro il piano puramente spirituale: la reciproca attrazione fisica dei corpi ha un’importanza non indifferente. Le crisi matrimoniali nascono quando questa subisce rallentamenti o viene trascurata. La sua importanza è cantata nel Cantico dei Cantici. La verginità è ricordata solo in Cant 4:12: “O mia sorella, o sposa mia, tu sei un giardino serrato, una sorgente chiusa, una fonte sigillata”; ma si tratta di una condizione anteriore alle nozze.
L’amore sessuale va preso nella sua giusta misura, senza esagerarlo (come facevano i cananei) e senza degradarlo (come facevano gli gnostici). I cananei lo avevano sacralizzato in modo da introdurlo nei loro culti sacri mediante la prostituzione sacra e i riti della fecondità. Gli gnostici, che biasimavano la materia, lo pensavano un male da eliminare. La Bibbia ce lo mostra nella sua giusta luce, come qualcosa di buono da vivere entro i limiti del matrimonio e come qualcosa che diventi il premio di tutta una vita a due. Anche oggi, quindi, il Cantico ha il suo insegnamento da trasmetterci. Esso, contro la prostituzione, esalta l’amore coniugale.
“Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? No di certo! Non sapete che chi si unisce alla prostituta è un corpo solo con lei? ‘Poiché’, Dio dice, ‘i due diventeranno una sola carne’. . . . Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”. – 1Cor 6:15-20.
Il Cantico – e, quindi, la Bibbia – eleva il matrimonio al giusto livello.
“Ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. L’uomo sappia donarsi alla propria moglie, e così pure la moglie si doni al proprio marito. La moglie non deve considerarsi padrona di se stessa: lei è del marito. E neppure il marito deve considerarsi padrone di se stesso: egli è della moglie. Non rifiutatevi l’un l’altro”. – 1Cor 7:2-5, PdS.
L’amore vero è per sua natura monogamico. Il Cantico esalta l’amore dello sposo per la sposa e l’amore della sposa per lo sposo. L’unica amata vale per lui ben più di tutto l’harem salomonico: “Ci sono sessanta regine, ottanta concubine, e fanciulle innumerevoli; ma la mia colomba, la perfetta mia, è unica” (6:8,9). In Cant siamo già sulla via di un ritorno all’idea monogamica primitiva stabilita da Dio nella creazione: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Gn 2:24). Il Cant elimina le deviazioni inaugurate da Lamec: “Lamec prese due mogli” (Gn 4:19), e che con Salomone raggiunsero il culmine più vertiginoso: “Il re Salomone, oltre alla figlia del faraone, amò molte donne straniere: delle Moabite, delle Ammonite, delle Idumee, delle Sidonie, delle Ittite” (1Re 11:1). Con il Cant siamo già alla soglia del ristabilimento del volere divino che sarà attuato da Yeshùa: “Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chiunque sposa una donna mandata via dal marito, commette adulterio” (Lc 16:18), “Io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19:9), “Al principio della creazione Dio li fece maschio e femmina. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. L’uomo, dunque, non separi quel che Dio ha unito”. – Mr 10:6-9.
L’amore trasfigura la natura, la vita: tutto sembra divenire più bello. È come un raggio di sole che squarciando le nubi trasfigura il creato. In Cant – a differenza degli altri libri sacri della Bibbia – la natura appare in tutta la sua bellezza, mentre altrove è vista solo come un segno dell’intervento divino. Così, ad esempio, in Mt 5:45: “Egli [Dio] fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Si notino però in Cant le meravigliose descrizioni della natura vista da occhi innamorati:
“Sento la voce del mio amore, eccolo, arriva! Salta per le montagne come fa la gazzella; corre sulle colline, veloce come un cerbiatto”. – 2:8.
“I tuoi seni sembrano cerbiatti o gemelli di una gazzella che pascolano tra i gigli”. – 4:5.
“Corri, amore, Veloci come una gazzella o un cerbiatto sui monti profumati”. – 8:14.
“Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella! . . . I tuoi capelli ondeggiano come un gregge che scende dalle pendici del Galaad. I tuoi denti mi fanno pensare a un gregge di pecore da tosare, appena lavate. Tutte in fila, una accanto all’altra”. – 4:1,2, cfr 6:5,6.
“Il mio amore è venuto a godersi il suo giardino, a raccogliere i gigli tra aiuole di piante profumate. . . . Egli si diletta tra i gigli”. – 6:2,3.
“Le tue nascoste bellezze sono un giardino di melograni, dai frutti squisiti”. – 4:13.
“Tu sei una sorgente di giardino, fontana di acque vive, ruscello che scende dai monti del Libano”. – 4:15.
“Sei come un giardino recintato e chiuso, come una sorgente inaccessibile”. – 4:12.
(PdS)
Non vi è una strofa in cui non si parli di un riferimento geografico o topografico, di un metallo o di un minerale, di un animale domestico o selvaggio, di un albero o di una pianta, di un fiore, di un profumo o di un aroma. Non c’è mai conoscenza intellettuale, ma la conoscenza biblica che sperimenta le cose: una conoscenza vitale, vissuta con il contatto diretto.
Nel Cantico si esalta la persona della sposa parificata allo sposo. Il Cant si erge contro l’umiliazione e la soggezione che deprimevano la donna orientale e la rendevano serva del marito. Anche questo è un prezioso insegnamento ispirato che ci viene da questo libro. Il peccato umano delle origini ha stravolto il ruolo della donna. In tutto il mondo e in tutte le culture, anche oggi, vediamo pesare sulla donna la conseguenza della scellerata cattiva scelta umana delle origini: “I tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te” (Gn 3:16). L’ispirazione divina del Cantico eleva la donna al grado di regina, conferendole parità con il marito.
“Sì, un giglio tra le spine è la mia amica tra le altre ragazze!”. – 2:2.
“Un melo tra gli alberi selvatici è il mio amore tra gli altri ragazzi!”. – 2:3.
“Il mio amore è bello e forte, lo si riconosce tra mille”. – 5:10.
“Il re abbia pure sessanta regine, ottanta altre donne e ragazze, quante ne vuole! Per me c’è solo lei”. – 6:8,9.
(PdS)
Nel Cantico si respira l’aria delle origini: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna” (Gn 2:23). Sembra che vi aleggi già lo spirito delle Scritture Greche e il messaggio di Yeshùa presentato in Mr 10:11-12: “Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.
Il matrimonio ha valore in se stesso. Il valore del matrimonio è già in se stesso come reciproco complemento dei singoli coniugi, e non in vista dei figli: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui” (Gn 2:18). Nel Cantico non si allude quasi mai alla generazione: l’amore è esaltato in se stesso. L’unica allusione, velata, può essere vista nelle mandragole (7:14) che si usavano – pare – per stimolare la fecondità (Gn 30:14-16). L’amore è talmente esaltato che troverà poi il suo più fulgido esempio nell’amore tra Yeshùa e la sua congregazione. – Ef 5:22-32.
L’amore è imperituro e non può venire mai meno. Quando ci si accosta al matrimonio con la casistica farisaica (che si domanda quando il matrimonio possa essere sciolto e quando si possa divorziare; cfr. Mt 19:3), non si fa altro che costruire la tomba dell’amore. Anche in ciò il Cantico torna alle origini: l’amore vi è presentato come qualcosa di superiore alla stessa morte, che esige fedeltà concreta e indissolubilità perenne. Non le seduzioni dei fasti salomonici: “Tieni pure i tuoi mille pezzi d’argento, Salomone”. – 8:12, PdS.
“Non basterebbe l’acqua degli oceani a spegnere l’amore.
Neppure i fiumi lo potrebbero sommergere.
Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze
otterrebbe solo il disprezzo”. – 8:7, PdS.