Il libro di Daniele crea una serie di gravi problemi che ci dovrebbero far meglio comprendere l’essenza dell’ispirazione e dell’inerranza biblica, e la differenza tra i vari generi letterari da esso usati, che servono a meglio comprendere i rapporti tra storia, profezia e apocalittica.
Tale problematica va affrontata in modo onesto e leale, provocando la riflessione degli studiosi per nuove indagini. È, infatti, compito dello studioso stimolare nuove energie in modo da evitare una tradizione che consiste nel trasmettere determinate idee poggiandole solo sull’autorità di chi per primo le ha formulate. “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono”. – 1Ts 5:21, CEI.
In questo studio sarà particolarmente utile mettere a confronto testi d’indole progressista (Bernini, Rinaldi, Harrington, Delcor) con altri più tradizionalisti (Harrison, Archer, Young). Probabilmente la soluzione migliore sarà una via di mezzo tra i due estremi opposti.
La persona di Daniele
In ebraico il nome di Daniele è דָּנִיֵּאל (Daniyèl) e significa “facente giustizia è Dio” o “il mio giudice è Dio”. Stando a un’aggiunta della LXX greca, Δανιηλ (Daniel) ἦν ἱερεύς (en ierèus), “era un sacerdote”, υἱὸς Αβαλ (üiòs Abal), “figlio di Abal”. – Dn 14:2, LXX.
Secondo il libro biblico omonimo, che solo ne parla, Daniele fu deportato da Nabucodonosor durante la sua prima campagna del 597 a. E. V.. Al dire di Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 10,10,1) e di Girolamo (Commento a Daniele, 1,3 PL 25,496), sarebbe stato un giudeo di sangue reale: ambedue applicano anche a lui l’inciso “di stirpe reale” che Daniele applica ad alcuni deportati in Dn 1:3.
Educato alla corte reale babilonese dove ricevette il nome di Baltazzar (ebraico בֵּלְטְשַׁאצַּר, Beltshatzàr – Dn 1:7; dal babilonese Balatshu-usur, “proteggi la tua vita”, nome collegato al dio di Nabucodonosor – cfr. Dn 4:8), vi apprese la lingua e la scrittura accadica ovvero “la scrittura e la lingua dei Caldei” (Dn 1:4). Come premio divino per la sua fedeltà alla fede ebraica rimase alla corte del re (Dn 1:8,9). Egli rimase a corte fino al primo anno di Ciro, anche se ricevette la sua ultima visione nel terzo anno di Ciro (537/536 a. E. V.). – Dn 10:1.
Con grande audacia e sincerità Daniele rinfaccia ai re la loro idolatria, predicendo al re Baldassar l’imminente perdita della corona. – Dn 4:22;5:23-29.
Daniele, morto probabilmente in esilio, viene presentato nel libro omonimo come un fedele giudeo, modello del dignitario giudeo in esilio; come il Tobi del libro apocrifo di Tobia, fu il modello dell’esiliato comune (Tobia 1:3). Yeshùa lo chiama “profeta” (Mt 24:15). Egli è pure ricordato come esempio di eroismo nel libro apocrifo di Maccabei, dove Mattatia, nel suo testamento spirituale, al termine di una lunga lista di santi proposti a esempio per le generazioni future, parla di Daniele che “nella sua innocenza fu sottratto alle fauci dei leoni” (1Maccabei 2:60, CEI). Probabilmente vi allude anche la lettera agli ebrei quando afferma che tra gli eroi dell’antichità alcuni “chiusero le fauci dei leoni” (Eb 11:33), allusione evidente a Daniele e ai suoi tre compagni di sofferenza. – Cfr. Dn 6:12-27 per l’episodio dei leoni.
Molte furono le leggende che fiorirono a suo riguardo nella letteratura giudaica posteriore. Per alcuni rabbini il profeta sarebbe morto in Giudea dove volle tornare per morire nella terra dei suoi avi; ma secondo una leggenda medievale, d’origine araba, sarebbe morto a Susa, dove tuttora se ne mostra la tomba. Si tratta di un particolare che trae la sua origine da Dn 8:2: “Quando ebbi la visione ero a Susa, la residenza reale che è nella provincia di Elam”. A causa delle continue contese tra le varie sinagoghe che se ne contendevano le ossa per ottenerne la protezione (siamo in un periodo – il 12° secolo – in cui tanto gli ebrei che i cattolici attribuivano valore alle reliquie dei loro eroi), il re Sangar lo fece porre in una bara di vetro e sospendere in mezzo al fiume che le separava.
Ci si potrebbe domandare se il profeta Ezechiele alluda anche lui al nostro Daniele in tre suoi testi:
- Ez 14:14: “Questi tre uomini: Noè, Daniele e Giobbe”.
- Ez 14:18: “Quei tre uomini”, quelli di 14:14.
- Ez 28:3: “Tu sei più saggio di Daniele, nessun mistero è oscuro per te”.
Che qui si alluda a Daniele lo pensano alcuni (Bernini), lo negano altri. Noi crediamo che sia il caso di distinguere le due persone. Per i motivi seguenti:
- Tanto Daniele quanto Ezechiele sono contemporanei e vissero all’inizio dell’esilio babilonese. È quindi difficile che Daniele abbia potuto godere d’una così grande popolarità e fama presso Ezechiele.
- Stando al profeta Ezechiele, Daniele è nominato insieme a due altre persone (Ez 14:14,18) non giudee e anteriori ad Abraamo: Giobbe, vivente a Uz in Arabia (Gb 1:1), e Noè. È dunque probabile che il Daniele da lui menzionato si ricolleghi alla medesima epoca.
- La fama di questo Daniele era internazionale, perché già nota al superbo re di Tiro (Ez 28:1) cui sono rivolte le parole divine in Ez 28:3: “Tu sei più saggio di Daniele, nessun mistero è oscuro per te”, che significa: Tu pensi di essere più saggio di lui e capace di comprendere anche quel che è misterioso. Ciò indica che questo Daniele non doveva essere vissuto al tempo esilico.
- I due nomi sono diversi. Nonostante molte traduzioni bibliche abbiamo sempre “Daniele” (anche TNM fa confusione), nella Bibbia i due nomi sono diversi:
- In Dn si ha: דָּנִיֵּאל (Daniyèl), “Daniele”.
- In Ez si ha: דָּנִאֵל (Danièl), “Danel”.
Si tratta quindi di due persone diverse.
- I testi mitologici di Aqat scoperti a Ugarit in Fenicia (odierno Libano) nei pressi di Tiro ricordano un antico eroe di nome Dan’el divenuto celebre per la sua saggezza e la sua giustizia:
“Ecco Dan’el, l’eroe che sana, si alza, si siede dinanzi alla porta, sotto l’albero magnifico, presso l’aia, presiede il processo della vedova e giudica il caso dell’orfano”. – Leggenda di Aqat V, 1-10 ANET 151.
Si riconosce ora da parte di tutti gli studiosi che i miti riflettono sempre un dato storico originario che nel corso del tempo venne miticizzato. Proprio a questa persona, storicamente esistita, alluderebbe il profeta Ezechiele parlando di Danel. Non è il caso di supporre come alcuni (ad esempio, il Bernini) che su quest’antico personaggio miticizzato siano state inserite delle leggende ebraiche, da cui sarebbe nato il Daniele biblico. Troppi dati storici legano il nostro Daniele all’esilio, per cui non si può ritenerlo una persona puramente leggendaria. Anche qui il racconto biblico deve aver lavorato su dati storici del tempo persiano e prepersiano.
Composizione del libro
Il libro di Dn è ripartito in due parti:
- I racconti (capp. 1-6). Sono composti in aramaico, eccetto il cap. iniziale che è in ebraico. Loro protagonisti sono:
- Daniele e i suoi tre compagni che vengono introdotti nella corte di Nabucodonosor. . Cap. 1, in ebraico.
- Daniele solo, che spiega il sogno di Nabucodonosor e rifiuta il culto idolatrico. Capp. 2 e 6, in aramaico.
- I tre compagni di Daniele liberati dalla fornace arroventata. – Cap. 3, in aramaico.
- Le visioni (capp. 7-12). Sono scritte in ebraico ad eccezione del loro capitolo introduttivo (cap. 7) e del cap. 2 che sono scritti in aramaico. Esse descrivono:
- La statua, formata da vario materiale, vista da Nabucodonosor in sogno. – Cap. 2, in aramaico.
- Le quattro belve e il Figlio dell’Uomo. – Cap. 7, in aramaico.
- La visione del capro e del montone. – Cap. 8, in ebraico.
- Le settanta settimane. – Cap. 9, in ebraico.
- Il tempo dei seleucidi. – Capp. 10 e 11, in ebraico.
- Il Regno messianico. – Cap. 12, in ebraico.
In entrambe le sezioni si segue un ordine più o meno cronologico: Nabucodonosor, Baldassar, Dario il medo e Ciro.