La “firma” del Vangelo di Giovanni si trova in 21:24: “Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”. Chi è questo discepolo?

   Certo non si tratta di un simbolo, come hanno ipotizzato alcuni studiosi identificandolo con la figura del perfetto discepolo. In tal modo è stata interpretata, ad esempio, la scena in cui Yeshùa morente sul palo affida la madre al discepolo tanto amato. Ma è un fatto che Vangelo di Giovanni trae il suo insegnamento da persone concrete e da fatti reali. Anche l’espressione “e da quel momento, il discepolo la prese in casa sua” (19:27), mostra che l’episodio è concreto e non si può attribuire né alla sinagoga né alla congregazione o chiesa, come pretendono di fare i cattolici. Anche la leggenda creatasi da un fraintendimento, secondo cui “si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto” – “Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto” -, mostra che si tratta di una persona reale vissuta a lungo. – 21:23.

   E certo non si tratta neppure di Lazzaro, secondo una curiosa ipotesi di un altro studioso (O. Cullmann). Siccome questo discepolo che mette la sua firma in 21:24 sembra distinguersi dai figli di Zebedeo (21:2), il Cullmann propone l’ipotesi che si tratti di Lazzaro, in quanto Gv è l’unico che parla di Lazzaro e lo presenta come quello ‘amato da Yeshùa’ (11:3). Per di più, la resurrezione di Lazzaro non poteva far sorgere la leggenda che egli non sarebbe più morto? Innanzitutto va notato che di solito Gv per designare i “dodici” usa il nome di “discepoli” (13:5;18:1;20:19,26;21:1). Ora, il discepolo amato è ricordato più volte in Gv come una persona appartenente al gruppo dei discepoli. Dopo essere stato presentato a Yeshùa nell’autunno in cui iniziò il suo ministero, Giovanni senza dubbio lo seguì in Galilea e fu testimone oculare del Suo primo miracolo, quello compiuto a Cana (Gv 2:1-11). Questo non s’accorda affatto con Lazzaro. Per di più, sarebbe davvero strano che il Vangelo di Giovanni, dopo aver sempre parlato del discepolo amato senza mai nominarlo, a un certo punto presenti il nome di Lazzaro senza segnalare che s’identifichi con il discepolo amato.

   Il discepolo non nominato è Giovanni. Dal fatto che Giovanni e Giacomo non sono mai nominati in Gv, pur avendo avuto grande importanza nella vita di Yeshùa, non si deduce forse che proprio Giovanni è il discepolo amato? Giacomo ebbe una vita molto breve: “Erode cominciò a maltrattare alcuni della chiesa; e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (At 12:1,2). Non rimane che Giovanni l’apostolo. Tanto più che il battezzatore è chiamato con il semplice nome di Giovanni, come se non vi fosse pericolo di confonderlo con un omonimo.

   Il discepolo amato è strettamente ricollegato alla vita di Yeshùa. Lo segue sin dall’inizio: “Uno dei due” (1:40). È in intimità con Pietro: “Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava. Simon Pietro gli fece cenno di domandare chi fosse colui del quale parlava” (13:23,24); “[Maria Maddalena] corse verso Simon Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava” (20:2); “Il discepolo che Gesù amava disse a Pietro” (21:7). È il solo discepolo presente alla crocifissione: “Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava” (19:26). Partecipa anche all’ultima cena, dove si trovano solo i dodici, i più intimi di Yeshùa.

   Giovanni era “il discepolo che egli [Yeshùa] amava” (19:26). Chi traduce o parla di “prediletto” sbaglia. Giovanni era il discepolo amato. Ma Yeshùa poteva avere un discepolo amato? Non vi sono difficoltà. La ragione di questo amore o profondo affetto può essere trovata nella sua fedeltà a Yeshùa, nel suo amore per lui.

   L’amore di Yeshùa per Giovanni può essere trovato forse anche in un’altra ragione. Giovanni era probabilmente cugino di Yeshùa. Questa ipotesi può essere sostenuta dal confronto dei quattro Vangeli circa le donne presenti sul Calvario e che sistemarono il cadavere di Yeshùa. “C’erano là molte donne che guardavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo; tra di loro erano Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo” (Mt 27:55,56). In totale le donne menzionate particolarmente sono quattro:

   1. Maria Maddalena.

   2. Maria madre di Giacomo e di Giuseppe (אD*WVgSys) o Iose

        (ABCDcSyh,p).

   3. La madre dei figli di Zebedeo, chiamata Salomè. – Mr 15:40.

   4. Miryàm, madre di Yeshùa.

  Ecco come ne parla Gv 19:25:

Presso la croce di Gesù stavano

sua madre

4

e la sorella di sua madre,

3

Maria di Cleopa

2

e Maria Maddalena.

1

   Date le concordanze, Salomè (madre dei figli di Zebedeo), sarebbe appunto la sorella di Miryàm, madre di Yeshùa. I figli di lei sarebbero quindi cugini primi di Yeshùa. Da qui l’amore di Yeshùa per Giovanni, oltre che per i motivi già menzionati.

   Data questa parentela, si comprende anche la richiesta dei due fratelli a suo cugino Yeshùa: “Concedici di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria” (Mr 10:37). E si comprende anche l’intervento della zia di Yeshùa presso il nipote a favore dei suoi figli e suoi cugini: “La madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi per fargli una richiesta” (Mt 20:20). Si comprende pure la risposta confidenziale di Yeshùa alla zia: “Che vuoi?” (v. 21). E infine si comprende l’affidamento, da parte di Yeshùa, di sua madre a Giovanni: era suo cugino, e lei sua zia.

   Circa il tempo di composizione di Gv, in passato gli studiosi ne ponevano la data nel 2° secolo. Fu composto nel 1° secolo o, come ritengono i critici, nel 2° secolo? I manoscritti riguardanti Gv (che è il più testimoniato fra tutti i libri che compongono la Bibbia – circa 17 papiri) ci obbligano a risalire al 1° secolo. I più importanti manoscritti sono P², P⁶⁶ e P⁷⁵. Essendo stati editi rispettivamente nel 1935, nel 1956 e nel 1961, hanno annullato tutte le critiche sorte all’inizio del 19° secolo.

   Il P² è conservato a Manchester (Regno Unito) nella biblioteca Rylands. Contiene solo cinque versetti: Gv 18:31-33,37,38. Secondo gli esperti appartiene al 2° secolo (circa 130 E.V.) o forse anche alla fine del 1°, quindi anteriore a qualsiasi altro manoscritto. È accertato che Gv sia stato scritto a Efeso; quindi, presupponendo una generazione per il trasferimento da Efeso in Egitto (dove fu composto il papiro), si deve supporre la stesura dell’originale verso la fine del 1° secolo.

   Il P⁶⁶ o papiro Bodmer II (ora nella biblioteca di Cologny in Svizzera) contiene la maggior parte di Gv (capitoli 1-14); si fa risalire a circa il 200 E. V., per cui è anteriore di circa 150 anni ai codici Vaticano (B) e Sinaitico (א). Si tratta dunque di un documento molto utile per la ricostruzione del testo. Anche in questo manoscritto manca la pericope dell’adultera. – Gv 8:1-11.

   Il P⁷⁵ o Bodmer XV  risale allo stesso periodo del precedente, ma è molto meno esteso (capitoli 1-4,8,9 e frammenti dei capitoli 5-7 e 10-13). Anche in questo papiro manca l’episodio dell’adultera. La testimonianza dei papiri rende oggi più sicuro il testo originale di Gv., che non può in alcun modo essere ritenuto posteriore al 1° secolo.

   Un’altra testimonianza importante è quella che ci viene da Ignazio di Antiochia. Pur non citandolo espressamente, è evidente che egli si riferisce a Gv quando parla del pane come carne di Yeshùa (Gv 1:14). Nella sua lettera a quelli di Filadelfia (7,11) Ignazio parla dello spirito santo che “non si sa da dove viene e dove va”, citando Gv 3:9. Nella sua lettera ai magnesi (8) chiama Yeshùa “parola uscita dal silenzio, che piacque in ogni cosa a colui che lo aveva mandato”, citando Gv 1:1;8:29;7:28. Dato che Ignazio morì verso il 107 o 112 E. V., ne deriva che Gv deve essere indubbiamente anteriore alla fine del 1° secolo. Alcuni dati corrisponderebbero meglio all’ultimo decennio del 1° secolo.

  In passato, dunque, gli studiosi ne ponevano la data nel 2° secolo. Ora, al contrario, essi la pongono al 1° secolo, ma gli studiosi si sono divisi tra due direttive. Dato che vi è un innegabile rapporto tra Gv e Lc, sono sorte due ipotesi. La prima fa dipendere Gv da Lc, per cui non sarebbe possibile collocare Gv prima dell’80-90 E. V.. La seconda ipotesi fa dipendere Lc da Gv (o, meglio, tutti e due dipendono da una tradizione comune, almeno per le parti affini) e quindi si può anticipare la composizione di Gv ad epoca anteriore, contemporanea a quella dei sinottici.

   F. Lamar Cribbs, nel suo testo A Reassesment of the date of origin and the destination of the Gospel of John, dopo aver fatto un’analisi interna di Gv, già supponeva che esso fosse stato scritto tra il 60 e il 70, prima della distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 E. V.. Che Gv sia stato scritto prima del 70 lo si può dedurre  dai seguenti importanti aspetti di Gv.

   1. Mancano indicazioni della nascita verginale di Yeshùa, che secondo lui entrarono in considerazione solo tardivamente. Manca pure la presentazione di Yeshùa come “figlio di Davide” (Mr 10:47; Mt 9:27) e come figlio di Miryàm (Mr 6:2; Mt 2:11-21). Yeshùa è considerato figlio di Giuseppe (Gv 1:45;6:42), giudeo (Gv 4:9), di Nazaret (Gv 1:65;18:5,7;19:19). Non appaiono miracoli alla morte di Yeshùa (Mr 15:33-38; Mt 27:45-54; Lc 23:44 e sgg.) e non si allude alla profezia della resurrezione di Yeshùa (Mr 8:31;9:31;10:33 e segg.). In Gv Yeshùa stesso (e non il “figlio dell’uomo”) tornerà a giudicare (Gv 5:25-29;6:44; At 1:11;3:20; Rm 2:16; 2Cor 5:5,10). Non si allude alla trasfigurazione di Yeshùa. Questi è l’“unigenito” (Gv 1:14-18;3:16,18) e l’“eletto” (Gv 1:34) anziché l’“amato”. – Mr 1:11.

   2. Pur essendo più profondo di Mr, Gv condivide la presentazione vivace di Mr. Yeshùa è il rabbi-maestro (Mr 4:35;5:35; Gv 1:38,49). L’epiteto “rabbi” (che viene da רב, rav, “grande”; più il possessivo “mio”, י, y ; così da ottenere רבי, rabì, “mio grande” – cfr. 2Re 25:8 in cui rav è tradotto “capo”), si trova anche su di un ossario palestinese rinvenuto nel 1931; scoperta che dimostra l’uso di rabì  almeno due generazioni prima della distruzione del Tempio nel 70 E. V.. I discepoli di Yeshùa spesso lo chiamavano così (Mr 9:5; Gv 20:16); ma mai si trova questo epiteto in  Mt e Lc, a parte Mt 25:25 in cui è Giuda a pronunciarlo. Questi due sinottici (Mt e Lc) preferiscono “signore”. I sentimenti di Yeshùa sono espressi bene da Mr e Lc, senza nasconderli. Si veda la cacciata piena d’ira dei venditori dal Tempio; l’amore di Yeshùa verso Marta e Lazzaro, verso il “discepolo amato”; il suo pianto al sepolcro di Lazzaro. Come Mr (10:38;13:32), anche Gv esprime l’inferiorità di Yeshùa rispetto a Dio. –  1:18;5:19;7:16;8:40;14:28;13:3.

    3. Gli ebrei attendevano un profeta particolare. “Finché fosse comparso un profeta”, “finché sorgesse un profeta fedele”; queste parole si trovano in 1Maccabei 4:46;14:41 che, sebbene non faccia parte della Bibbia, ci illumina sulle attese degli ebrei. In Gv Yeshùa è presentato come l’atteso profeta che doveva venire e di cui Mosè aveva parlato: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti” (1:45). Questa è una cristologia palestinese antica. Ed è presente in Gv: “Andarono da Giovanni e gli dissero: ‘Rabbì, colui che era con te di là dal Giordano, e al quale rendesti testimonianza, eccolo che battezza, e tutti vanno da lui’. Giovanni rispose: ‘L’uomo non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Io non sono il Cristo, ma sono mandato davanti a lui’” (3:26-28); “Gesù stando in piedi esclamò: ‘Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno’” (7:37,38); “Mosè, infatti, disse: ‘Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà’” (At 3:22). Yeshùa opera miracoli e segni come Mosè, per autenticare la sua missione. Il ritratto giovanneo di Yeshùa assomiglia a quello di Mosè:

Mosè

Yeshùa

“Ora dunque va’, io sarò con la tua bocca e t’insegnerò quello che dovrai dire”

Es 4:12

“Non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato. E colui che mi ha mandato è con me; egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono”

Gv 8:28,29

“Mosè fece così; fece come il Signore gli aveva comandato”

Nm 7:11

“Amo il Padre e opero come il Padre mi ha ordinato”

Gv 4:31

   Yeshùa è presentato in Gv in modo simile alla letteratura sapienziale di Israele; questa letteratura non fa parte della Bibbia ma ha valore come documentazione del pensiero ebraico.

Mosè (letteratura ebraica non biblica)

Yeshùa

“[La sapienza di Dio] entro nell’anima di un servo del Signore”

Sapienza

10:16

La Parola [di Dio] è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi”

Gv 1:14

“Essa [la sapienza] fece riuscire le loro imprese per mezzo di un santo profeta”

Sapienza

11:1

“Tu sei il Santo di Dio”

Gv 6:69

“[Dio] li fece udire la sua voce

Siracide

45:5

“La verità che ho udita da Dio”

Gv 8:40

   4. Yeshùa è – come sottolinea Gv – un giudeo (“tu che sei Giudeo” – 4:9) leale che ha “sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio” (18:20) e che tiene Mosè e la Legge in sommo onore: “Non crediate che io sia colui che vi accuserà davanti al Padre; c’è chi vi accusa, ed è Mosè” (5:45); “La legge di Mosè non sia violata” (7:23); “Mosè non vi ha forse dato la legge?” (7:19). Yeshùa afferma che “la salvezza viene dai Giudei” (4:22). La congregazione dei discepoli di Yeshùa si riteneva all’inizio come la vera Israele e la sua continuazione; i romani stessi la consideravano un movimento interno al giudaismo. Gallione, proconsole romano, dice a Paolo: “Si tratta di questioni intorno a parole, a nomi, e alla vostra legge, vedetevela voi” (At 18:15). Paolo dice che salì “a Gerusalemme per adorare” (At 24:11) e dichiara esplicitamente: “Adoro il Dio dei miei padri, secondo la Via che essi chiamano setta, credendo in tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti” (v. 14). È difficile supporre che tali espressioni si siano conservate oltre il 70, quando la separazione dal giudaismo si era attuata in modo ormai definitivo. In Gv – a riprova che questo Vangelo è anteriore al 70 – non si parla di “chiesa” o “popolo di Dio” o “corpo di cristo” come si leggerà invece poi in Paolo.

   5. Yeshùa è presentato in Gv come “messia”, titolo caratteristico per la chiesa di Gerusalemme: “Ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo” (At 5:42). Questo era il messaggio di Paolo ai giudei di Damasco, Tessalonica e Corinto: “Saulo si fortificava sempre di più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo” (At 9:22). “Giunsero a Tessalonica, dove c’era una sinagoga dei Giudei […] ‘Il Cristo’, egli diceva, ‘è quel Gesù che io vi annunzio’”  (At 17:1,3). “Paolo si dedicò completamente alla Parola, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo” (At 18:5). “Con gran vigore confutava pubblicamente i Giudei, dimostrando con le Scritture che Gesù è il Cristo” (At 18:28). Nelle città dei gentili Yeshùa è presentato invece come “il Signore”: Pietro, parlando a Cornelio, un gentile, gli annuncia “il lieto messaggio di pace per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Signore di tutti” (At 10:36). “Alcuni di loro, che erano Ciprioti e Cirenei, giunti ad Antiochia, si misero a parlare anche ai Greci, portando il lieto messaggio del Signore Gesù” (At 11:20). Al carceriere pagano di Filippi viene detto: “Credi nel Signore Gesù” (At 16:31). Il nome “messia” non compare in Paolo; quando tale nome – tradotto però in “cristo” – vi appare, è soltanto nei passi relativi all’ambiente giudaico. I nomi “Yeshùa” e “Yeshùa di Nazaret” ricorrono frequentemente presso le chiese palestinesi: “Uomini d’Israele, ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno […]” (At 2:22), e solo a Gerusalemme; Pietro a Gerusalemme: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno” (At 3:6); “Io sono Gesù il Nazareno” (At 22:8) dice Yeshùa all’ebreo Saulo; e Saulo riferisce della sua precedente vita: “Pensai di dover lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno” (At 26:9). Anche l’espressione “profeta come Mosè” ricorre in contesti palestinesi. Il Vangelo di Giovanni, che è quindi giudaico, vuole contenere un appello alla chiesa o congregazione primitiva perché realizzi un dialogo missionario con i giudei. Il che sarebbe davvero strano dopo il 70, quando la separazione tra chiesa e giudaismo si era già compiuta. Con Nerone i discepoli di Yeshùa furono considerati distinti dai giudei; e con la fuga dei discepoli di Yeshùa a Pella, questi furono considerati dei rinnegati da parte del giudaismo.

   6. Gerusalemme, fino al 65 E. V., era alla guida delle chiese o congregazioni della diaspora (ovvero delle località fuori della Palestina in cui i giudei erano emigrati): “Quelli che erano dispersi se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola  […] Allora gli apostoli, che erano a Gerusalemme, saputo che la Samaria aveva accolto la Parola di Dio, mandarono da loro […]”  (At 8:4,14). “Quelli che erano stati dispersi per la persecuzione avvenuta a causa di Stefano, andarono sino in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, annunziando la Parola […] La notizia giunse alle orecchie della chiesa che era in Gerusalemme, la quale mandò […]” (At 11:19,22). “Alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli, dicendo: ‘Se voi non siete circoncisi […]’ [fu deciso allora che] salissero a Gerusalemme dagli apostoli e anziani per trattare la questione […] giunti a Gerusalemme, furono accolti dalla chiesa, dagli apostoli e dagli anziani […] Allora gli apostoli e gli anziani si riunirono per esaminare la questione. […] ‘Abbiamo saputo che alcuni fra noi, partiti senza nessun mandato da parte nostra […] è parso bene allo Spirito Santo e a noi di […]’” (At 15:1,2,4,6,24,28). Che la chiesa di Gerusalemme fosse, a quel tempo, alla guida delle congregazioni è provato anche dal seguente passo: “Giacomo, Cefa e Giovanni [della chiesa di Gerusalemme], che sono reputati colonne”. – Gal 2:9.

   Dopo il 70 la situazione cambiò completamente. Nacquero delle eresie cui non si allude in Gv. Perfino la preghiera per l’unità era più comprensibile prima del 70 che dopo, appunto per tutte le eresie nascenti. La presentazione del Vangelo di Giovanni proviene dal giudaismo e non dai gentili, come invece si legge nell’Apocalisse di Giovanni. Per le persecuzioni giudaiche, in Gv non vi sono accenni all’entusiasmo diminuito. Al tempo della prima chiesa la persecuzione non scalfiva l’entusiasmo dei discepoli: “Mentre essi parlavano al popolo, giunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, indignati perché essi insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti. Misero loro le mani addosso, e li gettarono in prigione fino al giorno dopo […] Il giorno seguente, i loro capi, con gli anziani e gli scribi, si riunirono a Gerusalemme […] avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero loro: ‘Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite’. […] ‘Adesso, Signore, considera le loro minacce, e concedi ai tuoi servi di annunziare la tua Parola in tutta franchezza’” (At 4:1-3,5,18-20,29). “Chiamati gli apostoli, li batterono, ingiunsero loro di non parlare nel nome di Gesù e li lasciarono andare. Essi dunque se ne andarono via dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo” (At 5:40-42). In Mt, però, scritto dopo il 70, sono presenti retrospettivamente sia la defezione che le eresie: “Vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. Poiché l’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà”. – Mt 24:9-12.

   Si deve quindi concludere che Gv fu scritto da un giudeo assai colto verso il 50-60 E. V..

ANNI

   Lo schema sintetizza la formazione storica dei Vangeli:

  • Gv attinge direttamente ai ricordi della vita di Yeshùa cui ha assistito come testimone oculare.
  • Mr attinge alla tradizione orale circa la vita di Yeshùa, formatasi dopo la sua morte.
  • Mt e Lc dipendono da Mr, dai lòghia o discorsi di Yeshùa e dalla fonte Q (un’altra fonte, non ben determinata, riguardante i lòghia o discorsi di Yeshùa).

   Sbaglia quindi del tutto chi rifiuta Gv quale parte della Scrittura. Come si vede da quanto detto sopra e dalla ricostruzione storica, Gv appare infatti il più genuino dei Vangeli, nulla togliendo ovviamente all’ispirazione dei sinottici.

   Dove venne composto Gv? Una tradizione ampiamente estesa presenta Efeso in Asia Minore (moderna Turchia) come suo luogo di origine. Invece Efrem, al termine del suo commento al Diatesaron sostiene la composizione di Gv ad Antiochia di Siria. Tale origine spiegherebbe meglio le affinità di Gv con Lc, con Ignazio di Antiochia e con le Odi di Salomone e con il Vangelo mattaico (tutti scritti supposti di origine antiochena). Per altri ancora Gv sarebbe stato composto ad Alessandria, dove furono scoperti i suoi più antichi manoscritti. Tutti questi centri (Alessandria, Efeso, Antiochia e Gerusalemme) in cui si suppone sia stato scritto Gv suggeriscono l’idea che Gv sia stato un Vangelo “circolare”.