Il nome יוחנן (Yehokhanàn) significa “dono di Yah” o “Yah [è] benigno”. L’apostolo, così chiamato, figlio di Zebedeo e di Salomè, apparteneva ad una famiglia agiata; si deduce dal fatto che egli aveva dei mercenari che lo aiutavano nella pesca: “Essi [Giacomo e Giovanni], lasciato Zebedeo loro padre nella barca con gli operai [“uomini salariati”, TNM]” (Mr 1:20). Sua madre fu una delle donne che andarono al sepolcro per prendersi cura del corpo di Yeshùa (Mr 16:1), ma che già durante la sua vita lo seguiva aiutandolo con i suoi beni: “C’erano là molte donne che guardavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo; tra di loro […] la madre dei figli di Zebedeo” (Mt 27:55,56); “In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del regno di Dio. Con lui vi erano i dodici e alcune donne […] e molte altre che assistevano Gesù e i dodici con i loro beni” (Lc 8:1-3). Secondo una tradizione (che però non è controllabile), Giovanni sarebbe stato di origine sacerdotale; questa ipotesi poggia sul fatto che egli era “noto al sommo sacerdote” (Gv 18:15) e su quanto dice Eusebio (Hist. Eccl. 3,31,3). Comunque, dopo essere stato discepolo del battezzatore, Giovanni si diede a seguire Yeshùa (Gv 1:37; Mr 4:21) entrando a far arte del gruppo dei Dodici e, tra questi, nel gruppo degli intimi (Pietro, Giacomo e Giovanni). Giovanni assistette alla resurrezione della figlia di Iario (Lc 8:51), alla trasfigurazione di Yeshùa (“Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro” – Mt 17:1,2), stette proprio accanto a Yeshùa nell’ultima cena tanto da poter posare il capo sul suo petto (Gv 13:23-26), partecipò all’agonia di Yeshùa stando più vicino a lui di altri. Fu Giovanni ad introdurre Pietro nell’atrio del palazzo di Caifa (Gv 18:14) e stette, unico tra gli apostoli, ai piedi di Yeshùa morente (Gv 19:17). All’annuncio che il sepolcro era stato trovato vuoto, corse con Pietro a constatare il fatto, e subito credette: “L’altro discepolo [Giovanni] corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro […] vide, e credette” (Gv 20:4,8). Divenne infine così vecchio che si sparse la voce che egli, secondo la profezia di Yeshùa, sarebbe rimasto in vita fino al ritorno glorioso del consacrato; diceria che Gv ha cura di rettificare: “Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava; quello stesso che durante la cena stava inclinato sul seno di Gesù e aveva detto: ‘Signore, chi è che ti tradisce?’. Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: ‘Signore, e di lui che sarà?’. Gesù gli rispose: ‘Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa? Tu, seguimi’. Per questo motivo si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto; Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: ‘Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa?’”. – Gv 21:20-23.
Nella storia della prima chiesa o congregazione, l’apostolo amato era con Pietro quando guarì miracolosamente lo storpio giacente alla Porta Bella del Tempio (At 3:4), si trovava a Gerusalemme quando Paolo vi si recò (Gal 2:9) ed era ritenuto una delle tre più importanti “colonne” della congregazione (Gal 2:9). Non si sa se Giovanni abbia parlato durante la riunione gerosolimitana destinata a esaminare la questione della circoncisione per i gentili (At 15). Probabilmente non era presente quando Paolo giunse a Gerusalemme per l’ultima volta (At 21:18): doveva già aver lasciato la Palestina per stabilirsi nell’Asia Minore; tuttavia Paolo non lo trovò ancora a Efeso nel suo ultimo viaggio quando vi lasciò Timoteo (che si trovava ancora lì poco prima della morte di Paolo). Giovanni dovette quindi giungere ad Efeso dopo la morte di Paolo. Secondo una tradizione fortemente attestata, Giovanni sarebbe stato relegato nell’isola di Patos (dove ebbe le visioni dell’Apocalisse) al tempo di Domiziano. Preziosi sono i seguenti episodi conservati dalla tradizione: Giovanni, ormai vecchissimo e portato a braccia alle riunioni, vi soleva ripetere: “Figlioli, amatevi l’un l’altro”; a coloro che si lamentavano per tale monotono insegnamento, rispondeva: “Se si attuasse anche solo questo, sarebbe più che sufficiente”. – Girolamo, PL 26,433.
Il comportamento di Giovanni quale missionario documenta la meravigliosa trasformazione di quell’apostolo che, per la sua facilità all’ira, era chiamato “figlio del tuono” (Mr 3:17). Era stato lui a inveire contro l’esorcista che, senza essere discepolo, abusava del nome di Yeshùa (Mr 9:38); fu sempre lui a voler invocare fuoco dal cielo per incenerire i samaritani che non avevano voluto ospitare Yeshùa che era diretto a Gerusalemme: “Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?”. – Lc 9:54.
A Efeso Giovanni attese alla cura delle chiese asiatiche finché morì; secondo le testimonianze patristiche, in età molto avanzata e sotto Traiano (98-117). Policarpo, scrivendo contro Vittore, tra le persone illustri di Efeso ricorda “Giovanni, che riposò sul petto del Signore e fu testimone e maestro e che morì a Efeso”. – Eusebio, Storia Ecclesiastica 5,24,1-7.