Lo zelo fu la passione che per l’intera vita consumò Paolo. Interessi economici, posizione sociale e benessere fisico mai lo resero schiavo: egli abbandonò tutto per servire Dio.
Dapprima, da fariseo zelante, si dedicò all’osservanza integra della Legge, pur sentendone tutta la difficoltà nella sua attuazione pratica. Alla scuola di Gamaliele Paolo apprese ad amare i gentili e a ricercarli per sottoporli alla Legge. I farisei viaggiavano “per mare e per terra per fare un proselito” (Mt 23:15). Di certo Paolo, da buon rabbino, non aveva dimenticato la massima con cui Hillel (maestro di Gamaliele) compendiava i precetti dell’ebraismo: “Ama Dio e il tuo prossimo”.
Dal complesso delle espressioni paoline che parlano di persecuzioni dei discepoli di Yeshùa senza mai accennare a un suo contatto con Yeshùa, sembra escluso che egli avesse conosciuto Yeshùa di persona prima della sua resurrezione. Nei pochi anni in cui Yeshùa insegnava a Gerusalemme e mentre si attuava la fine tragica del Messia, Paolo doveva essere assente dalla capitale ebraica. Vi ritornò tuttavia dopo per partecipare alle prime lotte contro i discepoli di Yeshùa.
Nel suo zelo verso la Legge non poteva tollerare che un’assurda setta identificasse nel messia proprio un uomo messo al palo, uno che la Legge definiva maledetto perché appeso al legno, uno che pretendeva di modificare la volontà di Dio, uno che predicava una vita non ortodossa, uno che aveva osato dire: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Mt 5:20). Bastavano queste sole parole perché Paolo sentisse i seguaci di Yeshùa come nemici, come ribelli alla tradizione rabbinica. “Vi faccio notare, fratelli, che il messaggio di salvezza da me annunziato non viene dagli uomini. Nessun uomo me l’ha trasmesso o insegnato. È Gesù Cristo che me l’ha rivelato. Avete certamente udito qual era il mio impegno nella religione ebraica: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e facevo di tutto per distruggerla. Io vivevo la religione ebraica con un impegno superiore a quello di molti connazionali della mia età. Ero addirittura fanatico quando si trattava di osservare le tradizioni dei nostri padri”. – Gal 1:11-14, PdS.
I più audaci propugnatori di quelle che per Paolo erano nuove idee pericolose, erano gli ellenisti. Questi affermavano che Dio non abitava nel Tempio di Gerusalemme ma nell’universo, e accusavano i giudei di aver ucciso il Giusto inviato da Dio. Possiamo immaginare il furore dello zelante fariseo di fronte a questo modo di pensare. Paolo era davvero furioso nello scagliarsi contro di loro e sostenne con convinzione l’uccisione di Stefano, il loro rappresentante.
Immedesimandoci nello sdegno furente di Paolo, siamo toccati dal suo postumo radicale cambiamento e siamo toccati nel sentirlo poi dire: “L’Altissimo però non abita in edifici fatti da mano d’uomo, come dice il profeta: ‘Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi costruirete, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? Non ha la mia mano creato tutte queste cose?’. Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d’orecchi, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi. Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti i traditori e gli uccisori; voi, che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli, e non l’avete osservata”. – At 7:48-53.
Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dall’espressione che “i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo” (At 7:58, TNM), per concludere che Paolo – giovane – fosse solo un gregario. Il vocabolo greco usato (νεανίας, neanìas) poteva essere applicato ad una persona sin oltre i trent’anni. Paolo, quindi, non era un semplice ragazzo spettatore. Egli era uno degli organizzatori: “Saulo approvava la sua uccisione. Vi fu in quel tempo una grande persecuzione contro la chiesa che era in Gerusalemme. Tutti furono dispersi per le regioni della Giudea e della Samaria, salvo gli apostoli. Uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran cordoglio per lui. Saulo intanto devastava la chiesa, entrando di casa in casa; e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione”. – At 8:1-3.
La violenza della sua opposizione appare in tutta la tragicità delle parole che si trovano in Atti: “Si scatenò una violenta persecuzione contro la comunità di Gerusalemme”, “Saulo intanto infieriva contro la Chiesa: entrava nelle case, trascinava fuori uomini e donne e li faceva mettere in prigione”. – Vv. 1,3, PdS.
Più volte Paolo ricorda questo intenso periodo di intensa persecuzione contro i credenti. Lo ricorda anche nel suo colloquio a Cesarea con il re Agrippa: “Quanto a me, in verità pensai di dover lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno. Questo infatti feci a Gerusalemme; e avendone ricevuta l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi; e, quand’erano messi a morte, io davo il mio voto. E spesso, in tutte le sinagoghe, punendoli, li costringevo a bestemmiare; e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fin nelle città straniere”. – At 26:9-11.
Paolo dice: “Io davo il mio voto”. Questo dare il voto suppone che egli era – se non membro del sinedrio – una persona autorevole della sinagoga.
Dopo aver perseguitato i discepoli di Yeshùa a Gerusalemme, per sua iniziativa Saulo chiese lettere al sommo sacerdote (che probabilmente era ancora Caifa, deposto nel 36) che lo autorizzassero a perseguire i discepoli di Damasco. “Ho perseguitato la chiesa di Dio” (1Cor 15:9), dirà ai corinti. E ai galati: “Quand’ero nel giudaismo […] perseguitavo a oltranza la chiesa di Dio, e la devastavo” (Gal 1:13). E ai filippesi: “Quanto allo zelo, persecutore della chiesa” (Flp 3:6). A Timoteo dirà: “Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tm 1:13). “Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme”. – At 9:1,2.
L’autorità del sinedrio si estendeva a quel tempo oltre Gerusalemme su tutti i giudei della diaspora e aveva un potere coercitivo (che non giungeva però alla condanna a morte). Tutto il suo terribile passato Paolo lo valuta con sentita commozione: “Ringrazio Gesù Cristo nostro Signore: egli mi ha stimato degno di fiducia e mi ha dato un incarico e mi dà la forza di completarlo. Eppure prima io avevo parlato male di lui, l’avevo offeso e l’avevo perseguitato. Ma Dio ha avuto misericordia di me, perché allora ero andato lontano dalla fede e non sapevo quel che facevo”. – 1Tm 1:12,13, PdS.