At 15:36-18:22 – 49-51 E.V.
Questo secondo viaggio di Paolo si estende al di là dell’Asia, puntando sulla Grecia che era il centro culturale del mondo antico.
Per via di terra e in compagnia di Sila, Paolo raggiunge la Cilicia e da qui Derbe e Listra, dove s’incontra con Timoteo. Spintosi attraverso la Frigia nella Galazia, si dirige poi verso occidente raggiungendo Triade, la punta più avanzata dell’Asia verso l’Europa.
Essendogli apparso in sogno un macedone che lo invitava a evangelizzare la Macedonia, salpò il giorno dopo per Neapolis e da lì visitò Filippi, Tessalonica (la moderna Salonicco) e Berea, per passare poi ad Atene e a Corinto.
Nel visitare Atene, come ben mette in rilievo Luca, Paolo non fu attratto dalla bellezza dei monumenti (che erano in gran parte templi pagani ripugnanti al suo senso ebraico), ma si sdegnò interamente nel vedere quello che è mal tradotto “la città piena di idoli” (At 17:16, anche in TNM). Il greco ha κατείδωλον οὖσαν τὴν πόλιν (katèidolon ùsan ten pòlin). Il vocabolo κατείδωλον (katèidolos) – numero Strong 2712 – è un aggettivo costituito da κατά (katà, un intensivo) e da εἴδωλον (èidolon, “idolo”). In genere i vocaboli composti con katà indicano una vegetazione lussureggiante o un cibo ben coperto d’aceto, un oggetto ben dorato o inargentato a dovere, e così via. Vi predomina però il concetto di piante, di alberi, di foreste. Noi diremmo “essere rigoglioso”. La traduzione letterale è: “Era sdegnato il suo spirito in lui vedendo una foresta di idoli essente la città”. O, messo in buon italiano: “Fremeva dentro di sé nel vedere quella città come fosse una foresta di idoli”. Senza dubbio Paolo era disgustato nel vedere le numerose statue che abbondavano nelle strade, attorno all’agorà (la piazza) e davanti alle case. Una caratteristica di Atene erano le colonne, poste ovunque nelle piazze, sormontate da una testa di Ermete (il Mercurio dei romani) che era il dio delle strade, delle porte e dei mercati. Quest’architettura particolare era stata creata proprio ad Atene (Pausania 1,24,3). Tucidite (6,12,1) riferisce che tali statue si trovavano ovunque, di fronte alle case e ai templi. Gli scavi nell’agorà hanno portato alla luce molti di questi esemplari. – The Athenian Agorà Vol. XI; E. Harrison, Archaic Scuplpture, Princeton, pagg. 108-176.
La parte nord-ovest dell’agorà (o piazza) era così colma di queste figure da venire chiamata semplicemente “l’Ermete”. Si poteva perciò dire che gli idoli in Atene erano come alberi in una foresta.
Paolo ne prese solo lo spunto per esaltare la religiosità dei greci e innestarvi la sua predicazione come messaggio del “dio sconosciuto” che pure essi veneravano:
“Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi. Poiché, passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo”. – At 17:22-28.
Gli scrittori antichi testimoniano che gli ateniesi veneravano molte divinità ignote (Pausania 1,1,4; Diogene 1,110; Filostrato, Vita di Apollonio 6,3,5). Questo si spiega con il fatto che la città storica, estendendosi, incluse molte aree che prima erano usate come cimiteri. Sotto la stessa agorà del 4° secolo si sono trovate tombe primitive, tra cui alcune micenee. Per costruirvi edifici, queste tombe di tanto in tanto venivano necessariamente violate. Quando ciò accadeva, gli ateniesi cercavano di placare gli spiriti adirati con sacrifici e anche con un culto prolungato che perciò veniva rivolto ad un dio ignoto. Spesso i greci chiamavo “dio” anche un antico eroe, per cui molti di questi altari al dio ignoto possono essere sorti in questo modo. – Per i pezzi archeologici comprovanti questo fatto cfr. Hesperia 22, pagg. 47 e 48: Hesperia 24, pagg. 148-153; Hesperia 35, pagg. 48 e 49.
Il frutto della predicazione paolina all’Areopago non fu eccellente, poiché molti si scostarono da Paolo quando lo sentirono parlare della resurrezione, inconcepibile per un greco. Ha dell’ironico il modo garbato in cui si celava la presa in giro con cui quei dotti ateniesi liquidarono Paolo: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta” (At 17:32). Per la mentalità greca la resurrezione era un ricadere in basso, perché l’anima liberata con la morte sarebbe ritornata nel corpo. Era noto per loro il bisticcio di parole greche σῶμα = σῆμα (sòma = sèma), corpo = tomba. Tuttavia, qualche frutto postumo ci fu per quel seme che Paolo aveva posto: la conversione di Dionigi l’areopagita.
Paolo fissò poi la sua dimora a Corinto, centro commerciale di prim’ordine, dove poteva incontrare dei connazionali. Vi rimase diciotto mesi, irradiando così la sua predicazione per l’Acaia. Ma dovette abbandonare anche quel posto a causa delle manovre architettate dai soliti giudei. Se non subì alcun danno lo dovette alla fermezza del proconsole Gallione, che non volle intromettersi in questioni di fede proprie dei cavillosi giudei di quel tempo.
Paolo tornò allora ad Antiochia – via mare, quando poteva -, toccando Efeso e passando per Gerusalemme.