Cu fu una prigionia di Paolo a Efeso? In tempi moderni è stata riesumata l’ipotesi espressa nel 1731 da L. Oelder secondo cui Paolo avrebbe subito una dura prigionia a Efeso verso il 51-53 (o 53-56) durante la quale Paolo avrebbe scritto le sue lettere dal carcere. Intanto va detto che di questa supposta prigionia non parla il libro di At. Vero è, però, che questo silenzio non va esagerato, giacché Luca tralascia molti episodi che a noi sono noti dagli scritti di Paolo. La dichiarazione che “dalle Scritture non risulta che [Paolo] sia stato in carcere a Efeso” (Perspicacia nello Studio delle Scritture Vol. 1, pag. 517, alla voce “Colossesi, lettera ai”, § 4) appare dunque precipitosa.
Da 2Cor sappiamo che Paolo aveva già subito molti imprigionamenti: “In ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni” (6:4,5), “Per le prigionie” (11:23). In tutti e due questi passi Paolo usa il plurale: “In prigionie (ἐν φυλακαῖς, en fülakàis), mentre At fino a quel momento parla solo della breve (una notte) incarcerazione a Filippi. At non menziona nemmeno i tre naufragi di Paolo, le sue cinque flagellazioni, le sue tre battiture con verghe; cose che ci sono note solo grazie all’autobiografia paolina: “Cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio” (2Cor 11:24,25). In tal caso, non farebbe meraviglia il silenzio di Luca su una prigionia paolina a Efeso, dove del resto Luca non era stato presente.
Che Paolo abbia dovuto soffrire molto a Efeso risulta nel commiato dagli anziani (“vescovi”) di quella congregazione, a cui Paolo ricorda come abbia dovuto spargere lì “lacrime” e subire “le prove” procurategli “dalle insidie dei Giudei” (At 20:19). A quei giudei si può riferire l’allusione paolina di aver “lottato con le belve a Efeso” (1Cor 15:32), da intendersi non in senso letterale ma metaforico. Il senso metaforico risulta dall’aggiunta: “secondo l’uomo” (Diodati), ovvero “[Parlo] secondo l’uomo [secondo un modo dire umano]”. Sbaglia quindi NR traducendo: “Se soltanto per fini umani ho lottato con le belve a Efeso”. TNM traduce in una maniera poco comprensibile in cui è difficile cogliere un senso: “Se, come gli uomini, ho combattuto a Efeso con le bestie selvagge”, pur annotando in calce: “O, ‘Se, per motivi umani’. Lett. ‘Se, secondo l’uomo’. Gr. ei katà ànthropon”. Ed è proprio il greco κατὰ ἄνθρωπον (katà ànthropon) che ci mette sulla buona strada della comprensione, poiché questa espressione Paolo la usa anche altrove per indicare un modo figurato di esprimersi: “Dico forse queste cose da un punto di vista umano? [κατὰ ἄνθρωπον (katà ànthropon)]” (1Cor 9:8; TNM traduce stranamente: “Secondo le norme umane”), “Parlo secondo le usanze degli uomini [κατὰ ἄνθρωπον (katà ànthropon)]” (Gal 3:15; qui TNM traduce molto bene: “Parlo con un’illustrazione umana”). Questo modo di parlare figurato (belve = giudei) era comune nell’antichità. Anche Ignazio, riferendo del proprio viaggio a Roma per subire il martirio, dice di essere accompagnato da dieci leopardi, intendendo dieci soldati.
A torto, quindi, l’apocrifo Atti di Paolo non solo fa imprigionare l’apostolo ma lo espone anche ai leoni che non lo toccano. Nella sua assurdità, questo apocrifo fa in modo che durante la morte di Paolo avvenisse il battesimo di alcune persone, perfino di un leone. Questo ci fa venire in mente la conversione di un lupo nei fioretti di San Francesco.
Dopo tutte queste considerazioni si potrebbe giungere alla conclusione che a Efeso Paolo fu anche imprigionato e corse il rischio di morire? Una tale ipotesi ci chiarirebbe meglio quanto segue:
- L’epiteto “compagni di prigionia” dato da Paolo ad Andronico e a Giunia in Rm 16:7. Quando fu scritta la lettera ai romani – subito dopo la permanenza efesina di Paolo – l’occasione di prigionia si spiegherebbe a Efeso, dove Paolo era rimasto tre anni. Anche il medesimo titolo attribuito ad Aristarco (“Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia”, Col 4:10) e ad Epafra (“Epafra, mio compagno di prigionia”, Flm 23) potrebbe riferirsi non alla prigionia romana – dove solo Paolo era in prigione – ma a questa precedente prigionia efesina. Tuttavia, qualche studioso sostiene che potrebbe riferirsi anche alla prigionia romana. Per ribattere quest’argomento P. Teodorico sostiene che il termine “compagno di prigionia” indicherebbe “conquistato da Cristo insieme a Paolo” (P. Teodorico, Sunaichmalotos in Studiorum Paolinorum Congressus Vol. II, pagg. 417-428). Si tratterebbe quindi, secondo questo studioso, di una prigionia spirituale. Si potrebbe pensare però che cavillare così sul termine applicandolo in senso spirituale non porta lontano. Paolo, infatti, dice: “Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, ti saluta. Così pure Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei collaboratori” (Flm 23,24). Se Epafra fosse stato, come Paolo, prigioniero del Cristo in senso spirituale, come mai non lo sarebbero Luca e tutti gli altri menzionati? Solo Epafra è detto “compagno di prigionia” di Paolo. La stessa considerazione vale per Col 4:10,11: “Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia, Marco, il cugino di Barnaba (a proposito del quale avete ricevuto istruzioni; se viene da voi, accoglietelo), e Gesù, detto Giusto”. Anche qui Paolo distingue una persona specifica (Aristarco) quale “compagno di prigionia”, mentre gli altri non lo sono. L’unica spiegazione sarebbe allora che si tratta di prigionia letterale? Così credono i Testimoni di Geova: “I due erano ‘compagni di prigionia’ di Paolo, forse essendo stati con lui in prigione da qualche parte” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 1168, alla voce “Giunia”). È così? Non necessariamente. Andronico e Giunia potevano avere in comune tra loro e con Paolo il modo in cui erano stati chiamati da Yeshùa. In questo senso potevano essere “compagni di prigionia”, fatti “prigionieri” da Yeshùa (Ef 4:8). Aristarco era noto a Efeso, dove anche più tardi (al tempo dell’insurrezione di Demetrio) corse il rischio di venire linciato: “Tutta la città fu piena di confusione; e trascinando con sé a forza Gaio e Aristarco, macedoni, compagni di viaggio di Paolo” (At 19:29); ma non è detto che andò in prigione.
- Una prigionia paolina a Efeso potrebbe spiegare meglio anche come Aquila e Priscilla abbiano “rischiato il proprio collo” per Paolo (Rm 16:3,4, TNM). È evidente che l’odio contro Paolo si era riversato pure sui due coniugi giudei diventati discepoli di Yeshùa, che avevano ospitato Paolo in casa loro. Ma non è detto che Paolo dovette per forza essere imprigionato a Efeso.
- Il Prologo Marcionita annota che la lettera di Paolo ai filippesi fu scritta mentre Paolo era “ligatus” (prigioniero) ad Efeso. Tuttavia, il prologo a Filemone ricollega questa lettera alla prigionia romana di Paolo. Non posiamo quindi fidarci di questa fonte.
- Una prigionia efesina di Paolo renderebbe più comprensibili e facili i viaggi degli amici di Paolo a Filippi (Flp 2:19-30) e a Colosse (Flm 22). Anche lo schiavo fuggiasco Onesimo avrebbe potuto trovare asilo nel tempio di Diana efesina e incontrarsi più facilmente con Paolo che aveva creato commozione in tutta la città con il suo vangelo. Ma sono solo supposizioni.
Va detto che, oltre alle persone che abbiamo preso in considerazione, nelle lettere di Paolo dal carcere sono anche ricordate altre persone che non hanno rapporti particolari con Efeso. Anzi, Luca e Marco (che sono menzionati) ci orientano verso Roma e non verso Efeso.
Di certo Luca non fu a Efeso, ma rimase a Filippi, dove venne ritrovato da Paolo prima di partire per Gerusalemme ed esservi imprigionato, come appare dalle sezioni “noi” (in cui Luca, scrittore di At, si include) che cessano dopo la visita di Paolo a Filippi per riprendere nuovamente al suo ritorno ancora a Filippi:
“Ci recammo a Filippi” |
At 16:12 |
Luca è a Filippi |
“Dopo essere passati per Amfipoli e per Apollonia, [Paolo e Sila] giunsero a Tessalonica” |
At 17:1 |
Luca rimane a Filippi. Paolo prosegue il suo lungo giro e rientra poi a Filippi dove ritrova Luca |
“Fecero partire Paolo e Sila per Berea; ed essi, appena giunti […]” |
At 17:10 |
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“Quelli che accompagnavano Paolo, lo condussero fino ad Atene” |
At 17:15 |
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“Dopo questi fatti egli lasciò Atene e si recò a Corinto” |
At 18:1 |
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“Quando giunsero a Efeso, Paolo […]” |
At 18:19 |
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“Giunto a Cesarea, salì a Gerusalemme; e, salutata la chiesa, scese ad Antiochia” |
At 18:22 |
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“Partì, percorrendo la regione della Galazia e della Frigia” |
At 18:23 |
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“[Paolo] giunse a Efeso” |
At 19:1 |
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“[Paolo] partì per la Macedonia” |
At 20:1 |
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“[Paolo] giunse in Grecia” |
At 20:2 |
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“Partimmo da Filippi” |
At 20:6 |
Luca era a Filippi |
Anche Marco, come attesta la tradizione di antichi scrittori ecclesiastici, fu incontrato da Paolo a Roma, dove avrebbe scritto il suo Vangelo riportando a memoria (ma sotto ispirazione) quanto ricordava della predicazione pietrina. – Ireneo, Adv. Haer. 3,10,6; Clemente Alessandrino, Ipotiposi 6 in Eusebio, Hist. Eccl. 2,15,1-2; Comm. in I Petri in Eusebio.
Quindi, nonostante alcune apparenze favorevoli per Efeso, è preferibile attribuire le lettere di Paolo dal carcere alla sua prigionia romana.