Quarta strofa. Yeshùa è il riconciliatore. Egli è il “capo” della congregazione poiché è il “principio” e il “primogenito”. “Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato” (1:18). Yeshùa è “il principio” o inizio della congregazione perché fu lui stesso a crearla con la potenza dello spirito dopo la sua resurrezione (come narrato in At 2). È “principio” anche in quanto “primogenito”, ossia la primizia dei risorti, essendo già risorto e divenendo in tal modo causa di vita anche per i credenti (Ap 1:5,6). Non bastava la morte di Yeshùa per salvare. Essa doveva essere integrata dalla resurrezione. Se Yeshùa fosse solo morto, non avrebbe vivificato alcuno. Tutte le persone muoiono, ma solo Yeshùa è il “risorto”, il “vivente”. “Ora se si predica che Cristo è stato risuscitato dai morti, come mai alcuni tra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti? Ma se non vi è risurrezione dei morti, neppure Cristo è stato risuscitato; e se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio, che egli ha risuscitato il Cristo; il quale egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è stato risuscitato; e se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati”. – 1Cor 15:12-17.
Si rifletta bene su ciò che è stato appena citato dalla Scrittura. Una differenza più grande tra la verità della Bibbia e tutte le religioni del mondo non esiste. Tutte le religioni vengono da un morto (presunto profeta o presunto illuminato che sia, ma oggi pur sempre morto). Akhenaton, Zarathustra, Mani, Muhammad (Maometto), Buddha, Confucio, Lao Tzu e tutti gli altri sono morti. Solo la verità della Bibbia proviene da un vivente. “Perché cercate il vivente tra i morti?”. – Lc 24:5.
La riconciliazione con Dio è resa possibile perché Dio (nel versetto Dio è soggetto sottinteso) si è compiaciuto “di far abitare in lui [Yeshùa] tutta la pienezza” (1:19). Non si tratta qui della pienezza della divinità (come spesso erroneamente s’intende da parte trinitaria), ma piuttosto – secondo il contesto – di tutta la pienezza dell’universo.
Tutto il creato, tanto materiale che spirituale, dimora quindi in Yeshùa e da lui dipende, da lui riceve la riconciliazione (v. 20) nel senso più esteso possibile: degli uomini con Dio, degli uomini tra di loro e del creato con il Creatore. Tutto ciò troppo spesso è assoggettato al peccato da parte dell’uomo: “La creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo”. – Rm 8:19-23.
Hanno, quindi, purtroppo, una visione miope i Testimoni di Geova che restringono la riconciliazione di cui parla Paolo. “Questa riconciliazione riguarda due distinti gruppi di persone, cioè ‘le cose nei cieli’ e ’le cose sulla terra’ . . . Il primo gruppo è formato dai 144.000 cristiani a cui è offerta la speranza di servire come sacerdoti celesti e di governare come re la terra insieme a Cristo Gesù. . . . Tramite loro, in un periodo di mille anni, i benefìci del riscatto saranno gradatamente estesi all’umanità ubbidiente”. – Accostiamoci a Geova cap. 14, pag. 146, § 18.
Strumento di questa riconciliazione è il sangue di Yeshùa: “Avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce” (1:20). Yeshùa ha portato la pace dove prima dominavano guerra e disordine. Il verbo usato è εἰρηνοποιήσας (eirenopoièsas), che in tutte le Scritture Greche si trova solo qui. Questo verbo è simile a quello usato da Filone (De Spec. Leg. 102) e pare un’allusione alla liturgia del capodanno ebraico che celebra Dio come pacificatore universale.
È Dio il termine ultimo cui tende la riconciliazione, ma essa è attuata tramite Yeshùa (“per mezzo di lui”, v. 20) proprio con quell’atto di morte in cui le “potenze” del cosmo credevano di avere la superiorità sul cristo: “Ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”. – 2:15.
Si noti l’idea che Paolo utilizza: “Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa” (1:18). L’idea è: corpo = congregazione. L’origine di questa idea si è tentata di trovarla ora nel rabbinismo giudaico, ora nello gnosticismo, ora nello stoicismo. È invece più probabile che vi abbia influito il concetto ebraico della personalità corporativa. Ha a che fare con la legge della solidarietà corporativa che rende possibile l’equiparazione tra il primo e il secondo Adamo, in cui gli uomini rispettivamente periscono e rinascono (1Cor 15:22,45). Il Cristo è così unito ai credenti che essi stessi possono essere chiamati perfino “Cristo”: “Come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo […]. Per formare un unico corpo” (1Cor 12:12,13). Probabilmente tale idea s’impresse nella mente di Paolo quando Yeshùa lo chiamò dicendogli: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9:4). Si noti: non: Perché perseguiti la mia congregazione, ma: “Perché perseguiti me?” (τί με διώκεις, ti me diòkeis?). Fu con tutta probabilità dalla meditazione di queste parole che sgorgò in Paolo l’idea della unione intima dei credenti con Yeshùa. In seguito, sotto la guida dello spirito santo, maturò la concezione che Yeshùa fosse il capo del suo corpo, la congregazione.
Ci si potrebbe anche domandare come si possa spiegare quest’unione tra “capo” e “corpo-congregazione” secondo Paolo. Usualmente i cattolici parlano di unione mistica tra Yeshùa e i suoi fedeli tramite lo spirito santo. Paolo, tuttavia, intende qualcosa di più. Da ebreo concreto, Paolo intende parlare di un vero contatto tra il corpo (i fedeli nella congregazione) e Yeshùa (morto e risorto). Questo contatto avviene tramite due riti: battesimo e Cena del Signore. Entrambi, sotto il medesimo aspetto di segno biblico mettono il credente in contatto con la morte fisica e con la resurrezione reale di Yeshùa. – Vedere al riguardo le Appendici, in questa stessa categoria, Il battesimo: morte e resurrezione del credente.
Il battesimo costituisce la nuova nascita che ci riveste di Cristo: “Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3:27). La Cena ci nutre affinché questa comunione con il Cristo possa continuare.