È possibile che Paolo abbia inviato una lettera alla congregazione di Efeso, ma è arduo pensare che essa sia proprio la lettera che nelle traduzioni odierne della Bibbia appare come Lettera agli Efesini. Esaminiamo le ragioni contrarie alla destinazione efesina della lettera di Paolo.

   Anzitutto la lettera è indirizzata a una congregazione che Paolo non conosceva personalmente, tanto è vero che egli scrive: “Avendo udito parlare della vostra fede” (1:15). Ora, il fatto è che Paolo conosceva molto bene la congregazione di Efeso, dove aveva soggiornato a lungo: “Ho lottato con le belve a Efeso”, “Rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste” (1Cor 15:32;16:8). Come abbiamo già visto nello studio precedente, Paolo aveva mandato “a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa” (At 20:17). Gli eventi del soggiorno paolino a Efeso sono riportati in At 19:1-20:1.

   Il tono distaccato e impersonale con cui la lettera è scritta contrasta con la destinazione presunta efesina. Nella lettera non è ricordato da Paolo alcun nome di suoi collaboratori e amici. A Efeso, invece, Paolo aveva molti conoscenti cui era legato da intimi legami di affetto: “Quando [gli anziani di Efeso] giunsero da lui, disse loro: ‘Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi […] non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunziate e insegnate in pubblico e nelle vostre case […] voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno […] non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio […] per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime […]. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me’ […]. Tutti scoppiarono in un gran pianto; e si gettarono al collo di Paolo, e lo baciarono”. – At 20:18,20,25,27,31,34,37.

   La tradizione manoscritta conferma la forte impressione che la lettera non era indirizzata agli efesini. La dicitura iniziale “in Efeso” manca nei codici più antichi. Si noti 1:1:

“Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono [a Efeso] e ai fedeli uniti a Cristo Gesù”. –TNM.

   La messa tra parentesi quadre ([a Efeso]) indica che quelle parole non compaiono nei testi importanti. Mancano, infatti, nel Vaticano (B), nel Sinaitico (א) e nel Papiro Chester Beatty (P46). Basilio e Origène conoscevano antichi manoscritti che avevano solo le parole: “Ai santi che sono”, per cui il vescovo di Cappadocia deduceva che solo i credenti meritato di essere chiamati “viventi” giacché partecipano alla vita di Yeshùa. – Basilio, Contro Eugenio 2,29 PG 29, 611 e 612.

   L’eretico Marcione, stabilitosi a Roma verso il 140, asseriva che tale lettera era indirizzata ai laodicesi (presso Tertulliano, Adv. Marc. 5,17). Anche se questo eretico è discutibile dal punto di vista dogmatico, non c’è motivo di screditarlo in questioni puramente storiche che non avevano alcun legame con la sua eresia.

   Il primo testimone sicuro del titolo è Ireneo, vescovo di Lione morto verso il 202 (Ireneo, Adv. Haer. 3,2,8.1.24). Ma è un testimone già tardo, in disaccordo con le precedenti testimonianze.

   Che dire? Due soluzioni sono state proposte dagli studiosi.

  1. Prima ipotesi. La lettera “agli efesini” sarebbe stata una lettera circolare inviata alle congregazioni del retroterra efesino, per cui non avrebbe recato il nome dei destinatari, nome che sarebbe stato aggiunto alle singole copie secondo la congregazione che la riceveva. Dato che in origine il nome era mancante, si spiegherebbero le copie che mancano del nome. L’odierno nome si spiegherebbe con il fatto che si sarebbe conservata la copia inviata a Efeso oppure perché era la principale di quelle congregazioni. Già Teodoro Beza (in Novum Testamentum Graece et Latine, Genève, pag. 288) sospettava che la lettera fosse stata spedita a Efeso perché da lì venisse trasmessa alle altre congregazioni minori che erano ad essa collegate. L’ipotesi della lettera circolare fu difesa da J. Usser (Annales Veteris et Novi Testamenti II, London, pag. 686) ed in seguito da moltissimi altri esegeti sia protestanti che cattolici. In tal modo si spiegherebbe l’impersonalità dello scritto giacché Paolo si rivolge a diverse congregazioni, molte delle quali non erano state fondate personalmente da lui. Lo spazio in bianco che si rinviene nei manoscritti dopo le parole τοῖς οὖσιν [   ]”, tòis ùsin [   ], “a coloro che sono [   ]”, avrebbe dovuto essere coperto dal nome della speciale congregazione alla quale la copia era destinata. Altri studiosi pensano che sia meglio sopprimere τοῖς οὖσιν (tòis ùsin), altri ancora pensano sia meglio riunirlo a “santi e fedeli in Cristo”. Eliminarlo non ci pare una buona idea: c’è! In quanto a riunirlo in modo da avere: “A coloro che sono santi e fedeli in Cristo”, parrebbe a prima vista logico, ma sottolineiamo che ne verrebbe fuori una formula che non è paolina (si confrontino tutte le aperture delle lettere paoline). Che soluzione dare? Forse è bene non dimenticare che τοῖς (tòis) manca nel P46, uno dei testi più antichi. Il che mostra incertezza nella tradizione manoscritta. Inoltre, di solito l’indicazione del luogo prende il posto del nome dei destinatari o segue il loro nome: non si intromette come qui. Per capirci, in Col 1:2 abbiamo: “Ai santi e fedeli fratelli uniti a Cristo [che sono] a Colosse” (TNM) e non : ‘Ai in Colosse santi e fedeli uniti a Cristo’. Così non potremmo avere, qui in Ef 1:1: ‘Ai santi che sono [a Efeso] e ai fedeli uniti a Cristo Gesù’. Se la formula fosse genuinamente paolina, dovremmo avere: ‘Ai santi e fedeli fratelli uniti a Cristo che sono a Efeso’, ma così non è.
  2. Seconda ipotesi. La cosiddetta lettera agli efesini sarebbe stata in realtà rivolta ai laodicesi. Dopo Marcione (stando a Tertulliano), questa ipotesi fu proposta da J. Mill (1645-1707), da J. J. Wettstein (Novum Testamentum II, Amsterdam, 1752, pag. 258) e patrocinata da A. von Harnack (Die Adresse des Epheserbriefes des Paulus, 1910, pagg. 696-709) che attribuiva la scomparsa del nome “Laodicea” ad un’omissione voluta per il fatto che la città di Laodicea ricevette un forte biasimo da Giovanni (Ap 3:14-19). Ora, che Paolo abbia scritto una lettera ai laodicesi (Laodicea era stata evangelizzata da Epafra assieme alle città di Colosse e di Gerapoli – Col 4:13) è un fatto certo: “Quando questa lettera [ai colossesi] sarà stata letta da voi, fate che sia letta anche nella chiesa dei Laodicesi, e leggete anche voi quella che vi sarà mandata da Laodicea” (Col 4:16). Le affinità tra la lettera ai colossesi e quella agli “efesini” si spiegherebbe in questa ipotesi con il fatto che esse furono scritte nello stesso periodo per due congregazioni vicine (Colosse e Laodicea) e perciò aventi i medesimi problemi. Si spiegherebbe anche che la stessa persona, Tichico, abbia l’incarico di recare entrambe le lettere in quanto le due città erano molto vicine: “Tichico, il caro fratello e fedele servitore nel Signore, vi informerà di tutto” (Ef 6:21), “Tutto ciò che mi riguarda ve lo farà sapere Tichico” (Col 4:7). Si spiegherebbe anche l’affermazione di Marcione – che doveva pur avere qualche fondamento – secondo cui i laodicesi erano i destinatari di questa lettera. Anche la minaccia di Dio alla congregazione di Laodicea – “Ti vomiterò dalla mia bocca”, Ap 3:16 – potrebbe aver influito nell’eliminare tale nome da alcuni manoscritti. Inoltre, quando la copia di una lettera veniva inviata ad un’altra congregazione riceveva il nome di questa, per cui a noi sarebbe giunta solo la copia efesina. Vi è, però, una difficoltà che sta nel saluto di Ninfa a Laodicea in Col 4:15: “Salutate i fratelli che sono a Laodicea, Ninfa e la chiesa che è in casa sua”. Tale saluto sarebbe stato più adatto nell’attuale lettera agli efesini, se questa fosse stata indirizzata ai laodicesi. Ma si potrebbe anche supporre che, avendo già inclusi i saluti in quella ai colossesi, Paolo non abbia ritenuto necessario ripeterli quando poco dopo avrebbe deciso di aggiungere alla prima anche una lettera particolare ai laodicesi, tanto più che le due lettere si dovevano scambiare.

   Si può quindi concludere che Ef non fu certamente inviata alla congregazione di Efeso, ma con tutta probabilità ai laodicesi. A meno che la lettera, oltre alla congregazione di Laodicea, includa anche le altre congregazioni della valle del Licro, minacciate dai medesimi errori (Laodicea, Gerapoli, Colosse). La lettera sarebbe poi finita a Efeso, dove si curò la collezione delle lettere paoline e s’introdusse il nome “in Efeso”.

   Come si vede, tutte e due le ipotesi hanno la stessa forza. Quale adottare? Pensiamo che non si possa essere categorici. Forse se ne può preferire una rispetto all’altra, ma come esserne tassativamente sicuri? Solo il corpo dirigente dei Testimoni di Geova dà un taglio netto e afferma: “Il papiro Chester Beatty, il manoscritto Vaticano 1209 e il Sinaitico omettono le parole ‘a Efeso’ nel capitolo 1, versetto 1, e così non indicano la destinazione della lettera. Questo fatto, insieme all’assenza di saluti rivolti a singoli individui di Efeso (sebbene Paolo vi avesse lavorato tre anni), ha indotto alcuni a supporre che la lettera fosse indirizzata altrove, o almeno che fosse una lettera circolare alle congregazioni dell’Asia Minore, inclusa Efeso. Comunque, la maggioranza degli altri manoscritti includono le parole ‘a Efeso’, e, come abbiamo detto sopra, gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli la accettarono come una lettera agli efesini” (Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile, pag. 220, § 4). Noi non ci sentiamo di essere così categorici. Il fatto che “la maggioranza degli altri manoscritti includono le parole ‘a Efeso’” (Ibidem) è un fatto, ma si trascura di dire che essi non sono i manoscritti più antichi. In quanto al fatto che “gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli la accettarono come una lettera agli efesini” (Ibidem) anche questo è un fatto, ma si trascura di sottolineare che sono tardivi e si trascura di citare quelli contrari. Inoltre, non vengono date spiegazioni sul vuoto di Ef 1:1. Abbiamo il sospetto che si tagli corto troppo in fretta. E abbiamo il sospetto che ciò sia dovuto alla necessità di avere sempre le risposte. Sarebbe semplice anche per noi tagliare corto e respingere un’ipotesi a favore dell’altra. Ma non sarebbe da studiosi.

   Per lo speciale genere letterario della lettera (che si leggeva nelle pubbliche assemblee liturgiche – cfr. 1Ts 5:27; Col 4:16), l’usuale saluto collettivo si evitò e si omise il nome di Timoteo che pure era presente con Paolo. – Ef 6:24.