Dalla morte alla vita (2:1-10).
In Ef 2:1-3 abbiamo un anacoluto, vale a dire una frase non terminata perché manca il verbo principale. Tradotto letteralmente, il testo suona così: “E voi, essendo morti alle trasgressioni e ai vostri peccati, in cui un tempo camminaste secondo il secolo di questo mondo, secondo il principe del potere dell’aria, di quello spirito ora operante nei figli della disubbidienza, nei quali anche tutti noi abbiamo frequentato un tempo nelle brame della nostra carne facendo la volontà della carne e dei pensieri, ed eravamo figli, per natura, dell’ira come gli altri” (traduzione letterale dal greco). Le traduzioni cercano di rimediare alla mancanza del verbo principale, pur mettendo tra parentesi quadre le parole mancanti, e aggiustando la punteggiatura “Inoltre, [Dio] vi [rese viventi] benché foste morti nei vostri falli e nei vostri peccati, nei quali un tempo camminaste secondo il sistema di cose di questo mondo, secondo il governante dell’autorità dell’aria, lo spirito che ora opera nei figli di disubbidienza. Sì, fra loro noi tutti ci comportammo un tempo in armonia con i desideri della nostra carne, facendo le cose che volevano la carne e i pensieri, ed eravamo per natura figli d’ira come anche gli altri”. – TNM.
“Voi che eravate morti” (2:1). I credenti, come i non credenti, erano tutti destinati alla morte, senza speranza di vita se non fosse intervenuta la misericordia divina.
“Il principe della potenza dell’aria” (2:2), vale a dire satana, che dimora nell’aria tra cielo e terra. L’espressione indica la sua potenza superiore all’umana, essendo più vicino a Dio e più potente di noi. Siccome è opposto a Dio, ci tenta di continuo: “Il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (6:12). Satana è il dominatore di questo mondo: “Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità”, “Il principe di questo mondo”. – Gv 8:44;16:11.
Anche i credenti erano presi, come i non credenti, dalle loro concupiscenze carnali: “Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri” (2:3). “Anche noi un tempo eravamo insensati, ribelli, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella cattiveria e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda” (Tit 3:3). “Basta con il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche” (1Pt 4:3). È con ragione, quindi, che Paolo dice che ”eravamo per natura figli d’ira” (2:3): il nostro essere naturale e umano era questo, non elevato dalla grazia divina, per cui noi pure saremmo stati soggetti all’ira divina. “Figli d’ira” significa, infatti, gente destinata alla distruzione divina. L’espressione richiama l’idea di chi è irato ed è portato a distruggere ciò che lo fa irritare. Si tratta di un antropomorfismo applicato a Dio, secondo il pensiero concreto degli ebrei; lo scopo è di mostrare che Dio non è insensibile alle nostre azioni.
Non si può dedurre da qui una prova del peccato originale, perché il contesto non si riferisce ai bambini appena nati. Anche i credenti, con le loro colpe, non potevano salvarsi con le loro forze naturali. Neppure gli ebrei potevano farlo, con la loro scrupolosa pratica delle “opere della Legge”. Tutti avevano bisogno della bontà amorevole di Dio che, nella sua grazia, li purificasse e li perdonasse.
Anche qui non si argomenta sul fatto se il bambino nasca perfettamente equilibrato (come sosteneva Rousseau) oppure no. Questo problema esula del tutto dai pensieri di Paolo. L’apostolo non si dedica a elucubrazioni astratte. Paolo era un ebreo, non faceva speculazioni teoriche. Egli vede l’essere umano per quello che è, per come si trova nella situazione attuale del mondo. E vede che l’essere umano, nell’ambiente attuale, cade nella schiavitù delle concupiscenze carnali e vive schiavo di satana. Paolo non parla qui dei bambini che nascono e muoiono, ma delle persone già mature che l’apostolo aveva davanti agli occhi con tutti i loro peccati.
Anche se cerchiamo di creare un ambiente ideale, i nostri sforzi saranno frustrati dall’ereditarietà che influisce sull’individuo e lo condiziona, rendendolo tarato. Se questa ereditarietà sia in parte colpevole, se talora possa perfino togliere la libertà a un individuo, non sta a noi giudicare. È segreto divino che ci sarà svelato nel giudizio universale: “Non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori”. – 1Cor 4:5.
A questa miseria umana è venuto incontro Dio con il suo grande ed immenso amore: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati)”. – 2:4,5.
“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”. – 1Gv 8:4-10.
“Mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. – Rm 5:6-8.
“Ci ha risuscitati con lui” (2:6). Si noti che la resurrezione è presentata come una realtà esistente. Non solo siamo già risorti (Col 2:12;3:1), ma siamo pure già seduti con Yeshùa nel Regno celeste: “Ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù” (2:6). Come si spiega? Ciò che si è attuato in Yeshùa è già pronto per noi: dov’è il capo devono essere pure le sue membra. Ciò non significa, però, che una volta che abbiamo ricevuto il battesimo (che è una raffigurazione tipica di questi eventi, vale a dire della morte e della resurrezione di Yeshùa) siamo salvati per sempre. Questa è un’idea assurda, cara ai protestanti. Il dono divino lo possiamo perdere come ogni altro tesoro finché siamo su questa terra: lo portiamo in vasi fragili che si possono rompere: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra” (2Cor 4:7). Dobbiamo quindi essere sempre vigilanti. – Cfr. 5:3-17.
L’amore di Dio rivolto ai peccatori vuole dimostrare nei secoli futuri l’immensa bontà generosa di Dio: “Per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia”. – 2:7.
“Infatti è per grazia che siete stati salvati” (2:8). Si sottolinea il principio paolino che noi siano salvati “per grazia” e non “per opere”. Anche le opere buone sono frutto di sforzo umano, ma esse sono preparate da Dio perché i credenti le compiano. Senza grazia e senza fede non è possibile compiere opere buone nel senso che troviamo nelle Scritture Greche. Infatti, siamo “stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo“ (2:10). Ne consegue che l’essere umano non può affatto gloriarsi del bene che compie, ma deve solo ringraziare Dio: “Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti”. – 2:9.