Camminare come figli della luce (5:6-20).

   “Nessuno vi seduca con vani ragionamenti” (v. 6). Le “parole vuote” (TNM) che ingannano sono quelle dei falsi insegnanti della buona notizia: “Nessuno vi inganni con parole seducenti […]. Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui” (Col 2:4,6), “Non insegnare dottrine diverse […] le quali suscitano discussioni invece di promuovere l’opera di Dio, che è fondata sulla fede” (1Tm 1:3,4). “Lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi” (1Tm 4:1,2); “Ci sarà un periodo di tempo in cui non sopporteranno il sano insegnamento, ma, secondo i loro propri desideri, si accumuleranno maestri per farsi solleticare gli orecchi; e distoglieranno i loro orecchi dalla verità, mentre si volgeranno a false storie”. – 1Tm 4:3,4, TNM.

   Dottrina falsa e costumi corrotti determinano una situazione di peccato tale da richiamare l’ira divina: “È per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli”. – V. 6.

   Il contrasto tra la vita dei pagani e quella dei credenti (posto prima in termini di vecchio uomo e di nuovo uomo) è ora espresso con l’immagine, molto diffusa nella Bibbia, di tenebre e luce. “Non siate dunque loro compagni; perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce” (vv. 7, 8). – Gv 1:5-9; Mt 5:14-16.

   Il v. 14 contiene una citazione che potrebbe essere un frammento di un antico inno dei discepoli di Yeshùa:

“Per questo è detto:

Risvégliati, o tu che dormi,

e risorgi dai morti,

e Cristo ti inonderà di luce’”.

   TNM traduce a modo suo: “Perciò egli dice”, indicando nella nota in calce; “O, ‘essa’”. E non si capisce chi sarebbe questo “egli” che potrebbe essere un’“essa”. Non ci resta che controllare il testo greco: διὸ λέγει (diò lèghei). Che lèghei significhi “dice” non si sono dubbi. E che diò (διὸ) voglia dire “perciò” è più che assodato. Ma da dove viene allora quell’“egli” che potrebbe essere “essa” in TNM? Nel testo non c’è. D’ipotesi su una parola mancante nel testo originale non sappiamo farne. Ma sappiamo il valore di lèghei: λέγει (lèghei) è una formula che la Bibbia usa per citare se stessa: Come è detto … ; Come è scritto … .

Passo

TNM

PdS

Rm 10:8

“Ma che cosa dice*?”

“Che dice la Bibbia?”

Rm 10:21

“In quanto a Israele dice*”

“Parlando invece di Israele:”

1Cor 9:10

“Lo dice* interamente per noi?”

“È per noi che parla?”

Gal 3:16

“Non dice*”

“La Bibbia non dice”

Ef 4:8

“Egli [“0 ‘essa’”, nota in calce] dice*”

“Dice la Bibbia”

Ef 5:14

“Egli [“0 ‘essa’”, nota in calce] dice*”

“Si dice”

Eb 1:6

“Dice*”

“La Bibbia dice”

Eb 2:6

“In qualche luogo, dicendo**”

“In una pagina della Bibbia”

* λέγει (lèghei).  ** Nel testo greco: “dice [λέγει (lèghei)]”.

   La fonte citata in Ef 5:14 potrebbe aver lasciato traccia in 1Tm 3:16: “Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria”. Forse si trattava di un antico inno usato nel battesimo; cfr. Eb 6:4: “Quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo”.

   Il v. 15 ha: “Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi”, cui viene aggiunta un’espressione non chiara: “ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi” (v. 16). Forse era un’esortazione a fare l’uso migliore del tempo che rimane prima della fine; in tal senso, i “giorni malvagi” sarebbero segno dell’esaurirsi del tempo. “Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo” (Col 4:5). “Questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale: è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo” (Rm 13:11). “Questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai abbreviato” (1Cor 7:29). “Finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene” (Gal 6:10). Il credente rimane in una situazione di attesa e deve cercare di fare la volontà di Dio che è il vero padrone del suo tempo.

   “Ma siate ricolmi di Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore” (vv. 18,19). I credenti, colmi di spirito santo, esprimono per loro stessi, non necessariamente per altri. Il greco ha ἑαυτοῖς (eautòis). Si tratta di un riflessivo: “A voi stessi”, “parlando a voi stessi” (TNM). Chi vive nella comunione con Dio conosce bene questa gioia. Qui si ha “parlandovi”, si tratta quindi di espressioni di lode a Dio personali, fatte con il “cuore” (ovvero con la mente, perché nella Scrittura il cuore è la sede dei pensieri). “Cantate di cuore [ἐν ταῖς καρδίαις ὑμῶν (en tàis kardìais ümòn), “nei vostri cuori”] a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali”. – Col 3:16.

   Come già trattato nell’esegesi alla lettera di Paolo ai colossesi:

Salmi

Composizioni tratte dal salterio (il libro biblico dei Salmi). Il salterio era già inteso presso gli ebrei come libro da usarsi nei canti. Fu usato anche dai discepoli di Yeshùa. La gioia interiore non poteva essere soddisfatta dalla prosa, ma doveva essere espressa in poesia.

Inni

Presso i pagani erano canti di lode rivolti ad alcune divinità ed eroi divinizzati. Nel senso della prima congregazione designano una composizione poetica, ispirata o no, per esaltare Dio e Yeshùa. La parola “inni” è usata in Ef e in Col 3:16. Altrove si rinviene solo in Mt 26:30* e in At 16:25**.

Cantici

Si tratta di “odi”, che potevano essere anche profane. Per distinguere questi cantici da quelli profani, Paolo usa l’aggettivo πνευματικαῖς (pneumatikàis), “ispirati”, mossi dallo spirito santo.

Note

* Mt 26:30: “Dopo che ebbero cantato l’inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi”** At 16:25: “Pregando, cantavano inni a Dio”.

   Le tre precedenti composizioni poetiche potevano essere cantate o salmodiate, come indicano i due participi presenti ᾄδοντες καὶ ψάλλοντες (àdontes kài psàllontes): “cantanti e salmeggianti”, tradotto giustamente “cantando e salmeggiando” (v. 19). Il cantare non lascia alcuna ambiguità. Non così per il verbo salmodiare. Se non si vuole ridurre a una pura tautologia (cioè il ripetere con termini diversi la stessa cosa) che ripete il precedente “cantando”, deve allora indicare un canto con accompagnamento della lira o della cetra. Il “salmodiando” diventa, infatti “accompagnandovi con musica” in TNM. Il verbo ψάλλω (psàllo) significa letteralmente “fare vibrare toccando, fare un suono metallico; toccare o colpire la corda, colpire le corde di uno strumento musicale affinché vibrino dolcemente; suonare uno strumento a corda, suonare l’arpa”. – Vocabolario del Nuovo Testamento.

   Alcuni studiosi restringono il valore di questi “salmi, inni e cantici spirituali” rifacendosi al dativo susseguente τῇ καρδίᾳ ὑμῶν (te kardìa ümòn), “nel vostro cuore”. I cuori sarebbero il posto il cui i discepoli devono salmodiare. Secondo questi studiosi si tratterebbe di pizzicare le corde del proprio cuore! Questo senso, però, non si trova mai altrove nella Bibbia. In più, il dativo “nel vostro cuore” si riferisce non solo al salmodiare ma anche al cantare, per cui in tal caso si dovrebbe sia salmodiare sia cantare nel proprio cuore, il che equivarrebbe allo stare in silenzio. Ciò sarebbe contro tutto il contesto, che è gioioso e udibile: λαλοῦντες (lalùntes), “parlanti”.

   Il passo deve dunque intendersi nel senso di canto sia vocale che accompagnato da strumento musicale, compiuto non solo esternamente, ma congiunto con la mente (il cuore biblico). Spesso si canta con la mente intenta altrove, mentre occorre che chi canti (anche se il canto è accompagnato da strumenti musicali), canti pensando a quel che dice. Il cuore è, infatti, per la Bibbia, sede dell’intelletto. Ad esempio, in At 16:14 è detto che “una certa donna di nome Lidia” stava ascoltando la predicazione di Paolo quando Dio “le aprì pienamente il cuore affinché prestasse attenzione alle cose che erano dette da Paolo” (TNM). Il porre mente alle cose che si fanno è sempre importante; ma diventa indispensabile, quando si tratta della nostra spiritualità. “Cantando e salmodiando” occorre che siamo presenti con la mente, così come quando si prega leggendo parti della Scrittura.

   Possiamo dedurre dal passo appena considerato che si devono usare strumenti musicali nei cantici che si innalzano nel culto? La Bibbia nulla dice pro o contro. Nel passo precedente non si parla estesamente del culto, ma dell’attività giornaliera della vita dei discepoli di Yeshùa. Non solo nel culto, ma anche altrove i credenti dovrebbero cantare a Dio (si ricordino i contadini di Betlemme che cantavano i salmi nei campi, durante il loro lavoro). Il canto è espressione di gioia che non deve limitarsi al culto settimanale. Non solo nel culto, ma sempre i credenti devono essere ricolmi di spirito santo. Chi è contento, canta! I nostri nonni e le nostre nonne, i nostri bisnonni e le nostre bisnonne, spesso cantavano mentre lavoravano. Oggi ci sono indubbiamente meno serenità di spirito e molte più preoccupazioni. Se può valere in queste circostanze il detto popolare “canta che ti passa”, tanto più dovrebbe valere il rivolgersi a Dio lodandolo con il nostro canto. In ogni caso, dice Paolo, il credente dovrebbe cantare per se stesso, e la sua gioia dovrebbe esprimersi con il canto. Si noti l’ἑαυτοῖς (eautòis), “a voi stessi” o “per voi stessi” (dativo di vantaggio), che non indica necessariamente la presenza di altri.

   Sia scusato il paragone, ma un ubriaco canta spesso anche da solo, perché la sostanza alcolica lo rende euforico. Non a caso i presenti alla Pentecoste che si festeggiava a Gerusalemme scambiarono per ubriachi i discepoli su cui era appena sceso lo spirito santo: “Li deridevano e dicevano: ‘Sono pieni di vino dolce’” (At 2:13). Ma Pietro spiegò la loro grande euforia: “Questi non sono ubriachi, come voi supponete, perché è soltanto la terza ora del giorno [le nove del mattino]; ma questo è quanto fu annunziato per mezzo del profeta Gioele: ‘Avverrà negli ultimi giorni’, dice Dio, ‘che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona’”. – Vv. 15-17.

   L’euforia dei credenti non è ottenuta con una sostanza chimica, come facevano i pagani. “Guai a quelli che la mattina si alzano presto per correre dietro alle bevande alcoliche e fanno tardi la sera, finché il vino li infiammi! La cetra, il saltèrio, il tamburello, il flauto e il vino rallegrano i loro banchetti! Ma non pongono mente a ciò che fa il Signore, e non considerano l’opera delle sue mani” (Is 5:11,12). “Improvvisano al suono della cetra, si inventano strumenti musicali come Davide; bevono il vino in ampie coppe” (Am 6:5,6). Tutti questi canti e suoni sono un abominio di fronte a Dio: “Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire il suono delle tue cetre!” (Am 5:23), “Il tuo fasto e il suono dei tuoi saltèri sono stati fatti scendere nel soggiorno dei morti; sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tua coperta” (Is 14:11). Dio ama invece i canti e le musiche dei credenti che lo lodano e non sono euforici per l’alcol ma per lo spirito santo.

   Che qui Paolo non parli espressamente del culto è anche indicato dal v. 20 in cui, usando il medesimo participio presente dei precedenti, aggiunge: “Ringraziando [εὐχαριστοῦντες (eucharistùntes), “ringrazianti”] continuamente per ogni cosa Dio Padre”. Ciò denota che non può essere solo durante il culto. È durante l’intera vita, “continuamente”, che dobbiamo ringraziare Dio per ogni cosa. Anzi, πάντοτε (pàntote) significa proprio”sempre”, come traduce giustamente TNM.

   Comunque, dal passo precedente possiamo sicuramente dedurre che gli strumenti musicali sono ben accetti anche nei canti del culto. Sbagliano, quindi, le Chiese di Cristo Non Strumentali, che – come dice il loro stesso nome – mettono al bando gli strumenti musicali per limitarsi alla musica vocale. Chi ha ascoltato i loro cori a più voci ha potuto goderne con emozione tutta la loro bellezza, ma la Bibbia non vieta gli strumenti musicali durante il culto.

   I primi discepoli usarono strumenti musicali durante il culto? Dal passo precedente non possiamo dedurre nulla, dato che non si parla direttamente del culto. Questo è solo un problema storico, non dottrinale. Dai testi storici che abbiamo, risulta che per molti secoli il canto cultuale fu eseguito senza accompagnamento di strumenti musicali. Alcuni ne fanno una questione. Se lo strumento musicale era usato, dicono, lo era solo per aiutare il canto e non per suonare solo per se stesso. Diverso sarebbe l’uso dell’organo, dicono sempre costoro, perché spesso suona per conto proprio mentre tutti sono in silenzio; il che servirebbe solo a creare un’atmosfera di sentimentalismo. E allora? Non si trova nulla nella Bibbia che riguardi la questione, né pro né contro. Forse sarebbe bene non usare strumenti per non introdurre nulla nel nostro culto che non fosse stato usato dalla prima congregazione. Forse. Ma non è il caso di farne un problema di essenziale importanza, giacché la Bibbia nulla dice al riguardo. Sbagliano, quindi, le Chiese di Cristo Non Strumentali, che mettono al bando gli strumenti musicali facendone una questione dottrinale.

   Come ultima annotazione, rileviamo un cambiamento tra Col ed Ef:

Col 3:16

A Dio […] salmi, inni e cantici spirituali”

Ef 5:19

“Salmi, inni e cantici spirituali […] al Signore