La città di Tiàtira – posta a circa 60 km dal Mar Egeo – era stata riedificata da un ex generale di Alessandro il Grande, Seleuco Nicatore, all’inizio del 3° secolo a. E. V.. È identificata con l’attuale Akhisar. Sebbene non fosse una grande città e non avesse grande rilie-vo politico, in essa vi-vevano molti artigiani e commercianti, ed era quindi importante quale centro industriale molto ricco. Tiàtira era famo-sa per la conciatura delle pelli, per la tessitura, per la tintura, per la lavorazione dell’ottone e per la ceramica. Il famoso color porpora, ottenuto dalle radici della rubia tinctorum, una pianta della famiglia delle rubiacee, era prodotto proprio in questa città. In At 16:12-15 è menzionata Lidia, “una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora”, incontrata da Paolo un sabato mattina mentre lui e il suo gruppo cercavano un luogo adatto per le preghiere del sabato.
Delle origini della piccola comunità di credenti che viveva a Tiàtira non sappiamo nulla. A essa però è destinata la lettera più lunga tra le sette apocalittiche.
La lettera si apre attribuendo a Yeshùa il titolo di Figlio di Dio: “All’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente” (Ap 2:18). Questo titolo è usato da Giovanni solo qui in tutta l’Ap. Il titolo, infatti, poteva risultare equivoco in ambiente pagano perché i pagani chiamavano “figlio di dio” qualcuno nato dall’unione sessuale di un dio con una donna umana, un semidio, intendendo “figlio” nel senso di generazione fisica. Questo è lo stesso identico errore che fa la stragrande maggioranza dei cosiddetti cristiani, con la sola differenza che alla generazione fisica hanno sostituito quella spirituale. Per quale motivo il veggente di Patmos qui usa questo epiteto? Perché è collegato a una citazione dalla Bibbia e quindi messo nel suo giusto contesto. Infatti, ai successivi vv. 26 e 27 viene citato Sl 2:8,9, salmo in cui si parla del Figlio al v. 12. Proprio come nella parte ebraica della Bibbia, anche qui il titolo indica la dignità di sovrano e giudice attribuita da Dio (Ap 19:15). In Israele il re era chiamato appunto “figlio di Dio”.
La descrizione maestosa di Yeshùa glorioso riprende quanto già detto in Ap 1:14,15. I suoi “occhi come fiamma di fuoco” (Ap 2:18) penetrano e scrutano tutto, perché egli è “colui che scruta le reni e i cuori” (Ap 2:23). Nell’antropologia biblica i reni sono la sede della coscienza e il cuore è la sede dei pensieri.
Yeshùa sa bene qual è la condizione della comunità di Tiàtira e loda il suo comportamento: “Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza” (Ap 2:19). La comunità progredisce di bene in meglio: “So che le tue ultime opere sono più numerose delle prime”. – Ibidem.
C’è però un rimprovero molto secco che le viene mosso: “Tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli” (Ap 2:20). Si ha qui la stessa eresia presente a Pergamo che tollerava “alcuni che professano la dottrina di Balaam . . . inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare”. – Ap 2:14.
Iezabel
La pagana Iezabel, figlia del re di Sidone, era stata la moglie straniera del malvagio re Acab re di Israele. Regina tirannica, era un’appassionata sostenitrice del baalismo, il culto del dio pagano Baal. La sua totale mancanza si scrupoli, tutta la sua arroganza e tutto il suo crudele egoismo sono manifestati nella vicenda narrata in 1Re 21:8-16, che la vide protagonista spietata. Per far piacere alla consorte, il re Acab fece costruire un tempio e un altare al dio Baal, con tanto “palo sacro”, simbolo fallico (1Re 16:32,33). Non soddisfatta che la Corona aveva approvato ufficialmente l’adorazione di Baal, la regina Iezabel tentò di estirpare da Israele l’adorazione dell’unico vero Dio, concorrente del suo dio Baal. Così impartì l’ordine che fossero uccisi tutti i profeti del Dio d’Israele; il profeta Elia, avvertito da Dio, dovette fuggire (1Re 17:1-3; 18:4,13). Elia dovette darsi di nuovo alla fuga quando Iezabel gli fece sapere che aveva fatto voto di ucciderlo. – 1Re 19:1-4,14.
Tutti i tentativi della crudele regina Iezabel di sradicare l’adorazione del vero Dio, fallirono. I suoi protetti, 450 profeti di Baal e 400 profeti del palo sacro, tutti mantenuti a spese della Corona (1Re 18:19), non poterono nulla, e rimase “in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s’è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l’ha baciato”. – 1Re 19:18.
Una volta morto il re Acaz, gli succedettero prima il figlio avuto da Iezabel, Acazia (due anni di regno), poi un altro figlio di lei, Ieoram (12 anni di regno), infine la dinastia di Acab terminò (1Re 22:40,51-53; 2Re 1:17; 3:1), in adempimento alla decisione di Dio di annientare quella malvagia dinastia (1Re 21:20-22). Nel frattempo Iezabel ebbe modo di fare altri danni, agendo in qualità di regina madre. – 2Re 9:22.
Dio aveva decretato la sua fine in questi termini: “Riguardo a Izebel il Signore parla e dice: ‘I cani divoreranno Izebel sotto le mura d’Izreel’” (1Re 21:23). “Ieu giunse a Izreel. Izebel, che lo seppe, si diede il belletto agli occhi, si acconciò la capigliatura, e si mise alla finestra a guardare . . . Ieu alzò gli occhi verso la finestra, e disse: «Chi è per me? chi?» E due o tre funzionari, affacciatisi, volsero lo sguardo verso di lui. Egli disse: «Buttatela giù!» Quelli la buttarono; e il suo sangue schizzò contro il muro e contro i cavalli. Ieu le passò sopra, calpestandola; poi entrò, mangiò e bevve, quindi disse: «Andate a vedere quella maledetta donna e sotterratela, poiché è figlia di un re». Andarono dunque per sotterrarla, ma non trovarono di lei altro che il cranio, i piedi e le mani. E tornarono a riferir la cosa a Ieu, il quale disse: «Questa è la parola del Signore pronunciata per mezzo del suo servo Elia il Tisbita, quando disse: ‘I cani divoreranno la carne di Izebel nel campo d’Izreel; e il cadavere di Izebel sarà, nel campo d’Izreel, come letame sulla superficie del suolo, in modo che non si potrà dire: Questa è Izebel’»”. – 2Re 9:30-37.
La pagana moglie straniera del cattivo re Acab viene quindi presa a modello della falsa profetessa che si era introdotta della comunità di Tiàtira: “Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli” (Ap 2:20). Costei, come la Iezabel che lei emulava, teneva una condotta malvagia che assomigliava a quella della regina moglie di Acab: insegnava l’errore, inducendo molti ad azioni immorali e idolatriche, rifiutandosi ostinatamente di pentirsi. Assumendosi indegnamente il titolo di profetessa, in realtà era una seduttrice. Come i nicolaiti, lei pure condivideva l’idea gnostica che i credenti potessero praticare senza tanti scrupoli l’immoralità sessuale e prendere parte ai banchetti sacrificali tenuti nei templi politeisti in onore degli idoli pagani. Già Paolo aveva condannato questa etica libertina. – 1Cor 6:9,10,12-20.
“Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione”, dice Yeshùa in Ap 2:21. Non ha saputo usare il tempo concessole per pentirsi e correggersi, per cui non rimane che annunciarle il giudizio: “Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie” (Ap 2:22). Quello che era stato il letto in cui consumava la sua immoralità sessuale diventa così “letto di dolore”. Quelli che seguono il pensiero e profanano il matrimonio hanno ancora occasione di ravvedersi, altrimenti faranno la sua fine: “Metterò anche a morte i suoi figli” (Ap 2:23). In tal modo, dice Yeshùa, “tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere”. – Ibidem.
Gli altri, quelli che non cadono nelle seduzioni della farla profetessa, sono a posto: “Agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga” (Ap 2:24,25). “Le profondità di Satana” indicano in modo sarcastico la conoscenza che gli gnostici pretendevano d’avere scrutando “le profondità di Dio” (1Cor 2:10). Così il loro motto è capovolto per dire che in realtà arrivano a conoscere solo cose sataniche.
La vera fede va ‘tenuta fermamente finché il Signore venga’: occorre attendere con fedeltà e costanza perché la perfezione degli eletti non è ancora una realtà. – Cfr. 2Tm 2:18.
La lettera si chiude con un’intonazione di vittoria: “A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino” (Ap 2:26-28). Il dominio finale sui pagani consiste nel giudizio: la “verga di ferro” è usata infatti per distruggere, frantumando le nazioni “come vasi d’argilla”. Che cos’è “la stella del mattino” che il vincitore riceverà da Yeshùa? In Ap 22:16 Yeshùa si definisce “la lucente stella del mattino”, ma non possiamo pensare a una uguaglianza, perché non avrebbe senso. Potrebbe esserci però l’idea della più alta dignità, espressa con il simbolo del pianeta Venere, che è l’oggetto più luminoso nel cielo notturno, secondo solo alla Luna, e che raggiunge la sua massima brillantezza poco prima dell’alba o poco dopo il tramonto, tanto che è chiamato la “Stella del Mattino” o la “Stella della Sera”. Obiettare che Venere è un pianeta e non una stella, è una sciocchezza, perché gli antichi non distinguevano: tutto ciò che era luminoso nel cielo era chiamato ἀστήρ, da cui il nostro “astro”. Venere, col suo splendore, simboleggiava al tempo di Giovanni il potere più alto, che era nelle mani di Cesare. Yeshùa dona invece il potere ai suoi fedeli che avranno dominio sulle nazioni.