Ci occupiamo in questo studio e nei due seguenti delle relazioni tra Yeshùa e Giovanni il battezzatore, e tra Giovanni ed Erode Antipa.

Yeshùa riguardo a Giovanni

   1. L’ambasciata (Mt 11:2-6; Lc 7:18-23).

   Questo brano si trova solo in Mt e in Lc, per cui appartiene alla fonte dei lòghia (i detti di Yeshùa), ignota a Mr. Il battezzatore, Giovanni, si trova in prigione: “Erode, fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione” (Mt 14:3). Le prigioni di allora erano in un certo senso meno disumane delle moderne perché non rompevano totalmente i ponti con il mondo esterno. Dal battezzatore, infatti, si recano i discepoli che egli già aveva (“I discepoli di Giovanni” – Lc 7:18). Due di questi discepoli di Giovanni sono inviati da Yeshùa, che Luca chiama “il Signore” e Matteo chiama “Cristo”. Il titolo di “Signore” applicato a Yeshùa è assai raro durante la sua vita. Mentre Yeshùa era ancora vivo vengono usati per lui altri titoli: “Figlio di Davide” (Mt 1:1), “Il Figlio dell’uomo” (Mt 16:26), “Figlio di Dio” (Mr 3:11). Il titolo di “Signore” è il risultato della terminologia che si usa per Yeshùa dopo la sua risurrezione, quando egli fu “costituito Signore e Cristo” (At 2:26). Luca, che ama retrodatare alla vita terrena tale titolo, usa questo epìteto; Matteo è più sobrio, non lo chiama così, ma dice che i discepoli di Giovanni furono inviati da Yeshùa perché il battezzatore aveva udito parlare delle “opere del Cristo”. La domanda presentata a Yeshùa è identica:

 

Mt 11:3 (TNM)

Lc 7:19 (TNM)

“Sei tu Colui che viene”?

“Sei tu Colui che viene”?

   Il testo greco ha ὁ ἐρχόμενος (o erchòmenos), participio presente con il senso di futuro imminente: “il veniente”. Si tratta di una formula tecnica riferita a Gn 49:10: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli”. Tale formula era divenuta nel 1° secolo una delle espressioni usate per indicare il messia: “Questi è per certo il profeta che doveva venire [greco ὁ ἐρχόμενος (o erchòmenos), “il veniente”] nel mondo” (Gv 6:14, TNM). Essa si trova più volte anche nel Talmùd. I samaritani ne trassero il termine tecnico taèb, “colui che converte/che ristabilisce il culto”. L’apologeta Giustino, nato a Flavia Neapolis verso il 100 E. V., scriveva: “ I giudei e i samaritani stanno sempre attendendo il cristo [messia]” (I Apol. 1,3,6). La frase deriva da Malachia: “Ecco egli viene [nel greco della LXX: ἔρχεται (èrchetai)]”. – 3:1.

   Era proprio per quest’attesa ansiosa che ogni rivolta trovava appoggio in Israele che attendeva “il veniente”. Alla morte di Erode vari capi popolari si misero in agitazione (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 17 8,3-17). Deposto Archelao nel 6 E. V., un certo Giuda prese le armi per opporsi al censimento indetto, dichiarando di non conoscere altro capo che Dio (Ibidem, 18,1,6). Più tardi, Teuda e un egiziano (probabilmente un giudeo alessandrino) volevano liberare Israele dai romani spacciandosi per messia (Ibidem, 20,5,1): “Sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a nulla” (At 5:36). Teuda aveva assicurato che le acque del fiume Giordano si sarebbero divise al suo passaggio. Può anche darsi che lo stesso Giovanni il battezzatore fosse considerato da alcuni il messia predetto: “Erode […] diceva: ‘Giovanni, che io ho fatto decapitare, lui è risuscitato!’” (Mr 6:14), “’Chi dice la gente che io sia?’ Essi risposero: ‘Alcuni, Giovanni il battista; altri, Elia, e altri, uno dei profeti’” (Mr 8:27,28). Più tardi anche Bar Kozeba, detto Bar-Kochba (“figlio delle stelle”), tentò di ribellarsi nuovamente ai romani sotto l’imperatore Adriano, ma la sua sommossa finì miseramente nel 135 E. V..

   Il racconto di Luca, più lungo di quello mattaico, riferisce che la domanda fu ripetuta dai discepoli quando giunsero da Yeshùa, mentre Matteo riferisce subito l’azione:

 

Mt 11:2,3

Lc 7:19,20

“Giovanni, avendo nella prigione udito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: ‘Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?’”.

“Egli, chiamati a sé due dei suoi discepoli, li mandò dal Signore a dirgli: ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?’.

 Quelli si presentarono a Gesù e gli dissero: ‘Giovanni il battista ci ha mandati da te a chiederti: Sei tu colui che deve venire o ne aspetteremo un altro?’”

   Come si spiega questa richiesta di chiarificazione chiesta a Yeshùa da parte del battezzatore? Gli studiosi hanno fornito diverse ipotesi:

   a) I cattolici generalmente accolgono l’interpretazione tradizionale secondo cui si tratterebbe di una domanda retorica per confermare non la propria fede vacillante (Giovanni sapeva già dal battesimo che Yeshùa era il messia), ma per rafforzare quella dei suoi discepoli. Tuttavia, nel testo biblico nulla mostra che la domanda sia fatta per i discepoli.

   b) Lo studioso P. Brunec elimina la difficoltà dell’imbarazzante domanda fornendo una traduzione del testo biblico greco che è generalmente respinta. Egli traduce: “Sei già stato riconosciuto come messia o il popolo continua ad attendere un altro?”. Yeshùa risponderebbe: “Nonostante tutti i miracoli messianici profetizzati da Isaia, ben pochi sono coloro che credono nella mia messianicità” (Verbum Domini 35, pagg. 193-203). Egli cerca di dimostrare la sua traduzione con l’analisi filologica dei vocaboli. Ma si tratta di una traduzione astrusa.

   c) Altri autori cercano di ravvisare nella domanda del battezzatore una certa impazienza per la lentezza con cui Yeshùa procedeva nel manifestarsi come messia giustiziere, secondo l’attesa dei giudei e secondo lo stesso annuncio che il battezzatore aveva fatto: “Egli ha il suo ventilabro in mano, ripulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile”. – Mt 3:12.

   d) I non cattolici in generale ammettono un vero dubbio da parte del battezzatore. Essi ragionano: Chi non ha dubbi nella propria fede? I miracoli di Yeshùa lo imponevano come profeta, ma non necessariamente come messia; per di più, l’agire di Yeshùa non corrispondeva all’attesa messianica del battezzatore: guariva, sì, ma non faceva nulla contro i malfattori e contro i dominatori romani; liberava gli spiriti oppressi dai demòni, ma nulla faceva per liberare i prigionieri, come invece era profetizzato da Is 61:1: “Per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri”; Giovanni era imprigionato in carcere in pericolo della sua stessa vita, eppure Yeshùa non faceva nulla per lui. Da qui il dubbio se non fosse logico attendere un altro messia: “Sei tu Colui che viene, o dobbiamo aspettare [greco προσδοκῶμεν (prosdokòmen)] un altro?” (Mt 11:3, TNM). Il verbo προσδοκῶμεν μεν (prosdokòmen) include il senso di un’ardente attesa piena di speranza: “Egli li guardava attentamente, aspettando [προσδοκῶν (prosdokòn)] di ricevere qualcosa da loro” (At 3:5), “Cornelio li stava aspettando [προσδοκῶν (prosdokòn)] e aveva chiamato i suoi parenti e i suoi amici intimi” (At 10:24), “Mentre attendete [προσδοκῶντας (prosdokòntas)] e affrettate la venuta del giorno di Dio […]. Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo [προσδοκῶμεν (prosdokòmen)] nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia. Perciò, carissimi, aspettando [προσδοκῶντες (prosdokòntes)] queste cose”. – 2Pt 3:12-14.

   Questa ipotesi del dubbio da parte di Giovanni non è esclusa dall’elogio che Yeshùa fa del battezzatore nei versetti seguenti: “Quando gli inviati di Giovanni se ne furono andati, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: ‘Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Ma che cosa andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, quelli che portano degli abiti sontuosi e vivono in delizie stanno nei palazzi dei re. Ma che andaste a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e uno più di un profeta. Egli è colui del quale è scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero, che preparerà la tua via davanti a te. Io vi dico: fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni’” (Lc 7:24-28). Questo elogio riguardava la sua missione, il suo spirito di sacrificio, il suo ardire, ma non esclude la possibilità di dubbi. Non aveva forse dubitato anche Elia stesso? Yeshùa, anziché rispondere direttamente alla domanda dei due inviati, rimanda ai miracoli precedenti, anzi – secondo Lc – ne compie alcuni direttamente davanti ai due messaggeri:

 

Mt 11:3,4

Lc 7:20-22

“’Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?’. Gesù rispose loro: ‘Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: […]’”.

“Quelli si presentarono a Gesù e gli dissero: ‘Giovanni il battista ci ha mandati da te a chiederti: Sei tu colui che deve venire o ne aspetteremo un altro?. In quella stessa ora, Gesù guarì molti da malattie, da infermità e da spiriti maligni, e a molti ciechi restituì la vista. Poi rispose loro: […]”.

 

   Yeshùa richiama poi una profezia isaiana (cfr. Lc 4:17-21), che egli completa introducendovi la guarigione dei lebbrosi e la resurrezione dei morti:

 

Is 35:5,6;61:1

Mt 11:5

“Allora si apriranno gli occhi dei ciechi

e saranno sturati gli orecchi dei sordi;

allora lo zoppo salterà come un cervo

e la lingua del muto canterà di gioia”.

“Il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,

l’apertura del carcere ai prigionieri”.

I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri”.

Lc 7:22

“Andate a riferire a Giovanni quello che avete visto e udito: i ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, il vangelo è annunziato ai poveri”.

 

   Questo allargamento profetico, presente sia in Mt che in Lc, mostra che i due evangelisti non attinsero direttamente alla profezia, ma ad una identica fonte pre-evangelica che combinava assieme varie profezie delle Scritture Ebraiche e le allargava.

   Yeshùa lascia trarre le conclusioni agli interroganti.

   Anche i rabbini riflettono la credenza che il messia avrebbe compiuto dei miracoli. Nel Midràsh (Tan 24a) si legge a proposito di Is 35:5: “Tutto questo si attuerà ad opera del messia”.

   Si noti l’osservazione che Yeshùa aggiunge dopo aver elencato i suoi miracoli: “Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!” (Lc 7:23; Mt 11:6). Secondo le parole di Yeshùa ogni scandalo è una colpa: se agendo bene si scandalizzano le persone, occorre continuare ugualmente la propria opera. Questo è soltanto uno scandalo farisaico, la cui colpa non sta in chi scandalizza ma in chi è scandalizzato: “’Sai che i farisei, quando hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati?’. Egli rispose loro: ‘Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata. Lasciateli; sono ciechi, guide di ciechi; ora se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso’” (Mt 15:12-14). La colpevolezza deriva invece dal dare scandalo senza motivo a persone innocenti, ingenue e semplici: “Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare. Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!” (Mt 18:6,7). È per questo motivo che Yeshùa (“Badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli”, 1Cor 8:9), pur essendone esente, paga la tassa per il Tempio: “Ma, per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère [uno statere di argento era uguale a quattro dracme attiche (tetradramma = 4 dracme = 13,6 g) o due alessandrine (didramma greco, d’argento = 2 dracme = 6,80 g), oppure un siclo ebreo]. Prendilo, e dàllo loro per me e per te”. – Mt 17:27.

  2. L’elogio del battezzatore (Mt 11:7-15; Lc 7:24-30;16:16).

   Dopo che i due discepoli di Giovanni se n’erano andati, Yeshùa pronunciò un elogio del battezzatore davanti alla folla. Vi si possono vedere aspetti detti in negativo ed in positivo.

   a) Negativamente.

“Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?” (Mt 11:7). Egli non è una persona vacillante come le canne della regione giordanica nella quale immergeva le persone, canne che erano usate nella Bibbia come simbolo di leggerezza e di incostanza: “Il Signore colpirà Israele, che sarà come una canna agitata nell’acqua” (1Re 14:15), “Ecco, tu confidi nell’Egitto, in quel sostegno di canna rotta” (2Re 18:21), “Curvare la testa come un giunco […] è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al Signore?”. – Is 58:5.

   “Che cosa andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Quelli che portano delle vesti morbide stanno nei palazzi dei re” (Mt 11:8). Il battezzatore non era nemmeno come i cortigiani ricoperti di vesti delicate, sempre pronti a dare ragione al re, e che vivevano abbondantemente alla corte di Tiberiade.

   b) Positivamente.

Il battezzatore è un precursore, e di conseguenza è il profeta annunciato da Malachia: “Egli è colui del quale è scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero per preparare la tua via davanti a te” (Mt 11:10). “Io mando”: ἀποστέλλω (egò apostèllo), radice da cui proviene “apostolo” (= “inviato”). “Il mio messaggero”: τὸν ἄγγελόν μου (ton anghelòn mu), “il mio angelo” (ànghelos = messaggero). Mal 3:1 ha “la via davanti a me”; Matteo modifica in: “la tua via davanti a te” (TNM). L’elogio che esalta il battezzatore appartiene alle parole genuine di Yeshùa. Non possono dirsi un’invenzione successiva della chiesa o congregazione. Esse, infatti, potevano essere usate a discapito di Yeshùa e a favore del movimento battista. Sono quindi genuine.

   “In verità io vi dico, che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista” (Mt 11:11). Perché questa superiorità di Giovanni? Per la sua caratteristica di precursore. Tutti gli altri profeti di Israele avevano visto le cose solo da lontano: “Circa questa salvezza una diligente investigazione e un’attenta ricerca furono fatte dai profeti che profetizzarono intorno all’immeritata benignità a voi riservata. Essi continuarono a investigare quale particolare periodo di tempo o quale sorta di [periodo di tempo] lo spirito che era in loro indicasse circa Cristo, quando rendeva anticipatamente testimonianza delle sofferenze per Cristo e delle glorie che le avrebbero seguite. Fu loro rivelato che non a se stessi, ma a voi, essi servivano le cose che vi sono state ora annunciate da coloro che vi hanno dichiarato la buona notizia con spirito santo mandato dal cielo. In queste cose gli angeli desiderano penetrare con lo sguardo” (1Pt 1:10-12, TNM). A differenza di tutti quei profeti, Giovanni opera già per preparare gli uomini alla comparsa del messia già presente.

   “Eppure il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11:11). Cosa significa? I Testimoni di Geova avanzano una fantasiosa teoria. Secondo loro i discepoli di Yeshùa sarebbero divisi in due classi: una celeste e una terrestre. Nel loro testo Perspicacia nello studio delle Scritture (Vol. 1, pag. 1141) si legge: “Per quanto Giovanni fosse grande (‘Fra i nati di donna non è stato suscitato uno maggiore di Giovanni il Battista’), non avrebbe fatto parte della classe della ‘sposa’ che sarebbe stata con Cristo nel suo Regno celeste (Ri 21:9-11; 22:3-5), poiché Gesù disse: ‘Il minore nel regno dei cieli è maggiore di lui’. (Mt 11:11-15; 17:10-13; Lu 7:28-30)”. Nel passo di Ap 21:9-11 da loro citato si legge: “’Ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello’. E mi portò nella [potenza dello] spirito su un grande e alto monte, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, avendo la gloria di Dio” (TNM). La “sposa” di Yeshùa è quindi “la città santa, Gerusalemme”. Poi, in 22:2 (sempre da loro citato): “Il trono di Dio e dell’Agnello sarà nella [città], e i suoi schiavi gli renderanno sacro servizio” (TNM). Dio e Yeshùa saranno quindi in comunione intima con la “città” ovvero “la moglie dell’agnello” (Yeshùa). Fin qui si parla della chiesa o congregazione composta dai discepoli di Yeshùa. Ma da cosa si dedurrebbe mai che il battezzatore non faccia parte di questi discepoli? Lo stesso testo dei Testimoni di Geova, nella stessa pagina dedicata al battezzatore, ha un sottotitolo che recita: “Diventa discepolo di Cristo” (Ibidem). I Testimoni, quindi, ammettono che Giovanni fa parte dei discepoli di Yeshùa. Perché mai allora dovrebbe essere escluso dalla “sposa”? La loro argomentazione è tutta in questa frase: “Poiché Gesù disse: ‘Il minore nel regno dei cieli è maggiore di lui’. (Mt 11:11-15; 17:10-13; Lu 7:28-30)” (Ibidem). Essi non mettono neppure in dubbio che possano applicare male la dichiarazione di Yeshùa. La ritengono semplicemente vera nella loro presunzione di capire, e traggono una conseguenza errata. Se si legge bene la dichiarazione di Yeshùa, si comprende che il battezzatore fa parte di coloro che saranno nel Regno dei cieli: “Il minore nel regno dei cieli è maggiore di lui”. Nel Regno dei cieli esiste qualcuno che è maggiore e qualcuno che è minore. Se il battezzatore non ne facesse parte non ci sarebbe bisogno di fare distinzione, oppure Yeshùa avrebbe detto qualcosa del tipo: ‘Chi entra nel Regno dei cieli è maggiore di lui che non vi entra’. Rimarrebbe poi da capire perché mai il battezzatore non dovrebbe entrarvi. In verità, l’interpretazione degli editori di Brooklyn è forzata dalla loro dottrina che sostiene due classi distinte di discepoli. La Bibbia non ammette due classi. La parola “classe”, ringraziando Dio, non compare nella Scrittura. “Che diremo, dunque? C’è ingiustizia in Dio? Non sia mai!” (Rm 9:14, TNM). Dio è un Dio di amore. La Bibbia parla piuttosto di due “ovili”: “Ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo condurre, ed esse ascolteranno la mia voce, e diverranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10:16, TNM). Ma, si noti: “Diverranno un solo gregge”. Il popolo di Israele è l’“ovile” di Dio: “Io ti radunerò, o Giacobbe, ti radunerò tutto quanto! Certo io raccoglierò il resto d’Israele; io li farò venire assieme come pecore in un ovile; come un gregge in mezzo al pascolo; il luogo sarà pieno di gente” (Mic 2:12). Ma nella nuova Israele di Dio, l’Israele spirituale, fu concesso anche ai gentili o pagani di entrare: “Ho altre pecore, che non sono di questo ovile”. Ma queste “altre pecore” vengono accolte dal “solo pastore” Yeshùa per entrare in quell’ovile ed essere “un solo gregge”, “poiché non c’è distinzione fra giudeo e greco, poiché sopra tutti è lo stesso Signore, che è ricco verso tutti quelli che lo invocano”. – Rm 10:12, TNM.

   In che senso, allora, “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11:11)? Nel senso che i discepoli di Yeshùa già possiedono lo spirito che prima di Yeshùa non poteva essere diffuso nella stessa identica maniera che su di loro: “’Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno’. Disse questo dello Spirito, che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato”. – Gv 7:38,39.

   “Dai giorni di Giovanni il battista fino a ora, il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11:12). Si ratta di un’espressione enigmatica e grammaticalmente poco chiara. Luca presenta queste parole in un altro contesto: “La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona notizia del regno di Dio, e ciascuno vi entra a forza” (16:16). Yeshùa dice queste parole dopo aver trattato dell’avarizia (vv. 1-14), richiamando i farisei sul fatto che Dio conosce i cuori e non si ferma ad una apparenza di giustizia: “Ed egli disse loro: ‘Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio. La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona notizia del regno di Dio, e ciascuno vi entra a forza. È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge’” (Lc 16:15,16). Da questo contesto diverso rispetto a Mt, si potrebbe dedurre che il copista di Mt abbia inserito lì quelle parole che all’origine non erano collegate all’elogio del battezzatore. Il passo di Lc 16:16 non pone particolari problemi. TNM ha: “Ogni sorta di persona si spinge verso di esso”. Luca userebbe il verbo βιάζεται (biàzetai) in senso medio, nonostante il complemento oggetto. Per cui bisognerebbe tradurre: “Ciascuno si sforza di entrarvi”. Questo sarebbe in armonia con il fatto che la porta del Regno è stretta: “Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7:14), per cui è richiesta “forza” o determinazione per entrarvi.

   Comunque, il passo oscuro è quello di Mt 11:12. E sono state presentate varie traduzioni:

“Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”. – CEI.

“Il regno de’ cieli è sforzato, ed i violenti lo rapiscono”. – Did.

“Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti lo rapiscono”. –  ND.

“Il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono”. – NR.

“Il regno de’ cieli è preso a forza ed i violenti se ne impadroniscono”. – Lu.

“Il regno dei cieli è la meta verso cui si spingono gli uomini, e quelli che si spingono avanti lo afferrano”. – TNM.

Il testo originale greco ha:

ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν βιάζεται καὶ βιασταὶ ἁρπάζουσιν αὐτήν

e basilèia ton uranòn biàzetai kài biastài arpàzusin autèn

il regno dei cieli subisce violenza e violenti saccheggiano esso

   Il verbo in questione è il verbo βιάζω (biàzo), numero Strong: 971, che significa: 1) Usare forza, applicare forza; 2) Forzare, infliggere violenza.

   In Mt il verbo βιάζεται (biàzetai) sarebbe – secondo alcuni studiosi – passivo anziché medio, quindi sarebbe: “Il Regno dei cieli si afferra con forza e quelli che impetuosamente fanno ressa ne diventano partecipi”. Accettando il passivo, letteralmente sarebbe: “È forzato”. Ma è difficile ammettere “è forzato” al posto del medio “soffre violenza”, come sarebbe naturale tradurre. E questo per il fatto che se il Regno deve essere forzato o violentato, questo dovrebbe presupporre una potenza o forza del Regno; ma in tutte le parabole si nega la comparsa del Regno con potenza.

   La traduzione di TNM è elegante e piacevole, ma ha ben poco a che fare con il testo greco, come si può notare sopra. Sembra più un tentativo di dare un senso ad un passo oscuro.

   Se si ammette il senso medio del verbo, la traduzione è: “Il Regno dei cieli subisce una violenza e i violenti lo saccheggiano”. Allora la domanda è: Chi fa violenza al Regno e lo deruba? Nel passo lucano Yeshùa fa questa dichiarazione ai farisei, avvertendoli che Dio scruta i cuori e vede se una persona si atteggia solo a giusto o se ubbidisce davvero alla sua Legge di cui non cadrà neppure un apice. Sono i farisei e gli scribi che si oppongono al Regno dei cieli: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare” (Mt 23:13), “Guai a voi, dottori della legge, perché avete portato via la chiave della scienza! Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito”. – Lc 11:52.

   Va tenuto presente che Mt è stato scritto quando ormai si era in un periodo di rottura con il giudaismo, quando farisei e scribi erano ormai del tutto opposti alla buona notizia recata da Yeshùa e dai suoi discepoli. In Mt 11:12 viene quindi detto a consolazione dei discepoli perseguitati che il Regno soffre la violenza, la subisce. Perché proprio “dai giorni di Giovanni il battista fino a ora” (Mt 11:12)? Yeshùa lo spiega: “Poiché tutti i profeti e la legge hanno profetizzato fino a Giovanni” (v. 13). Fino al tempo di Giovanni il battezzatore il giudaismo era amministrato dagli scribi e dai farisei. Erano loro che detenevano, per così dire, le chiavi del Regno, “la chiave della scienza”. Ma essi tenevano ben chiusa la porta: non vi entravano e impedivano agli altri di entrare. Con Giovanni il battezzatore le cose cambiano: egli presenta il messia. E il messia, Yeshùa, predica proprio la buona notizia relativa al Regno. Egli spalanca le porte del Regno a chi ubbidisce di cuore alla Legge di Dio. Agli scribi e ai farisei, gelosi, non rimane che opporre violenza, a imitazione del loro padre spirituale satana. Yeshùa dice di loro: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna”. – Gv 8:44.

   I discepoli che sono disposti a subire questa violenza possono entrare nel Regno dei cieli, mentre coloro che si adattano all’insegnamento farisaico per non essere perseguitati non vi entreranno. – Cfr. Gv 9:22.

   “Se lo volete accettare, egli è l’Elia che doveva venire” (Mt 11:14). Il battezzatore, dice Yeshùa, è l’Elia. Gli ebrei attendevano che questo profeta precedesse il messia, secondo Mal 3:1: “Io vi mando il mio messaggero, che spianerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio”.

   Yeshùa dice che, per chi lo vuole accettare, Giovanni è proprio l’Elia atteso. Ciò non va inteso nel senso di una reincarnazione, ma nel senso che egli aveva lo spirito di Elia, ossia la forza con cui Elia si oppose anche al re. L’angelo di Dio, infatti, aveva preannunciato di lui: “Andrà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia” (Lc 1:17). Il “se lo volete accettare” mostra che i giudei non lo volevano; non si tratta, infatti, di sentimenti o di ragionamenti, ma di volontà: “se lo volete”.

Il battezzatore e Yeshùa (Mt 11:16-19; Lc 7:31-35)

   La generazione contemporanea di Yeshùa è dai lui rappresentata come dei ragazzi che giocano sulla piazza e non vanno mai d’accordo nel loro gioco. Yeshùa li rappresenta con il flauto in mano, mentre litigano perché uno vuole suonare musica allegra da nozze e l’altro nenie da funerale. “A chi paragonerò questa generazione? È simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: ‘Vi abbiamo sonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto’” (Mt 11:16,17). Il battezzatore che non mangiava cibo comune e non beveva vino fermentato era ritenuto pazzo e posseduto dal demonio, non doveva quindi essere ascoltato. Era uso comune attribuire al demonio i comportamenti inconsulti di un individuo: “È venuto Giovanni il battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: ‘Ha un demonio’” (Lc 7:33). Yeshùa, invece, che mangiava e beveva e andava con i pubblicani (esattori di tasse), doveva essere evitato secondo un’applicazione inappropriata di Dt 21:20: “’Questo nostro figlio è caparbio e ribelle; non vuole ubbidire alla nostra voce, è senza freno e ubriacone’; allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno a morte. Così toglierai via di mezzo a te il male, e tutto Israele lo saprà e temerà”. – Dt 21:20,21.

   “Alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli” (Lc 7:35). Così anche la TNM: “In ogni modo, che la sapienza sia giusta è provato da tutti i suoi figli”. Questa la lezione comunemente accettata, leggendo nel testo greco τέκνων (tèknon), “figli”. La Vulgata traduce: “Iustificata est sapientia ab omnibus filiis suis” (“La sapienza è considerata giusta dai figli di lui [di Dio]”). Tuttavia appare più corretta la lezione con ἒργων (èrgon): ἐδικαιώθη ἡ σοφία ἀπὸ πάντων τῶν ἒργων αὐτῆς (edikaiòthe e sofìa apò pànton ton èrgon autès), “La sapienza è giustificata da tutte le sue opere”. La sapienza di Dio è il piano di Dio stesso: “Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione”, “Ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1:21,24). È difficile identificare questa “sapienza” con Yeshùa, dato che nei Vangeli egli non è mai chiamato così. Il contesto vuol dire che le folle non hanno accolto né il battezzatore né Yeshùa, nonostante che le opere compiute da quest’ultimo attestino che Dio è veramente all’opera il lui.