Ciechi

 

   In Palestina i ciechi erano numerosi. Il forte riflesso solare, la bianchezza del suolo, la polvere sospesa nell’aria, lo sbalzo di temperatura notturno, la mancanza d’igiene, le mosche e la vecchiaia danneggiano gli occhi.

   “Isacco era invecchiato e i suoi occhi indeboliti non ci vedevano più” (Gn 27:1), “Gli occhi d’Israele erano annebbiati per l’età e non ci vedeva più” (Gn 48:10). “[Ricòrdati del tuo Creatore prima che] giungano gli anni dei quali dirai: ‘Io non ci ho più alcun piacere’; prima che il sole, la luce, la luna e le stelle si oscurino, e le nuvole tornino dopo la pioggia [impressioni che si hanno vedendo poco e male]: prima dell’età in cui i guardiani della casa [gli occhi] tremano”. – Ec 12:3-5.

   Dice la letteratura ebraica non ispirata: “Il sole brucia i monti tre volte tanto; emettendo vampe di fuoco, facendo brillare i suoi raggi, abbaglia gli occhi” (Siracide 43:4, CEI). Nel 1918 circa 50.000 veterani dell’esercito inglese dislocato in oriente rimasero accecati.

   La Bibbia raccomanda l’umanità verso i non vedenti e proibisce di porre degli ostacoli davanti a loro: “Non metterai inciampo davanti al cieco”. – Lv 19:14.

   Non fa quindi meraviglia che Yeshùa abbia incontrato vari ciechi. I Vangeli parlano di diverse guarigioni di ciechi:

A Cafarnao

Mt 9:27-31

A Betsaida

Mr 8:22-26

A Gerusalemme

Gv 9:1-7

A Gerico

Mt 20:29-34

   Con queste guarigioni Yeshùa volle dimostrare che la sua missione non era solo quella di aprire gli occhi ai non vedenti, ma anche quella di aprire gli occhi ai ciechi in senso spirituale: “Grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte”. – Lc 1:78,79.

   Questi miracoli di Yeshùa si comprendono meglio conoscendo i postumi delle operazioni agli occhi compiute dagli oftalmologi e perfettamente riuscite. È una leggenda che il cieco nato guarito si metta rapidamente a vedere come i soggetti normali. Per lui non è affatto come alzare un sipario e vedere la scena. Egli deve forzarsi nel suo adattamento al nuovo stato con una serie di esercizi complessi che suppliscono alla mancata esperienza visiva della sua infanzia. Chi è nato non vedente e guarisce deve ricollegare le nuove esperienze visive con quelle tattili, olfattive ed uditive precedenti. Tutto ciò richiede mesi. Di solito le facoltà si acquistano per settori: orientamento, lettura. Gli engrammi visivi (patrimonio delle memorie visive) devono essere ricostruiti lentamente ricollegandoli a quelli uditivi o tattili. Spesso gli operati trovano assai debole l’apporto visivo di fronte alle sensazioni tattili e uditive. Una persona era molto più reale per loro quando sentivano la sua voce, che non ora all’inizio quando la vedono. E una mela era molto più reale prima, quando la toccavano, l’odoravano e la gustavano, che non ora, quando la vedono per le prime volte. Ecco perché all’inizio essi conservano un’andatura rigida quando entrano in un nuovo ambiente, non si guardano attorno e osservano gli oggetti solo se sono indicati loro. Tutto ciò crea un trauma non indifferente e attraverso fasi penose potrebbero sentirsi demoralizzati e depressi. Un paziente operato ha dichiarato: “Vedere non mi ha dato la felicità, ero molto più felice prima!”. Già nel 1800 il chirurgo oculista Beer aveva osservato che dopo l’intervento i suoi pazienti erano tristi e solitari, perdendo quella serenità che caratterizza coloro che non hanno mai veduto.

   Yeshùa, non solo ridava o dava la vista, ma produceva anche quegli engrammi visivi così che le persone potevano agire normalmente anche subito dopo il miracolo. Quindi Yeshùa donava una guarigione completa, senza le varie fasi di adattamento. Il cieco nato, ad esempio, si lavò nella piscina di Siloe e ci tornò che vedeva benissimo.

   Due ciechi di Cafarnao (Mt 9:27-31). Il racconto è in parte parallelo all’altro miracolo relativo al cieco di Gerico (Mt 20:29-34), ma certo si tratta di un influsso letterario e non di un doppione. Comunque, vediamolo:

Mt 9:

Mt 20:

27

“Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono, dicendo ad alta voce: ‘Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!’.

30

“E due ciechi, seduti presso la strada, avendo udito che Gesù passava, si misero a gridare:

 ‘Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!’.

28

Quando egli fu entrato nella casa, quei ciechi si avvicinarono a lui. Gesù disse loro: ‘Credete voi che io possa far questo?’. Essi gli risposero: ‘Sì, Signore’.

32,

33

Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: ‘Che volete che io vi faccia?’. Ed essi: ‘Signore, che i nostri occhi si aprano’.

29,

30,

31

Allora toccò loro gli occhi dicendo: ‘Vi sia fatto secondo la vostra fede’.

E gli occhi loro furono aperti. E Gesù fece loro un severo divieto, dicendo: ‘Guardate che nessuno lo sappia’.

Ma quelli, usciti fuori, sparsero la fama di lui per tutto quel paese.

34

Allora Gesù, commosso, toccò i loro occhi e in quell’istante ricuperarono la vista e lo seguirono.

   Anche se si tratta, in entrambe i casi, di due ciechi che interpellano Yeshùa nella stessa maniera, le parole e i gesti di Yeshùa non sono gli stessi e il contesto didattico è differente.

   Si tratta di due episodi diversi. Il fatto che siano due in entrambi i casi non deve ingannare. Non era difficile che due ciechi si riunissero assieme per aiutarsi a vicenda. Proprio da questo deriva il detto di Yeshùa: “Se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso”. – Mt 15:14; cfr. Lc 6:39.

   Anche la somiglianza con Mr 10:46-52 non prova necessariamente l’identità dell’episodio. Sono troppe le varianti per presupporre l’identità del fatto. Vediamo queste varianti:

Mt 9:

Mt 20:

27

“Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono, dicendo ad alta voce: ‘Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!’.

30

“E due ciechi, seduti presso la strada, avendo udito che Gesù passava, si misero a gridare:

 ‘Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!’.

28

Quando egli fu entrato nella casa, quei ciechi si avvicinarono a lui. Gesù disse loro: ‘Credete voi che io possa far questo?’. Essi gli risposero: ‘Sì, Signore’.

32,

33

Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: ‘Che volete che io vi faccia?’. Ed essi: ‘Signore, che i nostri occhi si aprano’.

29,

30,

31

Allora toccò loro gli occhi dicendo: ‘Vi sia fatto secondo la vostra fede’.

E gli occhi loro furono aperti. E Gesù fece loro un severo divieto, dicendo: ‘Guardate che nessuno lo sappia’.

Ma quelli, usciti fuori, sparsero la fama di lui per tutto quel paese.

34

[manca]

Allora Gesù, commosso, toccò i loro occhi e in quell’istante ricuperarono la vista e lo seguirono.

   Le differenze non riguardano solo il testo, ma anche il contesto. Al cap. 20 Yeshùa è presentato come un re che, mentre sale verso Gerusalemme per soffrire, non disdegna di fermarsi per soccorrere i ciechi contro le proteste della folla: “La folla li sgridava, perché tacessero” (v. 31). Al cap. 9, invece, Yeshùa è solo con i due infelici e pone loro il problema della fede: “Credete voi che io possa far questo?”. – V. 28b.

   Nell’episodio della guarigione dei due ciechi al cap. 9, Matteo mette in risalto alcuni particolari corrispondenti all’indole del suo Vangelo: il cieco fisico, contro la cecità spirituale di chi ha la vista fisica, riconosce Yeshùa quale “figlio di Davide” (v. 27). Forse vi è del simbolismo nel fatto che i non vedenti vedono quello che i vedenti non vedono. Matteo mette anche in rilievo la fede dei due ciechi: “Vi sia fatto secondo la vostra fede” (v. 29). Yeshùa proibisce loro di parlare (ingiunzione tipicamente marciana), ma quelli ne parlano a tutti (vv. 30,31). Forse Matteo intese l’ingiunzione gesuana in modo che essi non dovessero rivelare la sua posizione di “figlio di Davide” (quindi messia) troppo prematura, anche se poi per forza di cose la fama del miracolo doveva diffondersi.

   Cieco di Gerico (Mr 10:46-52; Mt 20:29-34; Lc 18:35-43). Il fatto in sé è semplice, e in Mr è narrato con dovizia di particolari e una psicologia stupenda. Il cieco è chiamato “figlio di Timeo” (“Bartimeo”, in cui il bar in aramaico significa “figlio”). Dai gesti che compie appare che egli non era del tutto cieco, ma poteva almeno intravedere qualche ombra, tant’è vero che corre incontro a Yeshùa gettando via il suo mantello da mendicante: “Il cieco, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù” (Mr 10:50). La folla – che come il solito è pronta a cambiare di umore secondo chi le sta davanti – prima sgrida il cieco che invoca Yeshùa e poi, quando vede che il maestro stesso lo chiama, gli fa coraggio e lo invita ad andare da lui. È il caso di leggere questo episodio in una bella traduzione italiana:

“Gesù e i suoi discepoli erano a Gerico. Mentre stavano uscendo dalla città, seguiti da molta folla, un mendicante cieco era seduto sul bordo della strada. Si chiamava Bartimeo ed era figlio di un certo Timeo. Quando sentì dire che passava Gesù il nazareno, cominciò a gridare: ‘Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!’. Molti si misero a sgridarlo per farlo tacere, ma quello gridava ancora più forte: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’. Gesù si fermò e disse: ‘Chiamatelo qua’. Allora alcuni andarono a chiamarlo e gli dissero: ‘Coraggio, alzati! Ti chiama’. Il cieco buttò via il mantello, balzò in piedi e andò vicino a Gesù. Gesù gli domandò: ‘Che cosa vuoi che io faccia per te?’. Il cieco rispose: ‘Maestro, fa’ che io possa vederci di nuovo!’. Gesù gli disse: ‘Vai, la tua fede ti ha salvato’. Subito il cieco recuperò la vista e si mise a seguire Gesù lungo la via”. – Mr 10:46-52, PdS.

   L’invocazione del cieco (“Figlio di Davide, abbi pietà di me!”) mostra che egli immaginava Yeshùa come il messia che avrebbe operato la guarigione anche dei ciechi (Is 35:5). Da questo la conseguente espressione di Yeshùa: “La tua fede ti ha salvato”. O meglio: “La tua fede ti ha guarito”. Il “salvato” del testo greco è infatti sinonimo di “guarito”. La fede è l’elemento predeterminante la sua guarigione (e non solo della sua, ma di moltissime altre guarigioni). Nel dialogo che precede il miracolo, Yeshùa domanda al cieco che cosa voglia. È l’unica volta in Mr; le altre volte lo stesso malato indica il proprio desiderio di guarire. “Rabbunì, che io ricuperi la vista” (v. 51), dice il non vedente. Meno male che TNM non traduce con il solito “insegnante”: avrebbe svilito troppo il testo. Tuttavia, traduce con “Rabbòni” (usando la “o” e anticipando l’accento tonico), chissà perché. Il testo greco ha Ῥαββουνεί (rabbounèi; il dittongo ou in greco si legge u). Il manoscritto ebraico J18,inGv 20:16 (dove compare ancora rabbunì),  ha רבוני (rabunì). È vero che la lettera vav ( ו ), che di solito indica il suono “v”, è anche usata come vocale “o” oppure “u”, ma qui ha indiscutibilmente il valore di “u”, tanto che nei testi vocalizzati (ovvero con i segni diacritici) viene indicata con וּ (con un puntino al centro della lettera); la “o” viene invece indicata con un puntino sopra: וֹ. Il vocabolo rabunì [רבוני] è così vocalizzato: rabunìy, scritto da sinistra a destra, conforme al nostro modo; parola che il greco rende Ῥαββουνεί (rabbounèi; leggere rabbunèi). Significa “mio rabbi”, letteralmente “mio grande” (rab, pronunciato rav nell’ebraico moderno, significa “grande”). In italiano sarebbe “mio rabbino”.

   Il termine rabbi (italiano “rabbino”) era un titolo di stima, come il nostro “dottore”. Rabbunì era ancora più energico e includeva una specie di sudditanza in chi lo esprimeva. Si potrebbe tradurre con “mio signore”, ma la traduzione sarebbe pur sempre debole; si tratta di un “signore” amato e riverito.

   Dopo la guarigione, colui che era cieco segue il suo rabbi. Nel testo greco va notato, al v. 52, il verbo ἠκολούθει (ekolùthei), “seguiva”: è lo stesso verbo che viene usato per i dodici che seguono Yeshùa.

  • I problemi. Matteo parla di due ciechi, Marco e Luca di uno solo:

Mt 20:30

Mr 10:46,47

Lc 18:35-37

Due ciechi seduti presso la strada, avendo udito che passava Gesù”

Un mendicante cieco, sedeva presso la strada. Udito che era Gesù”

Un cieco sedeva presso la strada […] Gli riferirono: ‘Passa Gesù il Nazareno!’”

(TNM)

  • Già Agostino aveva pensato a due ciechi che vivevano in coppia aiutandosi a vicenda, di cui uno (il Bartimeo di Mr) era meno cieco, mentre l’altro lo era del tutto. Così uno avrebbe guidato l’altro (senza cadere entrambi nel fosso – Mt 15:4). Matteo, parlando a gente cui era nota l’usanza dei ciechi di andare in coppia, avrebbe parlato di due ciechi, mentre Marco (seguito da Luca) parlerebbe del principale ossia di Bartimeo che seguì poi Yeshùa come discepolo. Questa tesi di Agostino è sposata anche dai Testimoni di Geova: “Bartimeo, insieme a un compagno non identificato, sedeva fuori Gerico mentre Gesù passava seguito dalla folla”. – Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 292, alla voce “Bartimeo”.
  • Si potrebbe anche pensare che il plurale di Matteo sia dovuto ad un metodo per lui molto frequente di porre al plurale ciò che è al singolare presso gli altri sinottici.
  • Matteo e Marco dicono che il miracolo avvenne all’uscita da Gerico, per Luca invece si tratta dell’ingresso alla città. Alcuni vogliono sostenere che entrambe le dizioni siano giuste: si tratterebbe di due Gerico, quella antica di cui parlano le Scritture Ebraiche e quella ellenistica più a sud-est fatta costruire da Erode il grande per il suo soggiorno invernale e detta città delle palme: “La regione meridionale, il bacino del Giordano e la valle di Gerico, città delle palme” (Dt 34:3). Doveva avere una vegetazione lussureggiante, tant’è vero che Zaccheo si arrampicò su di un sicomoro per vedere Yeshùa. Secondo questa spiegazione, Matteo e Marco (da buoni ebrei) avrebbero preferito parlare di uscita dall’antica città biblica, mentre Luca (che si rivolge ai greci) preferisce parlare d’ingresso nella nuova città. Però è difficile supporre che gli evangelisti fossero così bene al corrente dell’archeologia e conoscessero la Gerico antica che era allora del tutto inesistente e sepolta sotto terra. Altri traducono il greco lucano ἐν τῷ ἐγγίζειν αὐτὸν εἰς Ἰερειχὼ (en to enghìzein autòn èis Ierichò) di Lc 18:35 nel modo generico “mentre era nei pressi di Gerico”, il che varrebbe sia per l’ingresso che per l’uscita. Ma il greco non dice così. Sembra che Luca parli davvero di un ingresso, come indica la particella èis (moto a luogo) e anche per il fatto che poco dopo narra l’episodio di Zaccheo che si trovava indubbiamente dentro la città (19:1-10). G. Galbiati (in Bib, Or., pag. 59) cerca di armonizzare i due racconti come segue: nell’entrare Yeshùa incontra il cieco bar-Timeo, poi rimane la notte con Zaccheo e al mattino seguente ritrova il cieco cui se ne era unito un altro (cfr. Caecus in Serico sanatur VD 3, pagg. 34-42). La soluzione appare troppo romanzata. Meglio non insistere su questi particolari che andrebbero lasciati alla libertà dell’evangelista. Lo scrittore s’interessava della sostanza: Yeshùa guarisce un cieco. Se lo abbia fatto nell’entrare o nell’uscire dipende solo dall’organizzazione propria del Vangelo. In conclusione ci si presentano queste diverse ipotesi:

3 ciechi

in due miracoli diversi

1

Prima di entrare in Gerico

2

All’uscita da Gerico

2 ciechi

in due miracoli diversi

1

Prima di entrare in Gerico

2

All’uscita da Gerico

2 ciechi

in un solo miracolo

Tutti e due guariti

all’ingresso oppure all’uscita

1 cieco

Mr

All’uscita da Gerico

Mt

Sarebbe aggiunto il cieco di Betsaida,

per non tralasciarlo

Lc

Il miracolo sarebbe trasportato prima del colloquio con Zaccheo perché all’uscita da Gerico il pensiero di Yeshùa sarebbe concentrato su Gerusalemme e non avrebbe avuto tempo di pensare ad altro. – 19:11.

   Cieco di Betsaida (Mr 8:22-25). Betsaida, pur essendo una città posta a 3 km a settentrione del lago di Tiberiade e a 300 m ad oriente del fiume Giordano, tanto nel Vangelo quanto in Giuseppe Flavio è detta “villaggio”. Forse i termini κώμη (kòme), “villaggio”, e πόλις (pòlis), “città”, erano scambievoli tra loro. Betlemme è detta pòlis in Lc 2:4 e kòme in Gv 7:42: “Nella città [πόλιν (pòlin)] di Davide, che si chiama Betleem”, “Betleem, il villaggio [κώμης (kòmes)] dov’era Davide”. –TNM.

   È a Betsaida che Yeshùa incontra un cieco che non era tale dalla nascita perché riconobbe uomini e alberi: “Scorgo gli uomini, perché li vedo come alberi che camminano” (Mr 8:24). Ci troviamo in un ambiente mezzo pagano, per questo Yeshùa allontana il cieco dalla folla: “Preso il cieco per la mano, lo condusse fuori dal villaggio” (v. 23); la sacralità esige di essere fuori dalla vita comune del mondo. Con un’azione esteriore rituale, Yeshùa adopera lo sputo che spalma sugli occhi del cieco. Lo sputo era allora considerato un elemento terapeutico. Secondo i rabbini la saliva (specialmente quella che si forma a digiuno) aveva un potere medicinale (Shabbàt 14,14b; Aboda Zara 11,10,19). L’azione è in due fasi: prima il cieco vede uomini simili ad alberi che camminano (visione offuscata), dopo la seconda imposizione delle mani vede bene ogni cosa (visione chiara). Il prof. Strimpelli, rinomato oftalmologo, spiega che è stato rilevato che coloro che non sono ciechi dalla nascita e vengono operati dopo molti anni di cecità, stentano per lungo tempo a riconoscere persone ed oggetti. Ciò accade perché gli engrammi visivi di questi soggetti sono stati in gran parte cancellati. Per costoro è difficile eliminare l’abitudine radicata di percepire il mondo esterno solo con gli altri sensi (specialmente tatto e udito). Le parole del cieco di Betsaida – “Scorgo gli uomini, perché li vedo come alberi che camminano” (Mr 8:24) – sono l’espressione naturale del suo riadattamento alla visione. Queste incertezze nel caso del cieco di Betsaida durano pochi attimi e scompaiono con la seconda imposizione delle mani. Questo fatto documenta il lato veramente miracoloso della guarigione. Non solo. Il racconto testimonia anche la genuinità storica di un fatto realmente accaduto. Infatti, che poteva mai saperne Marco delle conseguenze della cecità e delle modalità di guarigione di un certo tipo di cecità? Nulla, come del resto nulla potevano saperne i suoi contemporanei. Occorrerà attendere gli studi oftalmologici del 20° secolo per conoscerne tutti gli effetti.

   Il cieco nato (Gv 9:1-7). Questo non vedente si lava nella piscina di Siloe e ci vede subito benissimo. Abbiamo qui un duplice miracolo: anatomico (guarigione delle lesioni oculari che gli causavano la cecità) e funzionale (riacquisto immediato della comprensione del mondo esterno, senza il difficile e penosamente lungo riadattamento degli engrammi visivi).

     Questa guarigione, come spiega bene Giovanni, ha un significato profondamente spirituale. Yeshùa è venuto per dare la vista ai ciechi e per accecare spiritualmente coloro che vedono:

“Gesù disse: ‘Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio,

affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi’”. – Gv 9:39.