È convinzione comune che durante l’ultima celebrazione della Pasqua ebraica della sua vita, Yeshùa abbia trasformato quella cerimonia nella cosiddetta Cena del Signore (1Cor 11:20). Yeshùa, dopo aver consumato con gli undici apostoli fedeli la cena pasquale, avrebbe dato istruzioni perché la Pasqua fosse sostituita dalla commemorazione della sua prossima morte: i suoi discepoli avrebbero dovuto celebrarla con pane azzimo e vino quali simboli del suo corpo e del suo sangue.
Coloro che sostengono questa tesi commettono l’errore di non collocare bene la data della Pasqua ebraica. Prima di comprendere cosa veramente sia accaduto durante quell’ultima cena di Yeshùa, occorre stabilire con chiarezza quando cadeva la Pasqua ebraica.
La prima Pasqua fu celebrata dagli israeliti, per ordine di Dio, poco prima che fossero liberati dalla schiavitù egiziana. Ecco la cronaca che ne fa la Bibbia:
“Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: ‘Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa; se la casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune con il vicino di casa più prossimo, tenendo conto del numero delle persone. Voi conterete ogni persona secondo quello che può mangiare dell’agnello. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell’anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d’Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto’”. – Es 12:2-6.
Iniziamo con l’individuare il mese. Dio stabilì che “questo mese” doveva essere “il primo dei mesi dell’anno”. Quella prima Pasqua comportò l’uccisione di tutti i primogeniti egiziani e la conseguente cacciata degli ebrei dall’Egitto. Gli israeliti uscirono quindi liberi dall’Egitto. La Bibbia indica il mese: “Mosè disse al popolo: ‘Ricordate questo giorno, nel quale siete usciti dall’Egitto, dalla casa di schiavitù. […] Voi uscite oggi, nel mese di Abib’” (Es 13:3,4). Abìb, dunque. Questo mese era generalmente designato con il numero della sua posizione nel calendario: “Primo” (Gs 4:19); in epoca posteriore all’esilio in Babilonia fu designato con il nome babilonese: “Il primo mese, cioè il mese di Nisan” (Est 3:7). La Pasqua cadeva dunque nel primo mese, abìb o nissàn (ניסן).
In quale giorno del mese di nissàn cadeva la Pasqua? L’agnello pasquale doveva essere conservato vivo fino “al quattordicesimo giorno di questo mese”; poi, “al tramonto”, sarebbe stato sacrificato. Il testo sembrerebbe chiaro: giunto il giorno 14, l’agnello era ancora vivo, poi sul finire del giorno 14 – “al tramonto” – sarebbe stato sacrificato. Da dove nascono allora i problemi interpretativi? Dal fatto che l’espressione tradotta “al tramonto” è nel testo ebraico letteralmente “fra le due sere” (בֵּין הָעַרְבָּיִם, ben harbàym). Si deve quindi leggere: “Si deve custodire presso di voi fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e l’intera congregazione dell’assemblea d’Israele la deve scannare fra le due sere” (Es 12:6, TNM). Cosa cambia? Alla fine, poco; ma un’errata interpretazione fa cambiare addirittura giorno alla data della celebrazione della Pasqua. Esaminiamo bene la questione. Intanto, cosa significa “fra le due sere”?
Un dizionario biblico ci illumina sulle due interpretazioni possibili dell’espressione biblica “fra e due sere”:
“A questo proposito C. F. Keil e F. Delitzsch osservano: ‘Sin dai tempi più remoti fra gli ebrei sono prevalse opinioni diverse circa il preciso tempo in questione. Abenezra [Abraham ibn `Ezra] è d’accordo con i caraiti e i samaritani nel ritenere che la prima sera fosse il momento in cui il sole cala dietro l’orizzonte, e la seconda quando è completamente buio; nel qual caso, ‘fra le due sere’ sarebbe fra le 18 e le 19,20. . . . Secondo l’idea rabbinica, il momento in cui il sole comincia a calare, cioè fra le 15 e le 17, era la prima sera, e il tramonto la seconda; quindi ‘fra le due sere’ era fra le 15 e le 18. Commentatori moderni hanno molto appropriatamente deciso a favore dell’idea sostenuta da Abenezra e della consuetudine adottata da caraiti e samaritani” (Commentary on the Old Testament, 1973, vol. I, Il Secondo Libro di Mosè, p. 12). – Perspicacia nello Studio delle Scritture, volume I, pag. 493, voce “Pasqua”, sottovoce “Cosa si intende con l’espressione ‘fra le due sere’?, § 2.
Gli editori dell’opera appena citata optano quindi per la scelta dell’interpretazione adottata da caraiti e samaritani. Costoro vanno però oltre, commettendo un grossolano errore nell’affermare che “per gli israeliti il giorno andava da tramonto a tramonto. Perciò il giorno di Pasqua iniziava al tramonto, alla fine del 13° giorno di abib (nisan)” (Ibidem, § 1). A questo punto, prima di definire biblicamente l’espressione “fra le due sere”, occorre stabilire chiaramente da quando a quando va il giorno biblico, giacché non è per nulla vero che “per gli israeliti il giorno andava da tramonto a tramonto”.
L’inizio del giorno biblico
Un periodo di 24 ore, un giorno intero, è menzionato in Lv 23:32: “È un sabato di completo riposo per voi […]. Da sera a sera dovete osservare il vostro sabato” (TNM). Ecco quindi la definizione di un giorno intero: “da sera a sera”. Ma cosa significa “sera” nella Bibbia? Il termine ebraico per “sera” è ערב (èrev). Questo termine copre un largo periodo di tempo, dal pomeriggio all’oscurità totale o notte. Ecco degli esempi:
- “Quando mi sono messo a giacere ho anche detto: ‘Quando mi leverò? E [quando] la sera [ebraico ערב (èrev)] realmente completa la sua misura, mi sono anche saziato di irrequietezza fino al crepuscolo del mattino” (Gb 7:4, TNM). Qui “sera” indica il periodo di tempo che comprende la notte: “quando completa la sua misura” ovvero “fino al crepuscolo del mattino”.
- “Il giorno è declinato, poiché le ombre della sera [ebraico ערב (èrev)] continuano ad allungarsi” (Ger 6:4, TNM). Qui “sera” indica il tempo del tramonto, quando le ombre “continuano ad allungarsi”.
- “La sera [ebraico ערב (èrev)] mi forai a mano la via attraverso il muro. Durante le tenebre [lo] portai fuori” (Ez 12:7, TNM). Qui “sera” indica la piena oscurità notturna, “durante le tenebre”.
- “Al crepuscolo, nella sera [ebraico ערב (èrev)] del giorno, all’appressarsi della notte e della caligine” (Pr 7:9, TNM). Il testo ebraico masoretico (M) ha “[nella] pupilla” o “[nel] mezzo” in luogo di “all’appressarsi”, per cui è “nella sera del giorno, in mezzo alla notte”; qui “sera” indica la notte.
- “Sul far della sera [ebraico ערב (èrev)] deve lavarsi con acqua, e al tramonto del sole può entrare in mezzo al campo” (Dt 23:11, TNM). Qui “sera” è il tramonto del sole.
- “Verso il tempo della sera [ebraico ערב (èrev)], il tempo in cui solevano uscire le donne che attingevano l’acqua” (Gn 24:11, TNM). Qui “sera” indica il tardo pomeriggio, quando era meno caldo e le donne potevano uscire a prendere l’acqua, ma ancora abbastanza chiaro perché potessero farlo (le donne non sarebbero certo rientrate, cariche d’acqua, al buio).
- “Al tempo della sera [ebraico ערב (èrev)] avvenne che Davide si levava dal suo letto e camminava sulla terrazza della casa reale; e dalla terrazza scorse una donna che faceva il bagno” (2Sam 11:2, TNM). Gli avvenimenti che seguono (Davide manda a informarsi e scopre che la donna si chiama Betsabea, v. 3; manda dei messaggeri a prenderla, v. 4; ha rapporti sessuali con lei, v. 4, più tardi lei torna a casa, v. 4) indicano che qui “sera” indica il pomeriggio quando Davide si alzò dopo un sonnellino pomeridiano.
Dato il largo periodo di tempo coperto dalla parola “sera” (ebraico ערב, èrev), il vocabolo ebraico viene tradotto nelle Bibbie italiane con “sera”, “crepuscolo”, “tramonto”, “notte”, “imbrunire”, secondo i casi. D’altra parte, che “sera” abbia più di un significato è evidente già dall’espressione stessa “fra le due sere”. Quando la Bibbia afferma che un giorno completo va “da sera a sera” (Lv 23:32) occorre definire in questo caso cosa sia “sera” (ebraico ערב, èrev ): è l’inizio del tramonto o la sua fine?, è prima che faccia notte o è già notte?
Nella comprensione ci aiuta Dt 21:22,23: “Nel caso che in un uomo ci sia un peccato che meriti la sentenza di morte, ed egli sia stato messo a morte, e tu l’abbia appeso a un palo, il suo corpo morto non dovrebbe restare sul palo per tutta la notte; ma lo devi senz’altro seppellire quel giorno” (TNM). Qui si stabilisce che il cadavere deve essere sepolto “quel giorno” ovvero il giorno stesso in cui è morto. Secondo questa norma, il cadavere doveva essere levato prima dell’oscurità (“quel giorno”): un nuovo giorno sarebbe iniziato con la notte e i cadaveri dovevano essere tolti prima di quel nuovo giorno. Giosuè rispettò questa norma calando dal palo il cadavere del re di Ai e quello dei nemici uccisi: “Appese il re di Ai a un palo fino alla sera; e mentre il sole stava per tramontare Giosuè diede il comando, e calarono quindi il suo corpo morto dal palo” (Gs 8:29, TNM); “Giosuè li colpiva e li metteva a morte e li appendeva a cinque pali, e rimasero appesi ai pali fino alla sera. E avvenne che al tempo del tramonto del sole Giosuè comandò, e li calavano giù dai pali” (Gs 10:26,27, TNM). In tutti e due questi casi, Giosuè fece togliere dai pali i cadaveri “mentre il sole stava per tramontare”, “al tempo del tramonto del sole”. È evidente che Giosuè non si preoccupava del fatto che il sole stesse tramontando, ma si preoccupava dell’avvicinarsi dell’oscurità. Questo era in armonia con la prescrizione divina che i cadaveri fossero sepolti “quel giorno” stesso (Dt 21:23). Di conseguenza, il tramonto del sole era considerato parte del giorno stesso fino all’oscurità. Questa era l’opinione che avevano gli israeliti e i giudei, opinione espressa perfino nel Corano.
Questo fatto è reso chiaro dal primo giorno sul pianeta Terra:
“Ora la terra risultò essere informe e vuota e c’erano tenebre sulla superficie delle acque dell’abisso; e la forza attiva di Dio si muoveva sulla superficie delle acque. E Dio diceva: ‘Si faccia luce’. Quindi si fece luce. Dopo ciò Dio vide che la luce era buona, e Dio operò una divisione fra la luce e le tenebre. E Dio chiamava la luce Giorno, ma chiamò le tenebre Notte. E si faceva sera [ebraico ערב (èrev)] e si faceva mattina, un primo giorno”. – Gn 1:1-5, TNM.
Questo testo chiarisce del tutto il momento in cui inizia il giorno. Prima di quel primo giorno c’erano le tenebre e Dio stesso “chiamò le tenebre Notte [ebraico לילה (làila)]”. Dopo la notte si avvicenda la luce e “Dio chiamava la luce Giorno [ebraico יום (yòm)]”. Questo ciclo completo – dalle tenebre alla luce – che determinò il primo giorno del nostro pianeta è espresso nella dichiarazione riassuntiva finale: “Si faceva sera [ebraico ערב (èrev)] e si faceva mattina, un primo giorno”. È del tutto evidente che all’inizio di quel primo giorno non poteva esserci la luce riflessa nell’atmosfera proveniente da un sole che tramontava. Come sarebbe stato possibile? Dio non aveva ancora detto: “Si faccia luce”. Quindi, il primo giorno del pianeta iniziò con le tenebre, e tutti i giorni seguenti ebbero ed hanno come inizio le tenebre.
La Bibbia intende quindi l’inizio del giorno con l’oscurità ovvero il buio che scende dopo il tramonto. Questo è ciò che appare nella Scrittura. Oltre alle citazioni già fatte, ci si potrebbe riferire anche a Ne 13:19: “Appena sulle porte di Gerusalemme era calata l’ombra prima del sabato, immediatamente dissi [la parola] e si cominciarono a chiudere i battenti. Dissi inoltre che non li aprissero fin dopo il sabato” (TNM). Da notare qui che quando “era calata l’ombra” si era ancora nel giorno “prima del sabato”: il sabato sarebbe iniziato dopo quel periodo in cui erano calate le ombre, cioè con l’oscurità. Questo è in pieno accordo con Gn 1:5. A partire da Giosuè vediamo che questa era la procedura abituale: “In sul serrar delle porte, nel farsi oscuro” (Gs 2:5, Did). Questo passo è tradotto da TNM così: “Alla chiusura della porta, all’imbrunire”. C’è da notare che quell’“imbrunire” o “farsi oscuro” è nel testo ebraico חֹשֶׁךְ (khòshech) ovvero la stessa identica espressione di Gn 1:5: “[Dio] chiamò le tenebre [ebraico חֹשֶׁךְ (khòshech)] “notte”]. Bene, quindi, traduce ND: “Al momento in cui si chiudeva la porta [della città], quando era buio”. Non ci sono dubbi: il giorno biblico inizia con il buio. Ancora oggi la regola empirica ebraica per determinare l’inizio del giorno (in assenza di calcoli astronomici) è l’apparizione di tre stelle di media dimensione nel cielo.
Non è quindi scritturale l’affermazione secondo cui “per gli israeliti il giorno andava da tramonto a tramonto”. Come si è dimostrato con la Bibbia, il giorno andava e va dall’inizio del buio fino alla scomparsa completa della luce dopo il tramonto che avviene 24 ore dopo.
Questo implica che è assurda l’affermazione che “il giorno di Pasqua iniziava al tramonto, alla fine del 13° giorno di abib (nisan)”. – Ibidem.
Per una trattazione più ampia e dettagliata si veda lo studio Il giorno biblico e il suo inizio nella categoria Il calendario biblico della sezione La Bibbia.
“Fra le due sere”
Torniamo ora all’espressione “fra le due sere”. Quando va collocato questo periodo durante il giorno del 14 nissàn? Nel periodo tra le 15 e le 18 (secondo i rabbini) o tra le 18 e le 19,20 (secondo i caraiti e i samaritani)? Potrebbe sembrare stupefacente, ma in verità la risposta è del tutto ininfluente. Infatti, comunque si collochi il periodo “fra le due sere”, esso appartiene al giorno in corso che sta terminando. La dimostrazione sta in Es 29:38:
“Questo è ciò che offrirai sull’altare: giovani montoni ciascuno di un anno, due al giorno, di continuo. E offrirai un giovane montone la mattina, e offrirai l’altro giovane montone fra le due sere”. – TNM.
È del tutto chiaro: due al giorno, nello stesso giorno, uno al mattino e uno “fra le due sere”. È evidente che il secondo montone offerto “fra le due sere” era la seconda offerta quotidiana di quello stesso giorno: il periodo “fra le due sere” appartiene dunque allo stesso giorno. Così in Nm 28:3,4:
“Ogni giorno due agnelli sani di un anno come olocausto, di continuo. Un agnello lo offrirai la mattina, e l’altro agnello lo offrirai fra le due sere”. – TNM.
Anche qui il periodo “fra le due sere” appartiene allo stesso giorno in cui era offerto il primo sacrificio: quando veniva offerto il secondo, “fra le due sere”, si era ancora nello stesso giorno. La sequenza è chiara: il primo al mattino, il secondo “fra le due sere”, nello stesso giorno.
In armonia con questo computo dei momenti del giorno stabiliti dalla Scrittura, quando Es 12:6 afferma che l’agnello pasquale “si deve custodire presso di voi fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e l’intera congregazione dell’assemblea d’Israele la deve scannare fra le due sere” (TNM, è evidente che l’agnello doveva essere scannato al termine del 14° giorno. Questo è confermato anche da Dt 16:6: “Devi sacrificare la pasqua, la sera, appena sarà tramontato il sole”. – TNM.
Il 14° giorno di nissàn il sole inizia a tramontare verso le 15 e termina il suo tramonto verso le 19,20. È forse questo il periodo di tempo incluso “fra le due sere”? Sì. Così lo intendevano gli ebrei. Giuseppe Flavio ne dà testimonianza: “All’arrivo della festa che è chiamata Pasqua, quando si immolano i sacrifici, dalla nona all’undicesima ora [dalle 15 alle 17] […]” . – Guerre dei giudei, libro 6, capitolo 9, verso 3.
La data della Pasqua ebraica
“Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità d’Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto” (Es 12:6). Abbiamo stabilito con la Bibbia che alla fine del giorno 14 del primo mese dell’anno ebraico, abìb o nissàn, tra l’inizio del calare del sole verso le ore 15 circa e fino al tramonto (“fra le due sere”, appunto) doveva essere scannato l’agnello sacrificale della Pasqua. Una volta ucciso, l’agnello doveva essere poi scuoiato; le sue interiora dovevano essere pulite e rimesse a posto; poi era arrostito intero, senza rompere nessun osso, e doveva essere ben cotto (2Cron 35:11; Nm 9:12; Es 12:9). Per di più, in quella prima Pasqua celebrata in Egitto, gli ebrei dovevano segnare con il sangue dell’agnello gli stipiti delle loro porte di casa: “Poi si prenda del sangue d’agnello e lo si metta sui due stipiti e sull’architrave della porta delle case dove lo si mangerà” (Es 12:7). Tutto questo richiedeva del tempo. Quando avrebbero dunque mangiato la cena pasquale?
Dio aveva dato istruzioni anche su questo: “Se ne mangi la carne in quella notte; la si mangi arrostita al fuoco, con pane azzimo e con erbe amare” (Es 12:8). Questa cerimonia sarebbe poi stata ripetuta ogni anno avvenire: “Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione, e lo celebrerete come una festa in onore del Signore; lo celebrerete di età in età come una legge perenne” (Es 12:14). “In quella notte”: si tratta ovviamente della notte subito seguente, quando si era ormai nel 15 nissàn. Alla fine del 14, infatti, l’agnello era scannato e preparato; scesa la notte (15 nissàn), la cena pasquale era consumata. L’agnello doveva essere mangiato “con pane azzimo” ovvero non lievitato. Le istruzioni di Dio erano precise: “Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case” (Es 12:15); “Il primo giorno avrete una riunione sacra, e un’altra il settimo giorno” (v. 16); “Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo giorno” (v. 18). Alla fine del 14° giorno iniziava il periodo dei pani azzimi che durava sette giorni e che quindi terminava alla fine del 21° giorno di nissàn. Il primo giorno degli azzimi era dunque il 15, giorno in cui (quando faceva buio all’inizio del 15, dopo la fine del 14) si doveva mangiare la Pasqua. Questo è confermato anche in Lv 23:5,6: “Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull’imbrunire, sarà la Pasqua del Signore; il quindicesimo giorno dello stesso mese sarà la festa dei Pani azzimi”.
Non ci sono dubbi che il giorno in cui fu mangiata quella prima Pasqua era il 15: “Osservate dunque la festa degli Azzimi; poiché in quello stesso giorno io avrò fatto uscire le vostre schiere dal paese d’Egitto” (Es 12:17). In quale giorno? “Partirono da Raamses il primo mese, il quindicesimo giorno di quel mese. Il giorno dopo la Pasqua i figli d’Israele partirono a testa alta, sotto gli occhi di tutti gli Egiziani” (Nm 33:3). La Pasqua, intesa come sacrificio, era avvenuta il 14 e “il giorno dopo la Pasqua” – “il quindicesimo” – il popolo di Israele usciva libero dall’Egitto. Questo è confermato molto chiaramente da Dt 16:8 in cui il conto è addirittura matematico: “Per sei giorni mangerai pane azzimo, e il settimo giorno vi sarà una solenne assemblea”. Nei due versetti precedenti erano state ribadite le istruzioni per la Pasqua, il testo continua poi dando le istruzioni relative ai giorni dopo il primo: “Per sei giorni mangerai pane azzimo”. È ovvio che il primo giorno degli azzimi (15 nissàn) era quello in cui si mangiava la Pasqua, poi nei rimanenti “sei giorni” continuava la festa degli azzimi fino al “settimo giorno” in cui vi sarebbe stata “una solenne assemblea”. – V. 8.
Yeshùa, giudeo osservante e praticante della Legge di Dio (Mt 5:17), osservò la Pasqua biblica durante la sua vita. Quando si avvicinava il giorno della sua morte, si avvicinava contemporaneamente il giorno della Pasqua. Egli si apprestò a celebrare quella Pasqua. Riuscì a celebrarla?
La domanda non è fuori luogo: la risposta non è così scontata. Secondo le varie religioni dette “cristiane” pare ovvio che Yeshùa la celebrasse. Non solo. Sempre secondo tali religioni, Yeshùa avrebbe addirittura sostituito gli emblemi pasquali ebraici con il pane e il vino, mutando profondamente la ricorrenza pasquale. Eppure Yeshùa aveva dichiarato: “Non pensate che io sia venuto a distruggere la Legge o i Profeti. Non sono venuto a distruggere”. – Mt 5:17, TNM.