Ebrea (Ἰουδαία, iudàia, “giudea”)

“Una donna ebrea credente”. – At 16:1.

   La traduzione scelta da VR non è buona. Meglio TNM: “Donna giudea”. Il grande pubblico fa confusione tra ebrei, giudei e israeliti. È il caso di fare un po’ d’ordine.

   EBREI. La prima volta che questo termine compare è in Gn 14:13: “Abramo, l’Ebreo [עִבְרִי (ivrì)]”. Il nome עִבְרִי (ivrì) deriva da Eber (עֵבֶר, Èver), pronipote di Sem e antenato di Abraamo (Gn 11:10-26). Gn 10:21 definisce Sem “padre di tutti i figli di Eber”. Nm 24:24 profetizza, secoli dopo la morte di Eber, che “umilieranno Eber”: questo denota che una certa popolazione sarebbe stata chiamata così, dato che il nome Eber è qui patronimico (ovvero un nome che indica la discendenza paterna), maniera comune nella Bibbia per indicare una popolazione. Il patronimico collega gli israeliti a una delle famiglie discese da Noè (Gn 10:1-32). Il termine “ebreo” si applica in maniera specifica agli israeliti, sebbene Eber abbia avuto altri discendenti la cui linea di discendenza non porta ad Abraamo e quindi a Israele (Gn 10:25-30;11:16-26). Alcuni studiosi pensano che in origine il termine עִבְרִי (ivrý), “ebreo”, si applicasse a tutti quei discendenti che potevano far risalire a Eber la propria ascendenza, ma che poi il nome abbia finito per indicare i soli israeliti come gli eberiti (ebrei) più importanti. Ciò è in armonia con l’uso biblico: anche Abraamo ebbe molti discendenti non israeliti, ma solo gli israeliti vengono chiamati “seme d’Abraamo” (Sl 105:6; Is 41:8; cfr. Mt 3:9; 2Cor 11:22). Il fatto stesso che Dio ne fece una nazione, distinse gli israeliti non solo dagli altri discendenti di Abraamo, ma anche da tutti gli altri discendenti di Eber o eberiti. Gli israeliti non si mischiarono con altri popoli al punto di perdere la loro identità (Dt 7:3, 4; Gdc 3:5-8), cosa che non può dirsi per coloro che all’origine erano pure eberiti e che in seguito persero tale identità. Nella nuova umanità iniziata con Noè, la progenie profetizzata da Dio in Gn 3:15 passa per Sem (Gn 9:26; qui Dio viene chiamato “Dio di Sem”) ed Eber è anello di congiunzione fra Sem e Abraamo. Gli eberiti o ebrei con cui la progenie benedetta di Gn 3:15 continuava furono gli israeliti, tanto che Dio è definito “il Dio degli Ebrei”. – Es 3:18.

   ISRAELITI. A Giacobbe, nipote di Abraamo, Dio cambiò il nome: “Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele” (Gn 32:28); i suoi discendenti furono quindi chiamati israeliti (2Sam 17:25; Gv 1:47; Rm 11:1). Il termine si applicò a tutti i componenti delle dodici tribù d’Israele sorte dai dodici figli di Giacobbe (1Sam 2:14;13:20;29:1). Ciò fino ad un certo periodo storico, ovvero finché il regno unito di Israele si separò dando origine al Regno del Nord o Regno di Israele e al Regno del Sud o Regno di Giuda; da questo momento storico il termine “israeliti” designava solo gli ebrei appartenenti al Regno del Nord o di Israele (1Re 12:19; 2Re 3:24). Costoro furono contrapposti da allora ai giudei o appartenenti al Regno del Sud o di Giuda.

   GIUDEI. Questo termine designa ogni appartenente alla tribù di Giuda e non ricorre nella Bibbia prima della caduta del Regno d’Israele (2Re 16:6;25:25). Il nome fu poi esteso a tutti gli ebrei in ogni parte del mondo, per distinguerli dai gentili. – Est 3:6;9:20.

   Oggigiorno gli ebrei che abitano Israele sono propriamente giudei, dato che gli israeliti (intesi come discendenti del Regno d’Israele, separato da quello di Giuda) furono dispersi nei secoli tra le popolazioni non ebree, perdendo la loro identità. Tuttavia, proprio perché non si ha più una popolazione israelita identificabile, i giudei possono definirsi anche israeliti: prima della divisione dei regni, sia giudei che israeliti erano tutti israeliti. Il termine “ebreo” rimane generico: può indicare una persona di fede ebraica che è, ad esempio, africano o cinese. Oggi i giudei, quindi, possono dirsi israeliti e certamente ebrei. Così era anche al tempo di Yeshùa.

   In At 16:1 si parla di Eunice, madre di Timoteo: “Timoteo, figlio di una donna giudea credente” (TNM: cfr. 2Tm 1:5). Anche Drusilla, moglie di Felice e figlia di Agrippa I, è chiamata in At 24:24 “donna ἰουδαία [iudàia, “giudea”]”.

   In greco il termine “ebrea” è εβραία (ebràia); in ebraico è עִבְרִיָּה (yvrìah). In greco il termine femminile “israelita” è  ἰσραηλίτης  (israelìtes); in ebraico è יִשְׂרְאֵלִית (ysraelìt). In greco il termine “giudea” è ἰουδαία (iudàia); in ebraico è יְהֻדִיָּה (yehudìah).

Efa (עֵיפָה, Efàh, “oscurità”)

Efa, concubina di Caleb, partorì Aran, Mosa e Gazez. Aran generò Gazez”. – 1Cron 2:46.

Efrat (אֶפְרָת, Efràt, “feconda”)

“Azuba morì e Caleb sposò Efrat, che gli partorì Cur”. – 1Cron 2:19.

   Questa donna fu la seconda moglie di Caleb della tribù di Giuda. Caleb era una delle spie inviate ad esplorare la Terra Promessa prima dell’ingesso degli ebrei (Nm 13:6,30;14:6-9). Lei lo sposò in Egitto dopo la morte di Azuba, sua prima moglie, e “partorì Cur”. – 1Cron 2:19,50.

   “Efrat” era anche l’antico nome di Betlemme di Giuda: “Efrata [אֶפְרָתָה (efratàh)], cioè di Betlemme” (Gn 35:19). In Rut 1:2 si parla di “Betlemme di Giuda”, ma i suoi abitanti sono detti “efratei”.

Egiziane (מִּצְרִיֹּת, mitsriyòt, “egiziane”)

“Le donne ebree non sono come le egiziane”. – Es 1:19.

   Questa frase è detta dalle due levatrici Sifra e Pua per giustificarsi davanti al faraone egizio di non aver ucciso i maschi ebrei neonati come lui aveva ordinato. Esse spiegano: “Esse [le donne ebree] sono vigorose e, prima che la levatrice arrivi da loro, hanno partorito”. – Es 1:15-19.

Egla (עֶגְלָה, Eglàh, “giovenca”)

“Nacquero a Davide dei figli a Ebron . . . il sesto fu Itream, figlio di Egla, moglie di Davide”. – 2Sam 3:2-5; cfr. 1Cron 3:1,2.

Elisabetta (Ἐλεισάβετ, Eleisàbet; corrisponde all’ebraico אֱלִישֶׁבַע, Elyshèva, “il mio Dio è abbondanza”)

“Al tempo di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria, del turno di Abìa; sua moglie era discendente d’Aaronne e si chiamava Elisabetta. Erano entrambi giusti davanti a Dio e osservavano in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile, ed erano tutti e due in età avanzata”. – Lc 1:5-7.

   “Ma l’angelo gli disse: ‘Non temere, Zaccaria, perché la tua preghiera è stata esaudita; tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, e gli porrai nome Giovanni’” (Lc 1:13). Luke 1:13:“Dopo quei giorni, sua moglie Elisabetta rimase incinta; e si tenne nascosta per cinque mesi, dicendo: ‘Ecco quanto ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui mi ha rivolto il suo sguardo per cancellare la mia vergogna in mezzo agli uomini’”. -Luke 1:24-25: Lc 1:24,25.

   L’angelo (non arcangelo, come detto dai cattolici) Gabriele annuncia questa gravidanza anche a Miryàm madre di Yeshùa: “Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile”Luke 1:36: (Lc 1:36). Miryàm visita poi Elisabetta: “Entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: ‘Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo’”. – Lc 1:40-44.

   “Compiutosi per lei il tempo del parto, Elisabetta diede alla luce un figlio. I suoi vicini e i parenti udirono che il Signore le aveva usato grande misericordia, e se ne rallegravano con lei. L’ottavo giorno vennero a circoncidere il bambino, e lo chiamavano Zaccaria dal nome di suo padre. Allora sua madre intervenne e disse: ‘No, sarà invece chiamato Giovanni’”. – Lc 1:57-60.

Eliseba (אֱלִישֶׁבַע, Elyshèva, “il mio Dio è abbondanza”)

“Aaronne prese per moglie Eliseba, figlia di Amminadab, sorella di Naason. Lei gli partorì Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar”. – Es 6:23.

Erodiada (Ἡρῳδιάδα, Erodiàda, “eroica”)

“Erode, fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione a motivo di Erodiada, moglie di Filippo suo fratello; perché Giovanni gli diceva: ‘Non ti è lecito averla’. E benché desiderasse farlo morire, temette la folla che lo considerava un profeta. Mentre si celebrava il compleanno di Erode, la figlia di Erodiada ballò nel convito e piacque a Erode; ed egli promise con giuramento di darle tutto quello che avrebbe richiesto. Ella, spintavi da sua madre, disse: ‘Dammi qui, su un piatto, la testa di Giovanni il battista. Il re ne fu rattristato ma, a motivo dei giuramenti e degli invitati, comandò che le fosse data, e mandò a decapitare Giovanni in prigione. La sua testa fu portata su un piatto e data alla fanciulla, che la portò a sua madre”. – Mt 14:3-11.

   Erodiada era stata sposata in prime nozze a Erode Filippo (suo zio, fratellastro di suo padre, chiamato Filippo per distinguerlo da Filippo il tetrarca dell’Iturea e della Traconitide – Lc 3:1), fratello di Erode Antipa, poi divenne la moglie di Erode. Il battezzatore criticò Erode per il matrimonio che in effetti era un adulterio che violava la Legge. Erode si trovò allora in un campo politico minato: Giovanni lo aveva criticato pubblicamente, ma allo stesso tempo Giovanni era riconosciuto come profeta dal popolo. Erodiada riuscì a forzare le reticenze di Erode tramite la propria figlia (Salomè, avuta da suo marito-zio Erode Filippo), e così si vendicò di Giovanni. – Mr 6:22-28.

Ester (אֶסְתֵּר, Estèr, “mirto/stella”)

Il Regno di Giuda, nel 6° secolo a. E. V., si era ribellato contro la Babilonia (2Re 24:18–25:1; 2Cron 36:11-13; Ez 17:15-21) e il re babilonese Nabucodonosor aveva inviato i suoi eserciti, assediando Gerusalemme e catturando il re giudeo Sedechia;  quasi tutti i superstiti erano stati portati in esilio in Babilonia; i pochi rimasti fuggirono in Egitto; il paese di Giuda rimase così completamente desolato (2Re 25:1-26). I babilonesi furono in seguito sconfitti dai persiani. La storia di Ester si colloca nel periodo in cui i giudei si trovavano ancora in esilio, ora sotto i persiani.

   Dopo che il re persiano Assuero aveva ripudiato sua moglie, la regina Vasti (si veda al riguardo la voce Vasti), entra in scena una donna ebrea: Ester. “Dopo queste cose, quando l’ira del re fu calmata, egli si ricordò di Vasti, di ciò che lei aveva fatto e di quanto era stato deciso a suo riguardo. Quelli che stavano al servizio del re dissero: ‘Si cerchino per il re delle ragazze vergini e di bell’aspetto; il re stabilisca in tutte le provincie del suo regno dei commissari; questi radunino tutte le ragazze vergini e belle alla residenza reale di Susa, negli appartamenti delle donne, sotto la sorveglianza di Egai, eunuco del re, guardiano delle donne, che darà loro i cosmetici di cui necessitano; e la giovane che piacerà al re diventi regina al posto di Vasti’. La cosa piacque al re, e così si fece”. – Est 2:1-4.

   “Nella residenza reale di Susa c’era un Giudeo di nome Mardocheo, figlio di Iair, figlio di Simei, figlio di Chis, un Beniaminita, che era stato condotto via da Gerusalemme tra gli schiavi deportati con Ieconia, re di Giuda, da Nabucodonosor, re di Babilonia. Egli aveva allevato la figlia di suo zio, Adassa, cioè Ester, che non aveva né padre né madre. La ragazza era avvenente e bella; e alla morte del padre e della madre, Mardocheo l’aveva adottata come figlia”. – Est 2:5-7.

   “Adassa, cioè Ester”. Il nome di questa ragazza ebrea era Adassa; Ester era il suo nome persiano. Il nome Ester sarebbe secondo certi studiosi un adattamento dall’assiro-babilonese Ishtar, nome della dea del sesso e della guerra, col significato di “stella”. Tale nome lo ricevette entrando nell’harem del re persiano. Il suo nome ebraico, però, era הֲדַסָּה (Hadasàh), nome che significa “mirto”. Il suo nuovo nome potrebbe derivare da un modo di chiamare il mirto da parte dei medi: il nome è molto vicino alla radice della parola che indica, in curdo o in persiano, il mirto; inoltre, il mirto produce un fiore a forma di stella. Un Targùm (un’opera contenente la versione aramaica commentata della Bibbia ebraica, a partire dal ritorno dall’esilio babilonese) della tradizione ebraica spiega che ella era assai più bella della “stella della notte”. La Bibbia dice di lei che era יְפַת־תֹּאַר וְטֹובַת מַרְאֶה (yefàt-toàr vetovàt marèh), “bella di forme e bella di viso”; “graziosa di forme e bella d’aspetto” (TNM), “avvenente e bella” (NR), “bellissima e affascinante” (PdS). Comunque, la Bibbia ci ricorda che “la grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana; ma la donna che teme il Signore è quella che sarà lodata” (Pr 31:30). Ester, come vedremo, era una donna di grande sensibilità, caratterizzata dalla fede, dal coraggio, dal patriottismo, dalla prudenza e dalla risolutezza.

   Ester era “figlia di Abiail, zio di Mardocheo che l’aveva adottata come figlia” (Est 2:15). Era dunque una beniaminita e Mardocheo era suo cugino (Est 2:5,15;9:29). La tribù di Beniamino era una delle due tribù che costituivano il Regno di Giuda prima della sua distruzione da parte dei babilonesi e la conseguente deportazione dell’élite del regno. Da Est 2:7 – che dice che Mardocheo “aveva allevato la figlia di suo zio, Adassa, cioè Ester, che non aveva né padre né madre” – possiamo dedurre che i genitori della ragazza morirono quando lei era piuttosto giovane, perciò qualche tempo prima del suo incontro col re Assuero.

   Alla morte dei genitori, Ester fu adottata dal cugino Mardocheo che divenne il suo tutore. “Mardocheo stava seduto alla porta del re” (Est 2:21), perciò occupava una funzione amministrativa nel palazzo reale a Susa (cfr. Est 3:2): era un visir. Avendo sentito che il re Assuero (normalmente identificato con il re persiano Serse I, figlio del persiano Dario il Grande) cerca una nuova sposa, Mardocheo fa partecipare la cugina Ester alle selezioni: “Ester fu condotta nella casa del re”. – Est 2:8.

   “Un gran numero di ragazze furono accolte nella residenza reale di Susa sotto la sorveglianza di Egai, anche Ester fu condotta nella casa del re, sotto la sorveglianza di Egai, guardiano delle donne. La ragazza piacque a Egai, e trovò grazia davanti a lui. Egli si affrettò a fornirle i cosmetici di cui lei necessitava e il vitto; le diede sette ancelle scelte nel palazzo del re, e assegnò a lei e alle sue ancelle la casa migliore fra quelle riservate alle donne. Ester non aveva detto nulla né del suo popolo né dei suoi parenti, perché Mardocheo le aveva proibito di parlarne. Mardocheo tutti i giorni passeggiava davanti al cortile della casa delle donne per sapere se Ester stava bene e come la trattavano”. – Est 2:8-11.

   “Ester fu dunque condotta in presenza del re Assuero nella reggia . . . Il re amò Ester più di tutte le altre donne, e lei trovò grazia e favore agli occhi di lui più di tutte le altre vergini. Egli le pose in testa la corona reale e la fece regina al posto di Vasti”. – Est 2:16,17.

   Ester, stando a corte, mantenne i contatti con suo cugino Mardocheo, ricevendone informazioni, tanto che lei informò il re quando Mardocheo scoprì un complotto contro di lui (Est 2:20,22). Accadde poi che il primo ministro Aman si fece autorizzare dal sovrano ad annientare tutti giudei (Est 3:7-13). “In ogni provincia, dovunque giungevano l’ordine del re e il suo decreto, ci fu grande angoscia tra i Giudei: digiunavano, piangevano, si lamentavano, e a molti facevano da letto il sacco e la cenere. Le ancelle di Ester e i suoi eunuchi vennero a riferirle questa notizia. La regina ne fu molto angosciata”. – Est 4:3,4.

   Qui si rivela tutto il coraggio di Ester, oltre al suo patriottismo, dato che era proibito, sotto pena di morte, accedere al re senza esserne chiamati: “Se qualcuno, uomo o donna che sia, entra dal re nel cortile interno, senza essere stato chiamato, per una legge che è uguale per tutti, deve essere messo a morte”, ed Ester era già da trenta giorni che non veniva chiamata dal re (Est 4:11). La risoluta e coraggiosa Ester inviò allora quest’ordine a Mardocheo: “Va’, raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa, e digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno. Anch’io con le mie ancelle digiunerò allo stesso modo; e dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge; e se io debbo perire, che io perisca!” (Est 4:16). Con buona pace dei maschilisti, lei dà ordini a Mardocheo e lui li esegue. La Bibbia non ha remore ad affermare la sua autorità su un uomo, cosa invece biasimata da molti religiosi.

   Sebbene i soliti maschilisti dicano che Ester “fu sottomessa al marito Assuero, avvicinandolo in modo rispettoso e con tatto” (Perspicacia nello studio delle Scritture Vol. 1, pag. 872), la Bibbia ci dice che “Ester si mise la veste reale e si presentò nel cortile interno della casa del re, di fronte all’appartamento del re” (Est 5:1), sfidando così il divieto reale di presentarsi al sovrano senza invito. “Allora il re le disse: ‘Che hai, regina Ester? Che cosa domandi? Se anche chiedessi la metà del regno, ti sarà data’” (Est 5:3,4). Più che lei sottomessa al re, qui appare quasi il contrario. In quanto al commento, sempre maschilista, che lei “accettò i consigli del maturo cugino Mardocheo” (Ibidem), la Bibbia ci dice invece che Mardocheo “fece tutto quello che Ester gli aveva ordinato”. – Est 4:17.

   Ester rivelò al re il piano di Aman e il re lo fece impiccare (Est 4:7–7:10). Anche in questa occasione lei dimostrò coraggio e determinazione; svelò anche al re di essere un’ebrea: “’La mia richiesta è che mi sia donata la vita; e il mio desiderio, che mi sia donato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati. Se fossimo stati venduti per diventare schiavi e schiave, non avrei parlato; ma il nostro avversario non potrebbe riparare al danno fatto al re con la nostra morte’. Il re Assuero prese a dire alla regina Ester: ‘Chi è, e dov’è colui che ha tanta presunzione da far questo?’ Ester rispose: ‘L’avversario, il nemico, è quel malvagio di Aman’. Allora Aman fu colto da terrore in presenza del re e della regina. Il re tutto adirato si alzò, e dal luogo del convito andò nel giardino del palazzo; ma Aman rimase per implorare la grazia della vita alla regina Ester, perché vedeva bene che nel suo cuore il re aveva deciso la sua rovina”. – Est 7:3-7.

   Ester ottenne poi dal re l’emanazione di un decreto che consentiva ai giudei di difendersi nel giorno stabilito per il loro sterminio (Est 8:3-14). Mardocheo fu nominato primo ministro al posto di Aman e l’editto reale consentì agli ebrei di vincere i loro nemici. – Est 9.

   Questa storia, che ebbe Ester come eroina, è celebrata ancora oggi dall’ebraismo durante la festa di Purìm. In ebraico, purìm (פורים) significa “sorti”, “poiché Aman, figlio di Ammedata, l’Agaghita, il nemico di tutti i Giudei, aveva tramato contro i Giudei per distruggerli, e aveva gettato il Pur [פּוּר (pur)], vale a dire la sorte, per sgominarli e farli perire”. – Est 9:24.

   Purìm è celebrata ogni anno secondo il calendario biblico il giorno 14 del mese ebraico di adàr (veadàr o secondo adàr negli anni bisestili o embolismici), il giorno dopo la vittoria degli ebrei sui loro nemici. “Il quattordicesimo giorno si riposarono, e ne fecero un giorno di banchetti e di gioia” (Est 9:17). Come per tutte le festività ebraiche, Purìm inizia dopo il tramonto del giorno precedente nel calendario secolare. La festa di Purìm è caratterizzata dalla lettura pubblica del libro di Ester e dallo scambio di doni reciproci di cibi e bevande, facendo anche elemosine ai poveri. C’è anche un pasto celebrativo in cui si beve vino e s’indossano maschere e costumi; la celebrazione è pubblica. È una giornata di festa e di gioia. – Est 9:19,22.

   “Quando Ester si fu presentata davanti al re, questi ordinò per iscritto che la scellerata macchinazione che Aman aveva ordita contro i Giudei fosse fatta ricadere sul capo di lui, e che egli e i suoi figli fossero appesi alla forca. Perciò quei giorni furono detti Purim, dal termine Pur. Secondo tutto il contenuto di quella lettera, in seguito a tutto quello che avevano visto a questo proposito e che era loro accaduto, i Giudei stabilirono e presero per sé, per la loro discendenza e per tutti quelli che si sarebbero aggiunti a loro, l’impegno inviolabile di celebrare ogni anno quei due giorni nel modo prescritto e al tempo fissato. Quei giorni dovevano essere commemorati e celebrati di generazione in generazione, in ogni famiglia, in ogni provincia, in ogni città; e quei giorni di Purim non dovevano cessare mai di essere celebrati fra i Giudei, e il loro ricordo non doveva mai cancellarsi fra i loro discendenti”. – Est 9:25-28.

   Questa festività fu voluta soprattutto da Ester. Più che “istruzioni di Mardocheo, confermate da Ester” (Ibidem), si trattò della volontà di Ester condivisa da Mardocheo. La Bibbia dice “la regina Ester, figlia di Abiail, e il Giudeo Mardocheo riscrissero con ogni autorità, per dar peso a questa loro seconda lettera relativa ai Purim” (Est 9:29). E, se non fosse ancora chiaro che a decidere era stara di Ester, si legga Est 9:32: “L’ordine di Ester confermò l’istituzione dei Purim, e ciò fu scritto in un libro”. TNM cerca di svicolare e traduce con “il medesimo detto di Ester”, ma la Scrittura parla di “מַאֲמַר [maamàr] di Ester”. Il vocabolo מַאֲמַר (maamàr) significa “decreto/legge”. Proprio come in Est 1:15, così tradotto da TNM: “Secondo la legge [מַאֲמַר (maamàr)] [dei persiani]”.

   Come molti grandi personaggi storici, Ester si presenta come una figura alquanto umile: era un’orfana ebrea vissuta durante la deportazione dei giudei. In quattro anni la sua posizione cambia radicalmente ed Ester raggiunge il massimo del livello sociale: diventa la regina di una grande potenza mondiale, un ruolo che riesce a vivere saggiamente.

   Il racconto che troviamo nella Bibbia è ambientato al tempo delle guerre tra i persiani ed i greci nel suntuoso palazzo dell’impero persiano al tempo di Serse I  (5° secolo a. E. V.). Dalle ricostruzioni che abbiamo, possiamo immaginare la magnificenza della corte di “Susa, residenza reale”. “Arazzi di cotone finissimo, bianchi e viola, stavano sospesi, mediante cordoni di bisso e di porpora, ad anelli d’argento e a colonne di marmo. C’erano divani d’oro e d’argento sopra un pavimento di porfido, di marmo bianco, di madreperla e di pietre nere. Si offriva da bere in vasi d’oro di svariate forme, e il vino alla corte era abbondante, grazie alla liberalità del re”. – Est 1:6-7.

   Grande è l’importanza data a questa donna: il suo nome viene citato nella Bibbia ben 55 volte. Il nome di nessun’altra donna è ripetuto così spesso. Soltanto Sara vi si avvicina; il suo nome appare come Sara 35 volte e come Sarai 16.

   La regina che precedette Ester si chiamava Vasti, una bella nobile donna che ebbe l’audacia di contraddire un ordine irragionevole del marito. Durante una lunga festa nella quale aveva bevuto molto, il re Assuero ordinò a sette eunuchi di convocare la regina Vasti davanti a lui per far sfoggia della sua bellezza di fronte ai principi. Vasti rifiutò e il re ne fu irritatissimo. – Si veda alla voce Vasti.

   Proprio il rifiuto di Vasti permise l’entrata di Ester nella storia. Questa ragazza ebrea, che era stata allevata dal cugino Mardocheo, un beniaminita divenuto visir (persiano: وزير, vezir), venne notata per la sua bellezza e condotta con altre giovani vergini di bell’aspetto nell’harem del re quale aspirante al posto di regina. Tra tutte le ragazze radunate a Susa, probabilmente solo Adassa (nome ebraico di Ester) non adorava gli idoli. Istruita come una figlia da Mardocheo probabilmente aveva conosciuto da lui le verità riguardanti il Dio Altissimo, Dio d’Israele.

   Una volta davanti al re, Ester fu amata più di tutte le altre donne ed egli le pose in testa la corona reale: era lei la nuova regina. Ben presto iniziò a svolgere un ruolo non comune nelle vite della sua gente, gli ebrei, minacciati di annientamento. Ester si dedicò non ai piaceri, alle comodità ed ai lussi del più suntuoso palazzo del tempo, ma alle aspirazioni, alle speranze ed alle ambizioni del suo popolo. Suo cugino Mardocheo le dirà: “Chi sa se non sei diventata regina appunto per un tempo come questo?”. – Est 4:14.

   Pensando a lei, possiamo immaginarla in quel magnifico palazzo mentre si muove con dignità e splendore, portando abiti dorati, gioielli di ogni sorta che spiccano tra i suoi capelli e accanto agli occhi raggianti dalla meraviglia per ciò che le sta accadendo. Possiamo immaginare che davvero pensasse di essere stata posta lì non a caso, ma per un grande scopo.

   La regina Ester seppe guadagnarsi il favore della gente che la circondava, per la sua saggezza, per il suo autocontrollo e per la capacità che aveva di pensare ad altri prima che a se stessa. Nel frattempo Ester scopre che Aman, il favorito del marito, odia gli ebrei. Da scrittori ebrei moderni Aman è stato descritto come un tipico Hitler, pieno di odio al punto da ordire un diabolico piano per distruggere tutto un popolo solo per orgoglio e ambizione personale.

   Alla malvagità di Aman si oppone ed agisce la coraggiosa Ester, pronta a difendere la sua gente anche a costo della propria vita. Afflitta per lo scontro in corso tra Mardocheo e Aman, lei si rende conto che deve agire subito e con saggezza. Un messaggio da parte del cugino la mette di fronte alla sua responsabilità: “Se oggi tu taci, soccorso e liberazione sorgeranno per i Giudei da qualche altra parte; ma tu e la casa di tuo padre perirete”. – Est  4:I4.

   Ester è risoluta: donna saggia e prudente, digiuna per tre giorni e coinvolge in questo non solo le sue serve, ma anche tutto il popolo ebreo che si trova nella città di Susa, ordinando a Mardocheo: “Va’, raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa, e digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno. Anch’io con le mie ancelle digiunerò allo stesso modo; e dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge; e se io debbo perire, che io perisca!” (Est 4:16). Mardocheo “fece tutto quello che Ester gli aveva ordinato” (Est 4:17). Di fronte alla possibile catastrofe, lei e il suo popolo digiunano e pregano.

   Mentre Ester si preparata a comparire davanti al re, fa la dichiarazione più coraggiosa che sia mai stata fatta da una donna e registrata nella Bibbia: “Se io debbo perire, che io perisca!” Poi, “Ester si mise la veste reale e si presentò nel cortile interno della casa del re, di fronte all’appartamento del re. Il re era seduto sul trono reale nella reggia”. – Est 5:1.

   Il resto della storia è magnificamente scritto nella Bibbia, nel libro che porta il suo stesso nome: Ester.

Eunice (Εὐνίκη, Eunìke, “buona vittoria”)

“Ricordo infatti la fede sincera che è in te [Timoteo], la quale abitò prima in tua nonna Loide e in tua madre Eunice”.- 2Tm 1:5.

   Eunice era una giudea credente, figlia di Loide. Era moglie di un greco non credente ed era madre di Timoteo (At 16:1). Probabilmente Paolo aveva incontrato Eunice a Listra (Asia Minore, attuale Turchia) nel suo primo viaggio missionario; lei e la madre Loide erano diventate allora credenti in Yeshùa (At 14:4-18). La fede di Eunice, dice Paolo, era ἀνυποκρίτου πίστεως (anüpokrìtu pìsteos), “fede non finta” (2Tm 1:5). Nonostante avesse un marito pagano, Eunice seppe insegnare a Timoteo “fin da bambino” le “sacre Scritture”. – 2Tm 3:15.

Eva (חַוָּה, Khavàh, “vivente”)

“L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché è stata la madre di tutti i viventi”. – Gn 3:20.

   Eva fu la prima donna e fu creata direttamente da Dio. Fu anche l’ultima opera creativa di Dio, con cui fu coronato il creato. Si veda al riguardo il nostro studio La creazione della donna, il primo di questa sezione. Adamo, il primo uomo, l’accolse così: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo” (Gn 2:23). Il nome “donna”, in ebraico אִשָּׁה (ishàh), è il femminile di אִישׁ (ish), “uomo”, per cui significa “uomo femmina”; come dire “uoma”, se ci è concesso. La benedizione di Dio riguardò tutti e due, così come la loro costituzione a dominatori della terra: “Dio li benedisse; e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate’” (Gn 1:28). Non doveva esserci una supremazia maschile: tutti e due erano alla pari.

   Paolo dice: “La donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione” (1Tm 2:14). Gn 3:1-6 narra di come “il serpente sedusse Eva con la sua astuzia” (2Cor 11:3). “La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò” (Gn 3:6). In lei accadde quello che Giacomo descrive così bene: “Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte”. – Gc 1:14,15.

   La vergogna fu il primo effetto della trasgressione di Eva e di Adamo: “L’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il Signore fra gli alberi del giardino” (Gn 3:8). Seguì la menzogna con il tentativo di addossare ad altri la colpa: “Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato” (Gn 3:13). Le conseguenze per lei sono quelle che tuttora le donne di tutto il mondo sperimentano: “Con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te” (Gn 3:16). Si noti che ciò non fu una maledizione di Dio, ma una conseguenza del peccato.

   Il primo figlio di Eva (che fu anche il primo essere umano ad essere partorito) fu Caino (Gn 4:1). Eva ebbe poi altri figli e figlie. Con l’ultimo figlio, Set, finisce la storia di Eva narrata nella Bibbia. – Gn 4:25.

   Contro la presunzione di molti critici che asseriscono che Eva fosse solo un personaggio immaginario, ci sono le parole di Yeshùa stesso che si riferì a lei come ad una persona storica. – Mt 19:3-6; per ciò che riguarda Paolo si veda 2Cor 11:3 e 1Tm 2:12-14.

   Diversi commentatori si basano su Gn 2:21,22 (“Con la costola che aveva tolta all’uomo, [Dio] formò una donna”) per sostenere l’inferiorità femminile. Niente di più falso. Tra l’altro, la traduzione “costola” – universalmente accettata – è errata. Si veda al riguardo il nostro studio Eva da una costola di Adamo? in questa stessa sezione. Le parole di Adamo: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne” (Gn 2:23), ben lungi dall’essere una dichiarazione di superiorità, celebrano l’unione con la donna in assoluta parità. Contrariamente alla prassi umana che impone alla donna di lasciare casa e affetti per seguire l’uomo, il pensiero di Dio era l’opposto: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie”. – Gn 2:24.

   Alcune sette religiose “cristiane” asseriscono che Eva fosse sola quando prese del frutto proibito. Ciò è falso. La Bibbia dice molto chiaramente: “[Eva] prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò” (Gn 3:6). La traduzione “ne diede poi anche a suo marito quando fu con lei” (TNM) è una mistificazione. La Scrittura dice:

 

וַתִּקַּח מִפִּרְיֹו וַתֹּאכַל וַתִּתֵּן גַּמ־לְאִישָׁהּ עִמָּהּ וַיֹּאכַל

vatiqàkh mipiryò vatochàl vatitèn gam-leyshàh imàh vaychàl

e mangiò e diede anche-a [marito] di lei con lei e mangiò

   Come si può notare, l’avverbio “quando” è del tutto assente dal testo originale ebraico, come pure il verbo “fu”; con la consueta scorrettezza, queste arbitrarie aggiunte fatte da TNM non vengono poste tra parentesi quadre.

   Con sguardo meravigliato, Eva contemplava la creazione di Dio: intorno a lei tutto era perfetto. Scopriva la natura nel suo splendore. Un matrimonio perfetto. La sua comunione con Dio le suscitava una felicità quotidiana. Possedeva tutto ciò che una donna potrebbe desiderare. Poi, un giorno … “’Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?’ La donna rispose al serpente: ‘Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete’. Il serpente disse alla donna: ‘No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male’”. – Gn 3:1-4.

   Fu toccata una corda della psicologia femminile. La donna aspira al meglio e sa trovare il possibile anche nell’impossibile. Perché precludersi una felicità maggiore? Non si rese conto che la sua piena felicità era dipesa fino ad allora solo da Dio e che solo con la fedeltà a Dio l’avrebbe mantenuta. Guardando, vedeva ora le cose diversamente. “La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza” (v. 6). Accadde in lei quello che accade ancora oggi in ogni essere umano: “Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato” (Gc 1:14,15). “Prese del frutto, ne mangiò”. – Gn 3:6.

   “La donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione” (Gc 1:14), “la donna fu completamente ingannata” (Ibidem, TNM). Il comando di Dio non fu citato con precisione dal maligno: non era vero che Dio avesse proibito di mangiare dei frutti di tutti gli alberi, ed Eva lo sapeva e lo disse. Questo modo di falsare la parola di Dio avrebbe dovuto metterla sull’avviso. Davvero, il maligno “quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna” (Gv 8:44). Eva aveva la piena capacità e possibilità di non cadere nella trappola. Eva avrebbe dovuto rifiutarsi di farsi ingannare da insinuazioni provenienti da un essere che stava mostrando di non saper neppure bene come stavano le cose.

   Si tratta solo storia passata di cui ancora paghiamo le conseguenze? Il fatto è che il maligno non ha cambiato tattica nel corso della storia. Mettendo a confronto le parole di Eva con gli ordini autentici di Dio e le parole del maligno scopriamo lo schema dell’inganno.

 

Parole di Dio (Gn 2:16,17)

Parole di Eva (Gn 3:2,3)

Parole del maligno (Gn 3:1,4,5)

“Mangia pure da ogni albero del giardino”

“Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare”

“Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?”

“Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare”

“Ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non ne mangiate e non lo toccate’”

“Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male”

“Nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai”

“’Altrimenti morirete’” “No, non morirete affatto”

 

   Si nota qui che anche Eva deforma un po’ le parole di Dio: lei aggiunge “non lo toccate”, mentre Dio aveva detto solo: “Non ne mangiare”. Inoltre, minimizza la punizione annunciata; lei riporta: “Morirete”, ma Dio aveva detto: “Certamente morirai”. Il maligno iniziava così ad avere successo: Eva si stava prestando alla discussione. Poteva quindi farsi più audace e accusare Dio di abusare del suo potere divino per limitare la felicità umana. Morire? Figurarsi! “No, non morirete affatto”. Anzi! “I vostri occhi si apriranno e sarete come Dio” (v. 5). Eva è condotta astutamente verso una presunta emancipazione e la sicura disobbedienza.

   Quando ebbe inizio il cedimento di Eva? La sua resistenza iniziò a cedere nel momento in cui accettava di discutere col maligno. Da lì all’andare avanti cogliendo il frutto divenuto così tanto attraente, il passo fu breve. “La donna osservò l’albero: i suoi frutti erano certo buoni da mangiare; era una delizia per gli occhi, era affascinante per avere quella conoscenza. Allora prese un frutto e ne mangiò”. – Gn 3:6, PdS.

   Il meccanismo psicologico lo conosciamo molto bene: lo subiamo spesso noi stessi. Cambia l’oggetto del desiderio, ma il processo mentale rimane invariato.  È il caso di esaminarlo bene nei suoi passaggi per esserne consapevoli ed evitarne la trappola.

   Mentre una vocina interiore ci dice senza parole che siamo su un terreno pericoloso, la mente intanto ragiona in fretta:

  1. Vantaggio. Potrebbe derivarne un beneficio. Per Eva si originò dal valutare che l’albero appariva delizioso e i suoi frutti squisiti. I sensi già ne pregustano il piacere. Siamo tentati.
  2.  Possibilità. Perché perdere un’occasione per sentirsi più appagati? Per Eva fu l’allentante prospettiva di ottenere la conoscenza che Dio aveva. Perché no? Per noi, nella situazione specifica che ci tenta, si aggiunge un altro incentivo: molti o tutti lo fanno, perché io non dovrei?

   Il desiderio autoalimentato ha così il sopravvento e si supera il limite. “In realtà ognuno è tentato dal proprio desiderio cattivo, che prima lo attira e poi lo prende in trappola. Questo desiderio fa nascere il peccato”. – Gc 1:1415, PdS.

   Eppure, basterebbe pensare al poi. Perché un poi ci sarà immancabilmente. Per Eva era sicuro e indubitabile: “Certamente morirai”. Per noi non sempre è questione di morte, anche se in fondo lo è. Rifiutando di considerare il poi, la mente vuol vedere solo l’immediato. Ma il poi verrà, eccome.

   Il progresso degenerativo del male è spesso senza controllo. Eva fu presa nella rete al punto da non poterne sfuggire. Mangiò il frutto e, in più, dopo essere stata sedotta, trascinò il marito nella seduzione. Mal comune, mezzo gaudio.

   Dopo la disobbedienza, Eva dovette realizzare, non senza una grande amarezza, fino a che punto era stata ingannata. Fino ad allora lei e suo marito erano stati a loro agio e stavano bene tra di loro. Improvvisamente, si trovarono a disagio.  La loro innocenza era sparita e trovavano un impedimento alle loro relazioni libere e chiare fino a quel momento. Presero coscienza della loro nudità, non solo l’uno di fronte all’altro, ma anche davanti a Dio. La loro purezza era scomparsa e la loro relazione intima con Dio interrotta. Al posto di essere simili a Dio, come aveva promesso loro il maligno, ebbero paura di Dio. “S’accorsero che erano nudi . . . e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio”. – Gn 3:7,8.

   Toccò a Dio prendere in mano quella situazione disastrosa. Dio prese l’iniziativa di andarli a cercare: “Dove sei?” (Gn 3:9). Con amore, li chiama e comincia facendo loro una domanda, ma senza accusarli. “Hai forse mangiato del frutto dell’albero, che ti avevo comandato di non mangiare?” (v. 11). Dà loro la possibilità di riconoscere il loro peccato, ma loro se la lasciarono sfuggire. Accampano scuse: l’uomo accusa la donna, la donna accusa il serpente; l’uomo è più meschino, accusando implicitamente Dio stesso e scaricando la colpa su Eva: “La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che mi ha dato del frutto” (v. 12). – Gn 3:9-13.

   Eva, il capolavoro della creazione di Dio, con la sua disobbedienza compromise non solo la propria felicità, ma anche quella di tutti gli esseri umani che sarebbero da lei discesi.

   E noi? Come affrontiamo oggi le tentazioni? Siamo coscienti che i nostri pensieri e le nostre considerazioni devono essere sempre in armonia con la parola di Dio? La Bibbia è l’autorità della nostra vita? La storia di Eva è fondamentale per conoscere la tattica del tentatore; non dimentichiamo perciò l’importanza di conoscere bene la Sacra Scrittura per apprendere e praticare la parola di Dio, tenendola sempre presente nelle nostre scelte.

Evodia (Εὐοδία, Euodìa, “frafrante”)

“Esorto Evodia ed esorto Sintìche a essere concordi nel Signore. Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita”. – Flp 4:2,3.  

   Evodia e Sintiche sono in disaccordo su qualcosa. Queste due donne avevano collaborato con Paolo. La frase paolina “insieme a me . . . e agli altri miei collaboratori” le inserisce nel gruppo dei suoi “collaboratori”. Il testo greco è più preciso, dicendo letteralmente: “Le quali nella buona notizia faticarono con me, con anche Clemente e i rimanenti collaboratori [συνεργῶν (sünergòn)] di me”. Il termine συνεργός (sünergòs), “compagno/collega”, Paolo lo usa per i suoi colleghi ministri. È interessante notare che Paolo non rimprovera le due donne per il loro dissenso, ma le esorta solo ad essere concordi; neppure le tratta come due donnette stupide che battibeccano su un argomento sciocco, come alcuni commentatori tentano di sostenere. Egli poi non risolve la controversia, ma esorta le due donne a raggiungere un accordo. Spesso, nelle controversie, si cerca qualcuno o ci si aspetta che qualcuno che ha responsabilità nella congregazione risolva la faccenda.Paul does not take this approach. Paolo non adotta questo approccio, ma semplicemente si affida a loro per la soluzione, chiedendo a un compagno fedele (se anziano, sorvegliante o diacono non è detto) di assisterle.