Madre – definizione (ebraico: אֵם, em; greco: μήτηρ, mèter)
In ebraico la parola em (אֵם) non è esattamente una parola onomatopeica ovvero una parola che riproduce il suono dell’oggetto richiamato, come – ad esempio – la parola baqbùq (בקבוק), “caraffa”, che imita il suono del liquido che scende. Tuttavia, em è una parola imitativa, uno dei primi suoni che il bambino emette, proprio come in italiano lo è “mamma”. Nell’ebraico moderno la parola per “mamma” è ìma (אמא).
L’appellativo “madre” era riservato alla madre naturale; così, se il padre era poligamo, i figli chiamavano “madre” la loro vera madre e non le altre mogli del padre. I figli usavano anche l’espressione “figli di mia madre” per riferirsi ai fratelli veri, distinguendoli dai fratellastri, come in Gdc 8:19: “Miei fratelli, figli di mia madre”. – Gn 43:29.
Essere madre era per le israelite una massima aspirazione e la piena realizzazione femminile di una donna. Dio aveva promesso che Israele sarebbe stata numerosa (Gn 18:18;22:18; Es 19:5,6), e ciò motivava anche le donne, oltre alla loro naturale propensione. Di conseguenza, una delle più grandi sventure che potessero capitare al una ebrea era di essere sterile. – Gn 30:1.
Le mamme ebree si prendevano molta cura dei figli, e ciò fa parte dell’indole di tutte le donne di tutti i tempi. Si scorge l’ansia materna colma di tenerezza dietro la vicenda di Iochebed, la mamma di Mosè (Es 6:20), che – per sottrarre il figlio dall’uccisione che il faraone egizio aveva ordinato di ogni neonato maschio ebreo (Es 1:15,16) – riuscì a fare il possibile nell’impossibile: salvarlo. “Era un bambino molto bello, e per tre mesi lo tenne nascosto. Ma poi, non potendo più tenerlo nascosto, prese un cesto di vimini, lo rese impermeabile con catrame e pece, vi mise dentro il bambino e lo pose tra le canne in riva al Nilo. Intanto la sorella del bambino stava ad una certa distanza per vedere cosa gli sarebbe accaduto”. – Es 2:2-4, PdS.
Non è solo simbolica l’espressione di Sl 8:2 che di Dio dice: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto una forza”. Oggi, nella società occidentale, ci stupiremmo di sentire un lattante che parla, ma ai tempi biblici le mamme allattavano per due, tre o più anni.
L’autorità materna era un fatto, e doveva essere sempre rispettata (cfr. Dt 21:18-21). Si pensi a Sara, moglie di Abraamo. Costui aveva avuto un figlio da Agar, la schiava egiziana di Sara (Gn 16:1-3). Ma quando Agar si era montata troppo la testa e suo figlio iniziava a molestare Isacco (Gn 21:8,9), il figlio di Sara e Abraamo (Gn 21:3), Sara fu categorica con il marito, “allora disse ad Abraamo: ‘Caccia via questa serva e suo figlio’” (Gn 21:10). “La cosa dispiacque moltissimo ad Abraamo a motivo di suo figlio” (Gn 21:11). Ora si noti il v. 12: “Ma Dio disse ad Abraamo: ‘Non addolorarti per il ragazzo, né per la tua serva; acconsenti a tutto quello che Sara ti dirà’”.
Si pensi al re Salomone, uno dei più grandi re d’Israele, “più saggio di ogni altro uomo”, la cui saggezza “superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza degli Egiziani” (1Re 4:30). Ebbene, quando sua madre Betsabea una volta entrò da lui, “il re si alzò per andarle incontro, le si inchinò, poi si risedette sul trono, e fece mettere un altro trono per sua madre”. – 1Re 2:2:19.
Si pensi allo stesso Yeshùa che rispettava la madre e il padre adottivo, e “stava loro sottomesso”. – Lc 2:51.
Ecco alcuni comandi biblici che riguardano il rispetto dovuto alla madre:
“Onora tuo padre e tua madre”. – Es 20:12; cfr. Dt 5:16.
“Chi percuote suo padre o sua madre deve essere messo a morte”. – Es 21:15.
“Chi maledice suo padre o sua madre dev’essere messo a morte”. – Es 21:17.
“Non disprezzare tua madre quando sarà vecchia”. – Pr 23:22.
“Maledetto chi disprezza suo padre o sua madre!”. – Dt 27:16.
La buona madre è lodata in Pr 31: “Si alza quando ancora è notte, distribuisce il cibo alla famiglia e il compito alle sue serve” (v. 15); “Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutta la sua famiglia è vestita di lana” (v. 21); “I suoi figli si alzano e la proclamano beata, e suo marito la loda” (v. 28). Lei è anche una donna accorta e sa il fatto suo: “Il cuore di suo marito confida in lei, ed egli non mancherà mai di provviste” (v. 11); “Lavora gioiosa con le proprie mani” (v. 13); “Posa gli occhi sopra un campo, e l’acquista” (v. 16); “Sente che il suo lavoro rende bene” (v. 18); “Suo marito è rispettato alle porte della città” (v. 23); “Forza e dignità sono il suo manto, e lei non teme l’avvenire” (v. 25); “Sorveglia l’andamento della sua casa” (v. 27). Tutta questa saggezza l’ha di suo in quanto donna, e la può insegnare anche ad un re: tutte le massime riportate sopra sono sì “parole del re Lemuel”, ma sono “massime che sua madre gli insegnò”. – Pr 31:1.
Paolo prende a prestito la cura e la tenerezza materna di una nutrice per indicare i sentimenti e l’atteggiamento verso i discepoli di Yeshùa: “Come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini” (1Ts 2:7). Il testo biblico è più evocativo: ὡς ἐὰν τροφὸς θάλπῃ τὰ ἑαυτῆς τέκνα (os eàn trofòs thàlte ta eautès tèkna), “come se una nutrice riscaldasse i suoi figli”.
L’uso figurativo della parola “madre” è usato anche da Debora, che di sé meritatamente dice: “I capi mancavano in Israele; mancavano, finché non venni io, Debora, finché non venni io, come una madre in Israele”. – Gdc 5:7.
Un altro uso figurativo di “madre” è quello che paragona la figura materna alla madre-terra (Gn 2:7). Giobbe dice: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra”. – Gb 1:21.
La città santa, Gerusalemme, è paragonata ad una madre i cui figli sono i gerosolimitani: “La Gerusalemme di lassù è libera, ed è nostra madre” (Gal 4:26). – Ez 23:4.
Come una madre indegna, “Babilonia la grande”, “la grande città che domina sui re della terra” (Ap 17:18), è “la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra”. – Ap 17:5.
La parola ebraica “madre” (אֵם, em) può assumere anche il significato di “nonna”, come spiegato alla voce Nonna – definizione.
Madre che tiene in braccio il suo bimbo (אִמֹּו, imò, “madre di lui”)
“Come un bimbo divezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l’anima mia”. – Sl 131:2.
Il libro biblico dei Salmi, scritto in versi, è il libro di preghiere degli ebrei, preghiere che scandiscono la vita quotidiana del credente. Il Sl 131 è una preghiera di fiducia in Dio. Molto bella e tenera l’immagine del credente che si sente fiducioso in Dio proprio come un bimbo lo è tra le braccia della madre. Notevole questa immagine femminile di Dio paragonato ad una mamma.
“Signore, il mio cuore non ha pretese,
non è superbo il mio sguardo,
non desidero cose grandi
superiori alle mie forze:
io resto tranquillo e sereno.
Come un bimbo in braccio a sua madre
È quieto il mio cuore dentro di me.
Israele, confida nel Signore
Da ora e per sempre!”.
– Sl 131, PdS.
Madre dei figli di Zebedeo (μήτηρ, mèter, “madre”)
“La madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi per fargli una richiesta. Ed egli le domandò: ‘Che vuoi?’ Ella gli disse: ‘Di’ che questi miei due figli siedano l’uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno’. Gesù rispose: ‘Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per bere?’ Essi gli dissero: ‘Sì, lo possiamo’. Egli disse loro: ‘’Voi certo berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre mio’”. – Mt 20:20-23.
Questa madre si avvicinò a Yeshùa con una richiesta. Come anche qui appare, Yeshùa trattava le donne in modo paritario, tanto che a questa donna era permesso un tale approccio. La risposta molto confidenziale di Yeshùa (“Che vuoi?”) si spiega con il grado di parentela che aveva con lei. Suo marito Zebedeo era il padre di Giacomo e Giovanni, apostoli di Yeshùa (Mt 4:21,22;10:2;26:37; Mr 3:17;10:35; Lc 5:10; Gv 21:2), per i quali lei fa la richiesta. Il nome di questa donna era Salome ed era sorella di Miryàm madre di Yeshùa. Ciò lo deduciamo incrociando alcuni passi biblici. In Gv 19:25 è detto che “presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre”. Di questa donna, detta sorella della madre di Yeshùa (ovvero zia di Yeshùa), in Mr 15:40 abbiamo l’identità: “Tra di loro vi erano anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Iose, e Salome”. Da Mt 27:56 otteniamo su di lei altre informazioni: “Tra di loro erano Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo”. Da questi dati incrociati risulta che la sorella di Miryàm madre di Yeshùa si chiamava Salome ed era la madre dei figli di Zebedeo, ovvero di Giacomo e di Giovanni (Mt 4:21). Da tutto ciò risulta che Giacomo e Giovanni erano cugini di Yeshùa. Questa parentela spiega bene l’amore di Yeshùa per Giovanni, “il discepolo che egli amava”. – Gv 19:26.
Data questa parentela, si comprende bene la richiesta dei due fratelli al loro cugino Yeshùa: “Concedici di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria” (Mr 10:37). E si comprende anche l’intervento della zia di Yeshùa presso il nipote a favore dei suoi due figli e cugini di Yeshùa (Mt 20:20). Si comprende pure la risposta confidenziale di Yeshùa alla zia: “Che vuoi?” (v. 21). E infine si comprende l’affidamento, da parte di Yeshùa, di sua madre a Giovanni: era suo cugino, e lei sua zia. – Gv 19:26,27; si veda anche la voce in elenco Sorella di maria madre di Gesù.
Spesso in questa storia si è vista una richiesta fuori luogo, una richiesta che avrebbe a che fare con la tracotanza e l’arroganza. Yeshùa, però, non riprese questa madre. Invece, domanda se i due possono bere il calice che lui stava per bere. Loro risposero che potevano farlo. Al che Yeshùa, confermando che lo avrebbero fatto, spiega che solo il Padre può decidere della loro posizione nel Regno. Neppure in ciò Yeshùa rettifica né tantomeno rimprovera questa madre per la sua richiesta. In verità, la fede di questa donna era così forte che poi seguì Yeshùa anche al Golgota: “C’erano là molte donne che guardavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo; tra di loro erano Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo”. – Mt 27:55,56.
Madre di Chiram (אִשָּׁה אַלְמָנָה, ishàh almanàh, “donna vedova”)
“Il re Salomone fece venire da Tiro Chiram, figlio di una vedova della tribù di Neftali; suo padre era di Tiro. Egli lavorava il bronzo, era pieno di saggezza, d’intelletto e di abilità per eseguire qualunque lavoro in bronzo”. – 1Re 7:13,14.
Si noti che questo Chiram, esperto artigiano, viene identificato dal fatto che era figlio di una certa “vedova della tribù di Neftali”. Questa donna viene detta in 2Cron 2:13,14 “della tribù di Dan”. Probabilmente lei era neftalita di nascita, ma poi sposata con un danita. Dato che il padre di Chiram “era di Tiro” (in Libano), evidentemente era rimasta vedova del danita, primo marito, e si era risposata con un libanese. Quanto poi alla denominazione “Curam-Abi”, presente in 2Cron 2:13 (nel Testo Masoretico è al v. 12), riferita al figlio di questa vedova, ciò va spiegato. “Curam-Abi” (חוּרָם אָבִי, Khuràm avìy) significa letteralmente “Chiram mio padre”. Chi lo chiama così è il re di Tiro (2Cron 2:11-13). L’epiteto “padre” è qui un titolo onorifico (cfr. 2Re 6:21). Ciò è confermato da 2Cron 4:16, in cui Chiram è detto letteralmente “Chiram suo padre” (חוּרָם אָבִיו, Khùram avìyv), riferito questa volta al re Salomone.
Madre di Gionatan (אִמֶּֽךָ, imècha, “tua madre”)
“L’ira di Saul si accese contro Gionatan, e gli disse: ‘Figlio perverso e ribelle, non so io forse che tu prendi le difese del figlio d’Isai, a tua vergogna e a vergogna di tua madre?’”. – 1Sam 20:30.
Questa donna potrebbe essere Ainoam (1Sam 14:49,50), tuttavia la madre di Gionatan non è specificamente identificata. Molte madri e molti padri s’identificano con le dichiarazioni di Saul: quando un bambino provoca problemi diventa all’improvviso figlio solo dell’altro genitore.
Madre di Iefte (אִשָּׁה זֹונָה, ishàh zonàh; “donna prostituta”)
“Iefte, il Galaadita, era un uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta, e aveva Galaad per padre”. – Gdc 11:1.
La Bibbia ci dice poco su questa donna, anche se possiamo immaginare, sulla base degli eventi nella storia di Iefte, che la sua vita non fu facile. I fratellastri di Iefte (figli legittimi della moglie di Galaad) lo cacciarono da casa per questioni economiche insultandolo perché era figlio di un’altra donna (Gdc 11:2,3). Ciò ci fa pensare che anche sua madre non era stata ben accolta in quella famiglia allargata.
Madre di Mica (אִמֹּו, imò, “sua madre”)
“C’era un uomo nella regione montuosa di Efraim che si chiamava Mica. Egli disse a sua madre: ‘I millecento sicli d’argento che ti hanno rubato e a proposito dei quali hai pronunciato una maledizione, e l’hai pronunciata in mia presenza, ecco, li ho io; quel denaro l’avevo preso io’. Sua madre disse: ‘Il Signore ti benedica, figlio mio!’ Egli restituì a sua madre i millecento sicli d’argento, e sua madre disse: ‘Io consacro al Signore, di mano mia, quest’argento a favore di mio figlio, per farne un’immagine scolpita e un’immagine di metallo fuso; e ora te lo rendo’. Quando egli ebbe restituito l’argento a sua madre, questa prese duecento sicli e li diede al fonditore, il quale ne fece un’immagine scolpita, di metallo fuso, che fu messa in casa di Mica. Così quest’uomo, Mica, ebbe una casa per gli idoli; fece un efod e degli idoli domestici e consacrò uno dei suoi figli, che teneva come sacerdote. In quel tempo non vi era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio”. – Gdc 17:1-6.
Prima di esaminare questa storia, prendiamo in considerazione “i millecento sicli d’argento”. Un siclo corrispondeva grosso modo a 11 grammi. Il peso totale era quindi poco più di 12 kg. Il siclo era un’unità di misura che aveva anche valore monetario. Il peso in sicli, quando veniva speso come denaro, era controllato al momento della transazione (Gn 23:15,16; Gs 7:21). Tuttora, nello stato d’Israele, la moneta corrente è lo shèqel (שקל), il cui plurale è שקלים (shqalìm); questa parola deriva da מִשְׁקַל (mishqàl), che significa “peso”. “Siclo” non è altro che l’italianizzazione di shèqel (שקל). Nella Bibbia il siclo è spesso menzionato in rapporto all’argento o all’oro (1Cron 21:25; Nee 5:15). Tornando ai “millecento sicli d’argento”, questa è la stessa quantità che troviamo in Gdc 16:5, che i filistei si offrono di pagare a Dalila per scoprire i segreti di Sansone. Questa coincidenza ci fa sospettare un collegamento tra le due donne.
Mentre la loro storia è stata scioccamente utilizzata per sostenere la tendenza delle donne verso le false dottrine, crediamo che il messaggio sia un altro. La madre di Mica non ha intenzione di disubbidire a Dio: si vede qui esattamente l’opposto. Lei credeva che creando un idolo si sarebbe servito Dio. L’autore di Eb spiega che “se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati” (Eb 10:26); come dire che senza conoscenza non può essere attribuito il peccato (cfr. (2Pt 2:21). “Il peccato non è imputato quando non c’è legge” (Rm 5:13). Nel passo che stiamo considerando è detto chiaramente che “in quel tempo non vi era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio” (cfr. Pr 14:12;16:2;21:2). Durante il periodo di tempo tra i Giudici e la monarchia, Israele subì una tale mancanza di conoscenza. Apprendiamo dai versi successivi che anche gli altri israeliti ritenevano che quell’idolo fosse divino.
Oggi raramente si creano idoli reali (eccezion fatta per tutti quelli che riempiono le chiese cattoliche sotto forma di statue e icone), ma si fanno idoli delle cose della vita. Troppo spesso si crede di servire il Signore, quando in realtà si è solo creato un idolo che offende Dio.
Madre di Rufo (μητέρα αὐτοῦ, metèra autù, “madre di lui”)
“Salutate Rufo, l’eletto nel Signore e sua madre, che è anche mia”. – Rm 16:13.
Il fatto che Paolo definisca questa donna sua madre nella fede, indica che lei era una credente. Paolo non la dimentica nei suoi saluti.
Madre di Sansone: vedere Moglie di Manoà
Madre di Sisera (אֵם, em, “madre”)
“La madre di Sisera guarda dalla finestra e grida attraverso l’inferriata: Perché il suo carro tarda ad arrivare? Perché sono così lente le ruote dei suoi carri?”. – Gdc 5:28.
Questo breve passaggio rivela una sorprendente compassione per un nemico di Israele. La guerra fa altre vittime oltre a quelle del campo di battaglia, e la madre di Sisera fu una vittima di questo tipo. Guardando fuori dalla finestra, spera di scorgere suo figlio Sisera, comandante dell’esercito cananeo, che rientra. Lei, come molte madri, attende invano il figlio, sperando che torni presto. Perdere un figlio, non importa la sua età, è il più grande dolore che possa capitare ad una donna. L’unica vera consolazione è in Dio. Nessuna donna credente lancia mai invano lo sguardo oltre quella finestra da sola.
Al tempo stesso, però, la storia prende in giro la madre di Sisera. La scena descritta non fa parte di una narrazione storica, ma del canto di vittoria di Debora (si veda Debora). La scena, molto realistica, è immaginata da Debora che canta la sua vittoria. Sisera, l’odiato e detestabile nemico di Israele è stato ucciso, e lei sarcasticamente immagina sua madre che l’attende. Tuttavia, la scena tradisce un momento di compassione da donna a donna. Si sente tutta l’apprensione di una madre in quelle parole messe in bocca da Debora alla madre di Sisera: “Perché il suo carro tarda ad arrivare? Perché i suoi cavalli son così lenti a tornare?” (PdS). Tardare ad arrivare… sono parole che evocano il più terribile dei presentimenti che una madre può avere.
Eppure, mentre lei guarda dalla finestra, aspettando con ansia che l’eroe ritorni annunciando la morte degli altri, dei suoi nemici, suo figlio è morto. Vittima di una di quelle donne che sono al di là del fronte.
Madre di Timoteo: vedere Eunice.