In Eb 3:18 è detto che Dio “giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo”, e ciò è riferito a “quelli che furono disubbidienti” ovvero agli ebrei inadempienti nel deserto, che “non vi poterono entrare a causa della loro incredulità” (v. 19). La promessa di Dio di far entrare il suo popolo nel suo riposo, dice ora l’omileta, è però ancora valida:
“1 Stiamo dunque attenti: la promessa di entrare nel suo riposo è ancora valida e nessuno di voi deve pensare di esserne escluso. 2 Poiché a noi come a loro è stata annunciata una buona notizia; a loro però la parola della predicazione non giovò a nulla non essendo stata assimilata per fede da quelli che l’avevano ascoltata. 3 Noi che abbiamo creduto, infatti, entriamo in quel riposo, come Dio ha detto: «Così giurai nella mia ira: ‘Non entreranno nel mio riposo!’» E così disse, benché le sue opere fossero terminate fin dalla creazione del mondo. 4 Infatti, in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, è detto così: «Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere»; 5 e di nuovo nel medesimo passo: «Non entreranno nel mio riposo!» 6 Poiché risulta che alcuni devono entrarci, e quelli ai quali la buona notizia fu prima annunciata non vi entrarono a motivo della loro disubbidienza, 7 Dio stabilisce di nuovo un giorno – oggi – dicendo per mezzo di Davide, dopo tanto tempo, come si è detto prima: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!» 8 Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d’un altro giorno. 9 Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio; 10 infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue. 11 Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza”. – Eb 4:1-11.
Lo scrittore di Eb coinvolge nella sua riflessione i suoi uditori: “Stiamo dunque attenti” (v. 1). Egli non è un pessimista rassegnato, tutt’altro. Mentre afferma indirettamente che chi si ribella a Dio non ha possibilità di scampo, mostra che per Dio la fede del suo popolo si attira la sua promessa. Dio esige fedeltà ma lui stesso è fedele. Occorre quindi avere fiducia ed essere responsabili, mostrando fede. Lo scrittore di Eb dice che sia quegli antichi ebrei nel deserto che i credenti attuali sono εὐηγγελισμένοι (euenghelismènoi), “stati annunziati di buona notizia”, espressione che evoca tutta la bellezza incomparabile del lieto annuncio, della bella/buona notizia di Dio.
La traduzione “stiamo dunque attenti” (v. 1) è debole, meglio qui TNM: “Temiamo”, perché il verbo greco è φοβηθῶμεν (fobethòmen), derivato da φόβος (fòbos), il cui significato è facilmente intuibile anche per chi non conosce il greco; il senso del verbo è “temere” / “aver paura” / “avere timore riverenziale”. Il v. 1, tradotto letteralmente, suona: “Temiamo dunque che, essente rimanente [la] promessa di entrare in il riposo di lui, sembri qualcuno di voi esser[ne] stato privato”. Ognuno, quindi, deve non semplicemente preoccuparsi ma addirittura temere che qualcuno possa rimanere indietro. Il peregrinare umano, faticoso e a volte angoscioso, trova sollievo nel riposo di Dio, nel sabato eterno.
Al v. 2 si dice che la fede è la chiave di tutto. La lieta novella contenuta nella promessa divina era anche per gli antichi ebrei, ma quelli non se ne giovarono per mancanza di fede. Ciò che conta presso Dio è la certezza della fede.
Coloro che credono entrano nel riposo divino (v. 3). Il riposo cui si allude è chiaramente sabatico, perché l’autore fa poi riferimento (v. 4) al settimo giorno della creazione (Gn 2:2). Portata a termine la sua creazione, Dio aveva preparato un riposo eterno per sé e per Israele, ma gli israeliti non poterono entrarvi per la loro disubbidienza. L’offerta di Dio rimane però valida fino al presente, e il nuovo popolo di Dio può ottenerne il godimento. Sebbene il riferimento sia al presente, investe il futuro: “Risulta che alcuni devono entrarci” (v. 6). Il riposo sabatico è ancora da godere.
Che Gn 2:2 abbia una validità permanente, Eb lo dimostra citando Sl 95:11.
Gn 2:2,3 TNM |
“Il settimo giorno Dio portò a compimento l’opera che aveva fatto, e si riposava* il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benediceva il settimo giorno e lo rendeva sacro, perché in esso si è andato riposando** da tutta la sua opera che Dio ha creato allo scopo di fare”. |
Sl 95:11 |
“Giurai nella mia ira: «Non entreranno nel mio riposo!»”. |
* וַיִּשְׁבֹּת (vaiyishbòt), “e si riposava”; all’imperfetto, indica un’azione incompleta o continua, in corso. ** שָׁבַת (shavàt), tempo perfetto; κατέπαυσεν (katèpausen, LXX ed Eb 4:2), indicativo aoristo, “iniziò a riposarsi”. |
Giacché in Sl 95:11 è detto al futuro che “non entreranno” nel riposo divino, e siccome Eb 4:4 collega questo fatto a Gn 2:3, ne deriva la continuità del riposo sabatico; Eb 4:6, infatti, conferma che “risulta che alcuni devono entrarci”.
Da Sl 95:11 si ha la certezza che molti ebrei persero la possibilità di entrare nel riposo di Dio; tuttavia vi si parla della generazione che per quarant’anni disgustò Dio (95:10). La promessa divina rimane però valida per altri che potrebbero entravi, perché:
“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano
senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
affinché dia seme al seminatore
e pane da mangiare,
così è della mia parola, uscita dalla mia bocca:
essa non torna a me a vuoto,
senza aver compiuto ciò che io voglio
e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”. – Is 55:10,11.
Quindi “Dio stabilisce di nuovo un giorno – oggi” (Eb 4:7). E qui Eb fa un’altra citazione biblica per confermare la verità appena esposta, citazione che introduce con le parole “dicendo per mezzo di Davide” (Ibidem). Si tratta di Sl 95:8, che Eb attribuisce a Davide secondo la convinzione del tempo: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto”. Con ciò si ribadisce che la promessa di Dio è permanente.
Sempre sulla stessa linea, atta a dimostrare che il riposo promesso da Dio è sempre attuale, Eb passa poi a far notare che “se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d’un altro giorno” (4:8). A questo punto è estremamente chiara e lampante la fermezza e la solidità della promessa di Dio: “Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio”. – Eb 4:9.
Si noti anche che è detto chiaramente che Ἰησοῦς (Iesùs), nome greco di Giosuè (ebraico יְהֹושֻׁעַ, Yehoshùa), non introdusse gli ebrei nel riposo di Dio, il che fa tramontare definitivamente l’ipotesi di certi esegeti che vedono nel “riposo” la Terra Promessa. Giosuè condusse gli ebrei in Palestina, ma non nel riposo sabatico.
Si noti altresì che in Eb 4:9 è detto che il “riposo sabatico” che rimane è “per il popolo di Dio”. Tutta Israele ne è interessata, giudei e pagani, che fanno parte della nuova Israele, popolo di Dio.
Eb spiega ora che “chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue” (4:10). Che cosa vuol dire? Nel caso di Dio la risposta non è difficile: dopo aver creato tutto, Dio completò la sua creazione creando il sabato, e tale creazione fu fatta non creando ma riposando. Giacché Eb dice “come”, introducendo il paragone con il riposo divino, per l’essere umano si tratta similmente di desistere dalle opere, “dalle opere proprie”. Ma quali sono queste opere? Non certo quelle di Dio. Si tratta di opere umane.
In 1Pt 4:1 troviamo un importante concetto che ci aiuta a comprendere in cosa consiste l’entrare “nel riposo di Dio” e riposarsi “dalle opere proprie”, concetto che è oscurato dalle non buone traduzioni, come ad esempio: “Cristo ha sofferto nella carne … colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato” (NR), “Cristo soffrì nella carne … chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato” (CEI); “Cristo soffrì nella carne … la persona che ha sofferto nella carne ha desistito dai peccati” (TNM). Il testo originale greco dice esattamente:
ὁ παθὼν σαρκὶ πέπαυται ἁμαρτίαις
o pathòn sarkì pèpautai amartìais
l’avente sofferto in carne ha fatto cessare dal peccato
Il verbo παύω (pàuo), qui usato, assomiglia molto al verbo καταπαύω (katapàuo) usato dalla LXX in Gn 2:3 in riferimento al riposo di Dio, che è composto da κατά (katà; = completamente) + παύω (pàuo; = far cessare). Lo stesso verbo ebraico שָׁבַת (shavàt) significa sia riposare (Gn 2:2) sia cessare (Gn 8:22). La stessa parola “sabato” in realtà significa “cessazione” (cessazione dal lavoro, quindi riposo). Nel passo di 1Pt 4:1 è detto quindi che Yeshùa ha dato riposo dal peccato. Questo è il motivo per cui Epifanio di Salamina (vescovo e scrittore palestinese del 4° secolo) afferma che i primi credenti giudei di Yeshùa lo predicavano come grande sabato (Panarion adversus omnes haereses, 30,32,7,7). Yeshùa dà riposo già da ora, riposo che sarà perfetto e completo nel mondo a venire. Sono sue queste parole: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo [ἀναπαύσω (anapàuso); verbo composto da ἀνά (anà, = in mezzo, fra) + παύω (pàuo; = far cessare)]”. – Mt 11:28.
“Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza”. – Eb 4:11.
“La parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto. Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere soccorsi al momento opportuno”. – Eb 4:12-15.
La parola di Dio, ὁ λόγος τοῦ θεοῦ (ò lògos tù theù; “la parola del Dio”), è inesorabilmente affilata. La parola di Dio è descritta nel Tanàch mirabilmente:
“L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre”. – Is 40:8.
Il profeta, che è bocca di Dio, attesta: “Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente”. – Is 49:2.
“«La mia parola non è forse come un fuoco», dice il Signore, «e come un martello che spezza il sasso? »”. – Ger 23:29.
“Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame … per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”. – Dt 8:3.
La parola di Dio è talmente affilata e penetrante che entra nei recessi della carnalità e della mente; l’immagine anatomica della separazione delle articolazioni dal midollo sta ad indicare come Dio riesca a penetrare anche in ciò che è strettamente legato assieme; essa scopre ciò che c’è di più intimo e segreto.
“La parola del Dio” (ὁ λόγος τοῦ θεοῦ, ò lògos tù theù) ha portato all’esistenza l’essere umano, lo istruisce, lo guida, lo riconduce continuamente alla sua condizione di creatura. Nulla sfugge allo sguardo attento di Dio: “Tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi” suoi.
“Davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto”.