Eb 12:1 Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, 2a fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta.

   Nel cap 11 di Eb era stato evidenziato che i testimoni della fede dovettero attendere l’adempimento della promessa di Dio. “Anche noi, dunque” dobbiamo essere perseveranti. Come si potrebbe rimane indifferenti e inattivi essendo “circondati da una così grande schiera di testimoni”? La sollecitazione di Eb è resa più vigorosa dall’immagine della corsa in una gara. In 1Cor 9:24 anche Paolo usa la stessa immagine sportiva, incitando a correre in modo da conseguire il premio. E in Flp 3:14 dice di sé: “Corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù”. “Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile”. – 1Cor 9:25.

   La scena evocata da Eb è ancor più coinvolgente perché il credente non corre da solo: si trova in mezzo a una “grande schiera di testimoni” che lo attorniano e lo trascinano. Per correre bene occorre anche aver deposto “ogni peso”, perché sarebbe d’impaccio nella corsa e farebbe solo sprecare inutilmente le forse.

   Fuori dalla metafora, il riferimento diretto è al peccato, definito εὐπερίστατον (euperìstaton). Questo aggettivo è formato dal prefisso εὐ (eu) che indica una sensazione di benessere, di star bene; contiene poi la preposizione περί (perì), “attorno”; infine si ha una forma derivata dal verbo ἵστημι (ìstemi), “causare / fare stare”. Il senso finale è, alla lettera, “procurante una sensazione piacevole che circonda”. Si tratta di qualcosa “che facilmente ci avvince” (TNM) perché il peccato è seducente, ci intriga. Ma poi chiederà il conto, e “il salario del peccato è la morte”. – Rm 6:23.

   Non si stacchi però l’esortazione del v. 1 da quanto detto al v. 2. Per essere perseveranti occorre sì impegno personale, ma “fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta”. Nella prima parte del v. 2 prosegue la metafora della corsa: come il corridore tiene lo sguardo fisso al traguardo cui tende, così deve fare il credente, ma … qui non solo il traguardo è Cristo. Egli è anche l’iniziatore e il perfezionatore della fede. È Yeshùa che rende “saldi sino alla fine” (1Cor 1:8). Yeshùa è “la via, la verità e la vita” e ‘nessuno va al Padre se non per mezzo di lui’ (Gv 14:6). Dio rese perfetto, per via di sofferenze, l’autore [ἀρχηγὸν (archegòn)] della salvezza. Ciò che è tradotto da NR “colui che crea la fede” (v. 2) è nel testo greco τῆς πίστεως ἀρχηγὸν (tès pìsteos archegòn), “della fede autore”.

Eb 12:2b Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. 3 Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo.

   Qui l’autore (ἀρχηγός, archegòs) della fede, Yeshùa, ne diviene egli stesso esempio luminoso. Il testo originale dice che Yeshùa ὑπέμεινεν σταυρὸν (ypèmeinen stauròs), “si sottopose alla croce”. Dietro questo suo sottoporsi all’estrema prova non ci fu solo l’atroce sofferenza fisica e tutta la vergogna subita, ma anche l’abbandono e il silenzio di Dio. Yeshùa fu lasciato completamente solo, gridando a gran voce, invano e senza risposta: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27:46). “Il Signore ha voluto stroncarlo con i patimenti” (Is 53:10). Perfino “tutti i discepoli l’abbandonarono e fuggirono”. – Mt 26:56.

   Di fronte a tanta atroce sofferenza – fisica, psicologica e morale – si prova finanche vergogna nell’udire le parole di Eb 12:4: “Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”.

   Abbandonate le suggestive metafore delle corse, della gara, del traguardo e del premio, il tono diventa grave e paterno insieme:

Eb 12:5 Avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli:

«Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore [Pr 3:11],

e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso;

6 perché il Signore corregge quelli che egli ama,

e punisce tutti coloro che riconosce come figli» [Pr 3:12].

7 Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga?

   Mantenendosi sul paterno il tono riprende poi tratti severi:

Eb 12:8 Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli. 9 Inoltre abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo forse molto di più al Padre degli spiriti per avere la vita? 10 Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. 11 È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa. 12 Perciò, rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti [Is 35:3]; 13 fate sentieri diritti per i vostri passi [Pr 4:26], affinché quel che è zoppo non esca fuori di strada, ma piuttosto guarisca. 14 Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore; 15 vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati.

   L’autore ispirato cita poi il comportamento di Esaù, che aveva il diritto naturale alla primogenitura, per mostrare che una santificazione insufficiente fa perdere tale diritto:

Eb 12:16 che nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. 17 Infatti sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto, sebbene la richiedesse con lacrime, perché non ci fu ravvedimento.

   Il predicatore si rivolge al suo uditorio dicendo: “Sapete” (v. 17), facendo così riferimento alla tradizione ebraica che ben conoscevano. Esaù, primogenito di Isacco, fu una persona che crollò per il proprio egoismo e la sua propria cupidigia, tanto che rinunciò alla primogenitura. Esaù è anche esempio negativo del pentimento tardivo, quando è troppo tardi: “Quando volle ereditare la benedizione, fu respinto, sebbene la richiedesse con lacrime” (v. 17). Si noti la motivazione del respingimento: “Perché non ci fu ravvedimento” (Ibidem). Le persone possono equivocare e scambiare le lacrime per sincero pentimento, ma non Dio che guarda nell’intimo.

   A sorpresa, l’omileta cambia tema, presentandone uno nuovo, con il quale si chiude il cap. 12, il penultimo dell’omelia:

Eb 12:18 Voi non vi siete avvicinati al monte che si poteva toccare con mano, e che era avvolto nel fuoco, né all’oscurità, né alle tenebre, né alla tempesta, 19 né allo squillo di tromba, né al suono di parole, tale che quanti l’udirono supplicarono che più non fosse loro rivolta altra parola; 20 perché non potevano sopportare quest’ordine: «Se anche una bestia tocca il monte sia lapidata» [Es 19:13]. 21 Tanto spaventevole era lo spettacolo, che Mosè disse: «Sono spaventato e tremo». 22 Voi vi siete invece avvicinati al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche, 23 all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti, 24 a Gesù, il mediatore del nuovo patto e al sangue dell’aspersione che parla meglio del sangue d’Abele. 25 Badate di non rifiutarvi d’ascoltare colui che parla; perché se non scamparono quelli, quando rifiutarono d’ascoltare colui che promulgava oracoli sulla terra, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a colui che parla dal cielo; 26 la cui voce scosse allora la terra e che adesso ha fatto questa promessa: «Ancora una volta farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo» [Ag 2:6]. 27 Or questo «ancora una volta» sta a indicare la rimozione delle cose scosse come di cose fatte perché sussistano quelle che non sono scosse. 28 Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore! 29 Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante [Dt 4:24].

   Viene evocato il terribile spettacolo del monte Sinày, di fronte al quale lo stesso Mosè tremava spaventato. L’illustrazione è in crescendo, giungendo alla più sconvolgente futura rivelazione sul monte Sion celeste.

   Una certa attenzione è richiesta dai vv. 22b e 23. Vediamone intanto alcune traduzioni:

 

Eb 12:22,23

*

22 Invece si siete avvicinati … μυριάσιν ἀγγέλων πανηγύρει 23 καὶ ἐκκλησίᾳ πρωτοτόκων ἀπογεγραμμένων ἐν οὐρανοῖς … καὶ πνεύμασι δικαίων τετελειωμένων
22 Invece si siete avvicinati … myriàsin anghèlon panegýrei 23 kài ekklesìa prototòkon apoghegrammènon en uranòiskài pnèumasi dikàion teteleiomènon
22 Invece si siete avvicinati … a miriadi di angeli a riunione solenne 23 e a assemblea di primogeniti iscritti in cieli … e a spiriti di giusti perfetti

NR

22 Voi vi siete invece avvicinati … alla festante riunione delle miriadi angeliche, 23 all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli … agli spiriti dei giusti resi perfetti

TNM

22 Vi siete accostati … a miriadi di angeli, 23 in generale assemblea, e alla congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli … e alle vite spirituali dei giusti che sono stati resi perfetti

ND

22 Voi vi siete accostati … a miriadi di angeli, 23 all’assemblea universale e alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli … agli spiriti dei giusti resi perfetti

CEI

22 Voi vi siete invece accostati … a miriadi di angeli, all’adunanza festosa 23 e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli … e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione

* Testo originale greco con traduzione letterale

 

   A differenza di quanto sostenuto da numerosi esegeti, ci sembra che l’elenco di Eb 12:22-24 sia ben strutturato in uno schema ben preciso. Si noti infatti che l’elenco – introdotto da: “Voi vi siete invece avvicinati a” – è composto da cinque enunciazioni a due membri ciascuna. Vediamo tutta la sezione nella traduzione letterale dal testo greco originale:

1)       “A Sion monte e a città di Dio vivente”;

2)       “A Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli”;

3)       “A riunione solenne e ad assemblea di primogeniti iscritti in cieli”;

4)       “A giudice Dio di tutti e a spiriti di giusti perfetti”;

5)       “Dell’alleanza nuova a mediatore e a sangue d’aspersione”.

   I due membri di ciascuno dei cinque binomi sono collegati dalla congiunzione καὶ (kài), “e”. Nello schema c’è anche un ordine, che è in crescendo. Dal luogo (monte Sion e città di Dio) si passa alla qualificazione del luogo (Gerusalemme celeste e miriadi di angeli), poi alla modalità (riunione solenne e assemblea dei primogeniti, il Giudice e gli spiriti dei giusti), per chiudere infine con la garanzia (Yeshùa e il suo sangue).

   Il monte Sion è biblicamente visto come la residenza di Dio (cfr. Sl 110:2), il Dio d’Israele “abita sul monte Sion” (Is 8:18); è sul monte Sion celeste che sta l’Agnello Yeshùa con i 144.000 (Ap 14:1); “Da Sion, infatti, uscirà la legge”. – Is 2:3.

   Gerusalemme e Sion sono pressoché sinonimi (Sl 51:18;102:21;128:5;135:21;147:12). Il popolo di Dio si trova così nella stessa città di Dio, su un’altura inespugnabile e ben difesa.

   Il secondo binomio mostra che il luogo di Dio è pieno di vita, popolato da miriadi di angeli. “La santa città, Gerusalemme … non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua lampada. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. Di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più); e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni”. – Ap 21:10-26, passim.

   La terza coppia vede abbinate la riunione solenne (πανήγυρις, panèghyris) ovvero la riunione pubblica festiva per celebrare una solennità, con l’assemblea dei primogeniti iscritti in cieli. L’attenzione si sposta così sul popolo di Dio. È in questo binomio che gli esegeti trovano difficoltà, perché non sanno bene come separare la frase relativa ai primogeniti. Si prenda, ad esempio TNM: “Vi siete accostati … a miriadi di angeli, in generale assemblea, e alla congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli” (vv. 22,23). In questa traduzione viene ignorato del tutto lo schema fatto a coppie e il dativo πανηγύρει (paneghýrei), “a riunione solenne”, retto dall’iniziale “vi siete accostati”, viene scambiato per complemento di modo, salvo poi spiegare nella nota in calce: “Lett. ‘a tutta l’assemblea’”. Il problema che si presenta all’esegeta è: il termine πανηγύρει (paneghýrei), “a riunione solenne”, fa parte dell’espressione successiva (“e all’assemblea di primogeniti”) oppure è a sé stante o addirittura solo un’indicazione modale come intende TNM? Come abbiamo mostrato, a noi sembra che faccia parte del terzo accoppiamento dello schema. Ora la domanda successiva è: Che cosa indica il termine “riunione solenne”? Si noti che è in coppia con “l’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli”. Il vocabolo tradotto “assemblea” è ἐκκλησία (ekklesìa) ed indica in greco un’assemblea di persone convocate; da questa parola deriva il nostro “chiesa”, che non si riferisce però a un edificio ma piuttosto alle persone riunite, quindi ottima la traduzione di TNM con “congregazione”. Ma si tratta di una congregazione appunto congregata, cioè riunita. La “riunione solenne” è quindi pure un’assemblea. Ma il secondo termine del binomio designa un’assemblea celeste, per cui la “riunione solenne” può riferirsi alla chiesa terrena. Ne esce così un’immagine in cui i fedeli del popolo di Dio si riuniscono sulla terra e nel cielo per adorare Dio. Ma c’è di più. L’assemblea celeste è detta dei primogeniti. Si tratta di persone privilegiate. Non a caso, Eb aveva parlato poco prima di primogenitura (v. 16). Giacché l’omelia è rivolta a dei giudei, a quanto pare i primogeniti sono proprio i giudei in quanto appartenenti a Israele: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito” (Es 4:22). Il loro nome è scritto nei libri celesti (cfr. Dn 12:1; Lc 10:20; Ap 3:5). Non ci sono dubbi che i diritti degli israeliti verranno rispettati. “Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto”. – Rm 11:2.

   La quarta coppia (“A giudice Dio di tutti e a spiriti di giusti perfetti”), per essere compresa va tradotta bene. Sbaglia nuovamente TNM che traduce “a Dio Giudice di tutti”, probabilmente basandosi su NR: “A Dio, il giudice di tutti”. Il testo greco ha κριτῇ θεῷ πάντων (kritè theù pànston), letteralmente “a giudice a Dio di tutti”, messo in buon italiano: “Al Giudice, Dio di tutti”. Qual è la differenza? I fedeli si presentano davanti al Giudice che è però anche Dio di tutti. Se fosse scritto che si presentano “a Dio Giudice di tutti” (TNM), verrebbe messo in risalto il giudizio. Invece, chi giudica è il Dio di tutti, mettendo così in risalto l’amore divino. È per questo che il termine è abbinato agli spiriti dei giusti resi perfetti, perché giudicati benevolmente.

  L’ultimo binomio (Yeshùa e il suo sangue) conferma la precedente interpretazione. Con la nuova alleanza fatta grazie al sangue del Cristo, egli diventa mediatore e permette l’accesso a Dio.

   Il monito finale “badate di non rifiutarvi d’ascoltare colui che parla” (v. 25) riprende il tema con cui si era aperta l’omelia: Dio, che aveva parlato molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, ora ci ha parlato a per mezzo del Figlio (1:1,2). “Se non scamparono quelli, quando rifiutarono d’ascoltare colui che promulgava oracoli sulla terra, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a colui che parla dal cielo”. – 12:25.