“Fratelli, a che serve se uno dice: ‘Io ho la fede!’ e poi non lo dimostra con i fatti?
Forse che quella fede può salvarlo?”
– Gc 2:14, PdS.
Qual è la cosa più importante nella vita? Ognuno dà le sue risposte. C’è chi dirà che è la salute, chi il benessere, chi l’amore, chi perfino i soldi. Prendendo per buone tutte le risposte che ciascuno potrebbe dare, diciamo pure che il massimo – umanamente parlando – sarebbe possedere salute e ricchezza, avere l’amore di una persona speciale che ci accanto, avere intelligenza e successo, e possibilità di godere liberamente tutti i piaceri della vita. Persone così, che hanno queste possibilità, ce ne sono. Anche alcuni personaggi biblici godettero di queste cose. Il re Salomone aveva grande intelligenza e una sapienza straordinaria (1Re 4:29-34), potere (1Re 4:21), ricchezze a non finire (1Re 10:14,15; 2Cron 9:13,14), al punto che era il più ricco sulla faccia della terra (1Re 10:23; 2Cron 9:22), possedeva perfino una flotta navale (1Re 9:26-28;10:11; 2Cron 8:17,18; 9:10,11), un’immensa scuderia (2Cron 9:25), riceveva doni costosi dai regnanti della terra (1Re 10:24,25,28,29; 2Cron 9:23-28), godeva anche di ottima salute (2Cron 9:30) e non si negò nulla: capolavori architettonici (1Re 9:15-19; 2Cron 8:1-6) e donne a dismisura (1Re 11:1). Nonostante tutto ciò (qualcuno potrebbe dire: scusate se è poco), a lui sono attribuite queste parole:
“Mi son detto: ‘Ora voglio provare
ogni specie di piacere e di
soddisfazione’.
Ma tutto mi lasciava sempre
un senso di vuoto.
Il divertimento lascia insoddisfatti,
l’allegria non serve a niente.
Allora ho cercato il piacere nel bere,
ma senza perdere il controllo.
Mi son dato alla pazza gioia.
Volevo vedere se questo
dà felicità all’uomo
durante i pochi giorni della sua vita.
Ho fatto anche grandi lavori.
Ho fabbricato palazzi,
ho piantato vigneti.
Ho costruito giardini e parchi,
dove ha piantato
ogni qualità di alberi da frutto.
Ho costruito serbatoi d’acqua
per irrigare quegli alberi.
Ho comprato schiavi e schiave;
avevo molti servi in casa mia,
possedevo moltissimi buoi e pecore,
più di tutti i re di Gerusalemme.
Ho accumulato molti oggetti
d’oro e d’argento.
Ho preso le ricchezze e i tesori
di altri re e governanti.
Ho fatto venire nel mio palazzo
cantanti e ballerine:
per i miei piaceri, tante belle donne.
Insomma, ero diventato più ricco
e più famoso
di tutti i miei predecessori di Gerusalemme.
Per di più, non ho mai perso la testa!
Ho soddisfatto ogni mio desiderio;
non ho rinunziato a nessun piacere.
Sono riuscito a godere delle mie attività:
questa è stata la ricompensa
per tutte le mie fatiche.
Che cosa conta essere sapiente?
Ho tentato di fare un bilancio
di tutte le opere che avevo fatte
e della fatica che mi erano costate.
Ma ho concluso che tutto è vanità,
come inseguire il vento.
In questa vita sembra tutto inutile”. – Ec 2:1-11, PdS.
Salomone ebbe moltissimo, ma non possedette tutto il mondo. Nessuno ha mai posseduto tutto il mondo. Come sarebbe possedere il mondo intero? Sarebbe la cosa più importante che possa capitare nella vita?
“Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima [ψυχὴν (psüchèn)] sua?”. – Mr 8:36.
Neppure il mondo intero vale quanto la nostra vita, che è poi il significato che qui la parola ψυχή (psüchè). La cosa più importante, allora, è avere la vita; se poi si tratta di vita eterna, la salvezza diventa allora la cosa davvero più importante in assoluto.
Dalla Bibbia sappiamo che la salvezza riguarda poche persone. Sebbene Dio sia “paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (2Pt 3:9), “se due uomini saranno in un campo, uno sarà portato via e uno sarà lasciato lì. Se due donne macineranno grano al mulino, una sarà presa e una sarà lasciata lì” (Mt 24:40,42, PdS), “poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7:13,14). “Se il giusto è salvato a stento, dove finiranno l’empio e il peccatore?”. – 1Pt 4:18.
La salvezza non si ha per meriti propri, ma come dono di Dio per mezzo della fede in Yeshùa. Giacomo ci dà un rilevatore (che è anche un rivelatore) della nostra fede, che ci indica se è una fede vera: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?”. – Gc 2:14.
Molti, parlando di salvezza avuta per fede, pensano di essere a posto. Credono. Eppure, non basta credere, perché “anche i demoni credono e rabbrividiscono” (Gc 2:19, TNM). Giacomo dice che occorrono le opere. E molti cosiddetti cristiani pensano di nuovo di essere a posto. Non fanno male a nessuno, sono onesti, si comportano bene, magari parlano perfino di Dio ad altre persone. Si tratta di una buona etica con spirito volenteroso, ma praticare la fede è molto di più. Si può perfino praticare la Legge di Dio in modo naturale, ma esserne inconsapevoli, “infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi” (Rm 2:14). Ci sono poi coloro che si dilettano nello studio della Bibbia, tuttavia “non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che l’osservano saranno giustificati”. – Rm 2:13.
Giacomo ci dice che la nostra fede deve essere viva, perché “la fede senza le opere è morta” (Gc 2:26). Giacomo, sotto ispirazione, parla sia di una fede morta e inutile e sia di una fede viva che salva.
“14Fratelli, a che serve se uno dice: ‘Io ho la fede!’ e poi non lo dimostra con i fatti? Forse che quella fede può salvarlo? 15Supponiamo che qualcuno dei vostri, un uomo o una donna, non abbia vestiti e non abbia da mangiare a sufficienza. 16Se voi gli dite: ‘Arrivederci, stammi bene. Scàldati e mangia quanto vuoi’, ma poi non gli date quel che gli serve per vivere, a che valgono le vostre parole? 17Così è anche per la fede: da sola, se non si manifesta nei fatti, è morta.
18Qualcuno potrebbe anche dire: C’è chi ha la fede e c’è invece chi compie le opere. Ma allora mostrami come può esistere la tua fede senza le opere! Ebbene, io ti posso mostrare la mia fede per mezzo delle mie opere, cioè con i fatti! 19Ad esempio: tu credi che esiste un solo Dio? È giusto. Ma anche i demòni ci credono, eppure tremano di paura. 20Sciocco, vuoi dunque renderti conto che la fede non serve a niente se non è accompagnata dai fatti?
21Abramo, il nostro antico padre, perché mai fu riconosciuto giusto da parte di Dio? Per le sue opere, cioè per aver offerto sull’altare dei sacrifici il figlio Isacco. 22Vedi dunque che in quel caso la fede e le opere agivano assieme, e che la sua fede è diventata perfetta proprio per mezzo delle opere! 23Così si è realizzato quel che dice la Bibbia: Abramo credette in Dio, e per questo Dio lo considerò giusto. Anzi, egli fu chiamato amico di Dio. 24Potete così vedere che Dio considera giusto un uomo in base alle opere e non soltanto in base alla fede. 25Lo stesso avvenne nel caso di Raab, la prostituta. Dio la considerò giusta per le sue opere, cioè per il fatto che aveva ospitato gli esploratori ebrei e li aveva aiutati ad andarsene per un’altra strada.
26Insomma, come il corpo senza il soffio della vita è morto, così la fede. Senza le opere è morta”. – Gc 2.
Il punto principale in questo brano tratto dalla lettera di Giacomo è all’inizio, al v. 14: “Fratelli, a che serve se uno dice: ‘Io ho la fede!’ e poi non lo dimostra con i fatti? Forse che quella fede può salvarlo?”.
Giacomo paragona due tipi di fedeli:
- Chi dice di avere fede, ma non ha vera fede perché non ha le opere.
- Chi vive la fede con le opere.
A che serve, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Tutti i cosiddetti cristiani dicono di avere fede. I protestanti, poi, insegnano con convinzione che la salvezza si ha per fede; il loro concetto teologico della salvezza sostiene che essa è per sola grazia; Lutero e Calvino erano convinti di desumere questo concetto dalle lettere paoline e dai cosiddetti Padri della Chiesa (particolarmente da Agostino); per loro le opere consistono nel cercare di imitare il Cristo. Per la maggioranza dei cattolici che dicono di avere fede, la fede è credere in ciò che è stato insegnato loro con il catechismo e che sentono dire in chiesa; per loro le opere sono le opere buone. C’è poi chi vede nella martellante diffusione delle proprie dottrine a porta a porta le opere di cui parla Giacomo: “Tutti coloro che diventano discepoli credono che ‘la fede senza opere è morta’. Pertanto, in 208 paesi del mondo e sino alle estremità della terra, i cristiani testimoni di Geova hanno lavorato con gioia”. – La torre di Guardia del 1° giugno 1974, pag. 352, § 42; corsivo aggiunto per enfatizzare.
Il brano di Giacomo non concerne il modo in cui siamo salvati. Di questo Giacomo aveva già detto in “1:16-18:
“Non v’ingannate, fratelli miei carissimi; ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento. Egli ha voluto generarci secondo la sua volontà mediante la parola di verità, affinché in qualche modo siamo le primizie delle sue creature”.
È Dio che “ha voluto generarci secondo la sua volontà”: in questa generazione a nuova vita è insita la salvezza. Questo concepimento della persona nuova, dice Giacomo, è avvenuto “mediante la parola di verità” ovvero il vangelo. Quindi, non per opere nostre. Il discorso che Giacomo fa in questo brano (2:14-26) riguarda le opere dopo che si è ottenuta la salvezza riponendo fede in Yeshùa. Per mantenere questa salvezza occorre una fede viva, che salva nel senso che conferma la salvezza donataci per grazia. Perché la fede sia viva, deve produce opere. Se non produce opere, è una fede morta, che non salva.
In 2:15,16 Giacomo ricorre ad un esempio che chiarifica il concetto che vuole esprimere:
“Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: ‘Andate in pace, scaldatevi e saziatevi’, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?”
Infine, conclude: “Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta” (v. 17). Nel suo modello dimostrativo Giacomo evoca la figura di una persona compassionevole che ha parole gentili: “Andate in pace, scaldatevi e saziatevi”. Ma a che servono tali belle parole? Chi non ha di che vestirsi e di che nutrirsi, continuerà a essere nell’indigenza anche dopo che è stato trattato con tanta comprensione e gentilezza. Ecco, la misericordia di tale persona è morta, non serve a nulla. Perché? Perché non è vera. A parole desidera apparire di buon cuore, ma – come si dice – si mette la mano sul cuore solo per difendere il portafoglio. “Così”, allo stesso medo – dice Giacomo –, è della fede: se è a parole, non serve a nulla. La fede che salva deve produrre opere, altrimenti non è fede vera.
L’argomentazione di Giacomo prosegue (2:18,19, PdS) immaginando un dialogo con un’ipotetica persona che ha una fede morta.
“Qualcuno potrebbe anche dire:
– C’è chi ha la fede e c’è invece chi compie le opere.
– Ma allora mostrami come può esistere la tua fede senza le opere! Ebbene, io ti posso mostrare la mia fede per mezzo delle mie opere, cioè con i fatti! Ad esempio: tu credi che esiste un solo Dio? È giusto. Ma anche i demòni ci credono, eppure tremano di paura”.
In questo dialogo si contrappongono due credenti: il primo è un sedicente credente, l’altro è un vero credente. A ben pensarci, la fede è qualcosa che riguarda il nostro intimo più profondo. L’intimo è per sua natura nascosto, non visibile, non traspare. L’unico modo quindi che si ha per mostrare che nell’intimo si coltiva una fede vera, è per mezzo delle opere. Finché il finto compassionevole non fu messo alla prova, chi poteva dire che era solo un millantatore? Si rivelò tale quando non fece nulla, aggiungendo solo parole a parole e lasciando il fratello nel bisogno.
Ogni persona che dice di essere credente troverà facile accettare ciò che Giacomo ha detto fin qui. Come non essere d’accordo? Tutti capiscono la giustezza del suo ragionamento. Confortati dall’esempio portato da Giacomo, si metteranno l’animo in pace ritenendo che le opere di cui lui parla abbiano a che fare con l’amore fraterno e con la solidarietà umana che deve essere manifestata nella propria comunità. Ma – concluderanno – che c’entra questo buon modo “cristiano” di comportarsi con le opere della Legge? Qui – pensano, – la Legge con è implicata.
Tuttavia, domandiamo: Se si trattasse solo di opere che hanno a che fare con l’amore per il prossimo, che mai c’entrerebbe la fede? Ci sono tante persone che sono miscredenti e agnostiche, che perfino si dichiarano atee, che praticano opere filantropiche notevoli. In tali casi le loro opere di bene non sono la prova della loro fede, perché la fede non l’hanno. L’invettiva di Giacomo in 2:20 può applicarsi solo a credenti che dicono di aver fede ma che non compiono certe opere: “Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?”. Il discorso che fa Giacomo è squisitamente biblico. E ora passa a citare esempi di opere, facendo riferimento questa volta alla Scrittura.
“Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; così fu adempiuta la Scrittura che dice: ‘Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia’; e fu chiamato amico di Dio. Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto”. – Gc 2:21-24.
Nel caso di Abraamo non si trattò di semplici opere di bene, perché Abraamo stava per sacrificare davvero il suo unico figlio prima che Dio lo fermasse (Gn 22:9-12). Le sue opere consistettero nell’ubbidienza ai comandi di Dio. “Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi”. – Gn 26:5.
Si consideri qui un punto importante che sfugge al semplice che legge superficialmente. Quando Giacomo afferma che “Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia” (2:23), sta citando Gn 15:6 che dice: “Egli [Abramo] credette al Signore, che gli contò questo come giustizia”. Ora, ciò avvenne quando suo figlio Isacco non era ancora nato, per cui la sua giustificazione (“gli contò questo come giustizia”) avvenne solo per fede (“credette al Signore”) senza che Abraamo (a quel momento Abramo) avesse ancora mostrato la sua fede con le opere. Che cosa vuol dire allora Giacomo? Che la sua fede era già vera e che per questo fu giustificato, ma che la sua ubbidienza successiva mostrò che quella fede era davvero viva, vera. “La fede agiva insieme alle sue opere”, tanto che “per le opere la fede fu resa completa” (Gc 2:22). “Fu resa completa”: ἐτελειώθη (eteleiòthe); il verbo τελειόω (teleiòo) significa “rendere perfetto / perfezionare / completare”. Ciò implica che la sua fede, già vera e genuina, non era ancora completa: è con le opere che si dimostrò piena e compiuta. “Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto”. – Gc 2:24.
Il sedicente credente che dice di aver fede ma che ha poi una fede morta, si sente tranquillo perché crede. E magari crede anche davvero, in modo convinto. Ma “anche i demòni credono e rabbrividiscono” (2:19, TNM). Il credere di chi ha una fede morta è solamente intellettuale. Ha magari ricevuto uno studio biblico, ha letto su dei libri religiosi ciò che riguarda Dio e ha creduto. Ora è convinto, crede, ha aderito a un corpo dottrinale. Probabilmente si comporta bene. Tutto rimane però racchiuso nella convinzione della propria mente. Le opere in ubbidienza alla Legge di Dio non lo toccano. Giacomo lo richiama, cercando di scuoterlo: “Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?”. – Gc 2:20.
“Insensato” traduce il termine greco κενέ (kenè), che è il vocativo di κενός (kenòs), “vuoto” (TNM), con il senso di vano, di nessuno scopo, privo di verità, con niente in mano; metaforicamente, bisognoso di ricchezza spirituale, uno che si vanta della sua fede come di un possesso trascendente, ma che è senza il frutto della fede.
L’altro esempio che Giacomo richiama è quello di Raab, la prostituta di Gerico (Gs 2:2-7) accolta in Israele come una di loro (Gs 6:17,23,25). “E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada?” (Gc 2:25). Questa donna non conosceva la Legge di Dio: era una pagana che viveva come prostituta. Alle spie ebree che stava nascondendo, disse: “Noi [gente di Gerico] abbiamo udito come il Signore asciugò le acque del mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto”; poi aggiunse qualcosa che diceva tutta la fede che stava riponendo nel Dio di’Israele: “Il Signore, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra. Vi prego dunque, giuratemi per il Signore, poiché vi ho trattati con bontà, che anche voi tratterete con bontà la casa di mio padre” (Gs 2:10-12). Pur non conoscendo ancora la Legge di Dio, già riponeva fede in Dio; la sua fede era viva e produsse frutti, perché di pari passo lei agì fattivamente.
Giacomo ha poi un altro esempio da proporre: “Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2:26). Qui egli richiama l’immagine di un corpo. Ci sono corpi che appena morti sembrano ancora vivi. Esteriormente sembrano come pochi minuti prima, quando erano ancora vivi. La differenza cruciale sta nel fatto che il morto non ha più in sé la vita. Giacomo si rifà a quest’ultima condizione per dire che la fede senza opere è come un cadavere. Chi ha una fede che non produce opere, non dovrebbe credere di essere salvato mediante quel tipo di fede: è già morto.
Nei quattro esempi addotti da Giacomo, si possono rinvenire tutti i casi:
- “Qualcuno potrebbe anche dire: C’è chi ha la fede e c’è invece chi compie le opere”. – Gc 2:18, PdS.
Un credente potrebbe credere che la fede sia più che sufficiente.
- Nel caso di Abraamo “la fede agiva insieme alle sue opere” e “per le opere la fede fu resa completa”. – Gc 2:22.
Chi è già credente e quindi ha già fede, deve ubbidire ai comandamenti di Dio come fece Abraamo.
- Raab, la prostituta, “fu anche lei giustificata per le opere”. – Gc 2:25.
Chi è appena divenuto credente deve iniziare già a produrre opere.
- “Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta”. – Gc 2:26.
Individualmente, quest’immagine ci impressiona: siamo, spiritualmente, dei cadaveri? La nostra fede si limita a credere o siamo pronti a ubbidire ai comandamenti di Dio?
Giacomo, stando alla testimonianza dello storiografo palestinese Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, i.12.1, i.12.4, ii.23.4), confermata da Girolamo (De viris illustribus, ii), era denominato “Giacomo il giusto”. L’epiteto “giusto” era riservato alle persone fedeli alla Legge di Dio, alla Toràh.
Va ricordato che le opere in ubbidienza alla Legge di Dio non sono di per sé garanzia di una fede viva. I farisei si distinguevano per le opere della Legge, ma la loro motivazione non era dettata dalla fede. Le compivano in maniera legalistica pensando di assicurarsi così la salvezza. D’altra parte, va ricordato che una fede senza le opere della Legge è una fede morta. Ben dice Paolo in Gal 2:16:
οὐ δικαιοῦται ἄνθρωπος ἐξ ἔργων νόμου ἐὰν μὴ διὰ πίστεως Χριστοῦ Ἰησοῦ
u dikaiùtai ànthropos ecs èrgon nòmu eàn mè dià pìsteos christù Iesù
non è giustificato uomo da opere di legge a meno che attraverso fede di consacrato Yeshùa
Come veri discepoli di Yeshùa, dovremmo seguire l’esempio perfetto del nostro maestro che “ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle opere buone”. – Tit 2:14.