4 – “Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo”. – Es 20:8-11.
Eccoci al Comandamento più calpestato. Ci sono tre posizioni che vengono prese dalle persone religiose in merito a questo Comandamento:
- Modificarlo.
- Ritenerlo abolito.
- Esasperarlo.
Si passa insomma da un estremo all’altro, con una via di mezzo che spesso è sbagliata. Esaminiamo.
1 – La modifica del Comandamento. I cattolici lo hanno modificato, trasformandolo in un generico “Ricordati di santificare le feste” (Catechismo della Chiesa Cattolica). Non è il caso di spendere molte parole per respingere questa posizione. Basta leggere la Bibbia: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo” (Es 20:8, CEI, versione ufficiale della Chiesa cattolica). La discutibilissima idea cattolica che la santità del sabato sia stata trasferita alla domenica è trattata più avanti nello studio Domenica, il giorno del dio sole, in questa stessa categoria.
2 – La presunta abolizione del Comandamento L’idea, sostenuta dai dirigenti americani dei Testimoni di Geova, che i Comandamenti sarebbero stati aboliti tutti è antiscritturale e tradisce l’intendo di non voler ubbidire alla Legge di Dio. Basti qui il ricorso al semplice buon senso: leggendo i Comandamenti uno per uno, nessuno si sognerebbe di dire che non siano più validi; l’unica eccezione che viene sollevata riguarda proprio la santificazione del sabato. Il fatto che sia impossibile ritenerne aboliti nove su dieci, dovrebbe farci capire che anche quello sul sabato non può essere abolito. Ecco allora che si tenta di ritenerli tutti aboliti per recuperarne poi solo nove assunti quali semplici “princìpi”.
Sebbene i Testimoni di Geova sostengano che i Comandamenti siano stati aboliti, nella realtà li osservano tutti ad accezione del quarto. Se qualche loro associato dichiarasse di credere in qualche altro dio oltre a “Geova” o se si mettesse a pregare immagini o statue, sarebbe disassociato per apostasia. Se bestemmiasse o trattasse male i genitori, comparirebbe di fronte ad un loro comitato giudiziario. Se commettesse un assassinio, lo espellerebbero affidandolo giustamente alle autorità statali. Stessa cosa se divenisse un ladro. Comparirebbe davanti ad un loro comitato giudiziario anche se dicesse menzogne per abitudine, figuriamoci per attestazione del falso. Se poi si mettesse a concupire beni e coniugi altrui, sarebbe inquisito dai responsabili della comunità. Inutile girarci attorno: i Comandamenti li rispettano più di altri “cristiani”. Eccettuato quello riguardante il sabato. Non sarà che in teoria (non nella pratica, come si è visto) li ritengano aboliti per non ubbidire alla santificazione del sabato? Come nel caso dei cattolici (che sostengano lo spostamento della sacralità del sabato alla domenica), la loro pretesa che Yeshùa abbia abolito il sabato sarà esaminata più avanti.
3 – L’esasperazione del Comandamento. La terza posizione nei confronti del quarto Comandamento, quella di esasperarlo, è sostenuta dagli ebrei ortodossi. Già al tempo di Yeshùa, i giudei avevano creato una miriade di leggi umane per rendere il Comandamento vincolante al massimo. Mentre il sabato, nella disposizione di Dio, doveva essere un tempo gioioso e spiritualmente proficuo, l’eccessivo zelo dei capi religiosi ebrei (specialmente dopo il rientro dalla Babilonia) lo rese sempre più gravoso. Ne furono così accresciuti i divieti in modo rilevante, tanto che arrivarono a 39, più incalcolabili divieti minori: per catalogarli tutti ci volevano due grossi volumi. Per esempio, di sabato era proibito afferrare una pulce, perché ciò era considerato cacciare! La loro esagerazione si ravvisa anche nell’episodio che vide i discepoli di Yeshùa raccogliere di sabato delle spighe di grano e sgranarle per cibarsene (Lc 6:1). “Alcuni farisei dissero: ‘Perché fate ciò che non è lecito di sabato?’” (v. 2). Per quei fanatici farisei, si stavano violando le prescrizioni della Toràh: “Non fare in esso [di sabato] nessun lavoro ordinario” (Es 20:10); raccogliere solo alcune spighe costituiva per loro una mietitura; sgranarle lo consideravano una trebbiatura! Giustamente Yeshùa disse degli scribi e dei farisei che “legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente” e che “tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini” (Mt 23:4,5). A ragione Yeshùa ricordò che “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. – Mr 2:27.
La loro estremistica considerazione per il sabato si riconosceva nel detto rabbinico, antiscritturale, che esagerando diceva: “I peccati di chiunque osservi scrupolosamente ogni legge del Sabato, anche se è un adoratore di idoli, sono perdonati”.
Dopo aver esaminato gli atteggiamenti religiosi verso il sabato, vediamo ora la posizione assunta da Yeshùa, il consacrato di Dio.
Yeshùa, il sabato e la legge orale
Il Messia prese le distanze da certe usanze giudaiche cui abbiamo appena accennato. Ma le domande che dobbiamo porci sono queste: Yeshùa violò la Legge sul sabato? Insegnò ad altri di disubbidire al Comandamento sul sabato?
Il suo atteggiamento nei confronti della tradizione orale emerge nell’episodio della raccolta di alcune spighe di grano durante un sabato (Mt 12:1-8; Mr 2:23-28; Lc 6:1-5). Questo episodio mostra anche che egli non violò il sabato e non insegnò mai a disubbidire al quarto Comandamento. Inoltre, Yeshùa affermò la legittimità di una certa tradizione orale giudaica proprio nella sua discussione sul sabato. Infatti, Yeshùa rivelò una profonda consapevolezza della visione giudaica di Dio, dell’umanità, e dell’alto scopo per il quale il mondo era stato creato, quando disse che “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mr 2:27). Il settimo giorno della creazione – molto prima di dare la sua Toràh – Dio aveva creato il sabato proprio smettendo di creare: “Si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta”. – Gn 2:2,3.
Secondo gli insegnamenti della Toràh, era permesso camminare attraverso i campi di grano per spigolare: “Quando entrerai nei campi di grano del tuo prossimo potrai cogliere spighe con la mano; ma non metterai la falce nel grano del tuo prossimo” (Dt 23:25). Il punto è: questa concessione valeva di sabato? Occorre entrare in quel campo di grano in giorno di sabato per capire più chiaramente le critiche mosse ai discepoli di Yeshùa dai giudei. In verità, Yeshùa non raccolse le spighe di grano. Furono i suoi discepoli che, avendo fame, “si misero a strappare delle spighe e a mangiare” (Mt 12:1). Lc 6:1 ci dà un dettaglio molto importante, perché dice che i discepoli “sfregandole con le mani, mangiavano” le spighe di grano. Questa era un’azione che era accettata come lecita in giorno di sabato da molte autorità (Talmud Babilonese, Shabàt 128a). Cogliere del grano in grande quantità (mietere) era proibito, ma se ne poteva prendere una piccola quantità e anche strofinarla nelle mani. Tuttavia, sebbene alcune importanti scuole di pensiero giudaico la vedessero così, quella era una questione aperta alla discussione. I farisei che ripresero i discepoli di Yeshùa pensavano che ciò violasse la legge del sabato. Al tempo di Yeshùa era una preoccupazione legittima, anche se si deve notare che i farisei stavano sempre con gli occhi addosso a Yeshùa per coglierlo in fallo.
Il popolo giudaico aveva cercato di interpretare il Comandamento del sabato attraverso la cosiddetta Toràh orale, che si credeva trasmessa a voce da Dio a Mosè sul monte Sinày con la Toràh scritta conservata nella Bibbia. La Toràh orale serviva a chiarire i punti oscuri della Toràh scritta, permettendo così al popolo di ubbidire alle richieste di Dio. Perché mai sarebbe stata necessaria una legge orale? La risposta che i maestri d’Israele davano era: perché ce n’era una scritta.
Yeshùa, va osservato, non trattò la domanda accusatrice dei farisei con disprezzo. Piuttosto, rispose con un’ottima argomentazione squisitamente tecnica. Egli si avvalse di quella che poi sarebbe stata chiamata halakàh (che significa “sentiero”) e che si occupa del diritto tradizionale basandosi sull’interpretazione rabbinica della Legge. Yeshùa dimostrò grande profondità nella conoscenza della legge orale, che era un rigido codice legalistico con più di un’interpretazione (la tradizione orale permetteva la discussione e diversità di pensiero). Sebbene alcuni fossero più legalisti di altri, tutti riconoscevano che il sabato doveva essere osservato.
Con la legge orale si risolvevano tutte le questioni difficili. Facciamo degli esempi. Era proibito tagliare in giorno di sabato perché questo era considerato un lavoro. Tagliare quelle poche spighe, era un lavoro? La circoncisione di un maschietto nell’ottavo giorno di vita richiedeva il tagliare il suo prepuzio; cosa veniva prima, se quell’ottavo giorno cadeva di sabato, la circoncisione o il riposo sabatico? In questo caso particolare, osservando la legge del sabato si violava quella della circoncisione; osservando la legge della circoncisione, si violava quella del sabato. La Legge scritta non si occupava della questione, ma quella orale risolveva il problema, perché stabiliva che la legge della circoncisione aveva la precedenza sul sabato. Un bambino, quindi, poteva e doveva essere circonciso l’ottavo giorno anche se era sabato e anche se bisognava tagliare, cosa considerata un lavoro (Talmud Babilonese, Yoma 85b). Questa decisione halakitica è menzionata in Gv 7:22-24 da Yeshùa stesso che cita la Toràh orale: “Mosè vi ha dato la circoncisione (non che venga da Mosè, ma viene dai padri); e voi circoncidete l’uomo in giorno di sabato. Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, vi adirate voi contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero? Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia”.
Nell’episodio in cui alcuni farisei discutono sulla legittimità di cogliere e sgranare poche spighe di grano di sabato, Yeshùa basa la sua discussione sugli insegnamenti orali della tradizione giudaica. Così, cita un episodio della vita del re Davide quando stava fuggendo dal complotto del re Saul: “Non avete letto quello che fece Davide, quando ebbe fame, egli insieme a coloro che erano con lui? Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti?” (Mt 12:3,4). Ora, quest’argomentazione di Yeshùa era non solo molto pertinente ma decisiva. Infatti, “i pani di presentazione” che lui ricorda si usavano di sabato: “Ogni sabato si disporranno i pani davanti al Signore, sempre” (Lv 24:8) e tali pani erano preparati proprio di sabato: “Alcuni dei loro fratelli, tra i Cheatiti, erano incaricati di preparare per ogni sabato [שַׁבָּת שַׁבַּת (shabàt shabàt)], “di sabato in sabato” (TNM)] i pani della presentazione” (1Cron 9:32). La vita di Davide e dei suoi uomini era stata a rischio per la fame, e la considerazione per la vita era cruciale per le decisioni legali della Toràh orale. Per la tradizione orale tutti i Comandamenti dovevano essere sospesi per salvare una vita umana. Gli stessi farisei declamavano la salvezza della vita a tutti i costi, eccezion fatta in caso d’idolatria, incesto e assassinio (un giudeo osservante avrebbe dovuto scegliere la morte piuttosto che commettere idolatria, incesto o assassinio). Comunque, la conservazione della vita aveva la precedenza sull’osservanza del sabato. Davide e i suoi uomini, ricercati da Saul, erano così affamati che le loro vite erano a rischio; tutti i Comandamenti della Bibbia dovevano essere sospesi per salvare le loro vite. Ma si potrebbe obiettare che i discepoli di Yeshùa non erano così affamati da averne a rischio la vita. La stessa cosa però valeva per Davide e i suoi uomini: la Bibbia non riferisce che stessero letteralmente morendo di fame. Il punto, nondimeno, è che la tradizione orale sosteneva che la fame minacciava la loro vita. Tra l’altro, la tradizione orale aveva fatto anche un’osservazione (alquanto spiritosa) sostenendo che per la grande fame Davide aveva mangiato una quantità eccessiva di pane (Yalkut Shimeoni II,130)! Di certo Yeshùa conosceva bene questa storia di Davide, e di certo la conoscevano quei farisei, poiché egli la usò con loro. La tradizione orale giudaica connetteva il sabato con l’episodio della fuga di Davide. Così, Yeshùa citò la tradizione orale per dare una valutazione più profonda del significato del sabato.
E non solo. Yeshùa fece un altro riferimento alla tradizione orale quando menzionò i sacerdoti e i divieti del sabato: “Non avete letto nella legge che ogni sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e non ne sono colpevoli?” (Mt 12:5). Egli fece notare che i sacerdoti, eseguendo i loro compiti nel Tempio di sabato, compivano un lavoro e che perciò violavano il sabato. Ma si noti che aggiunse: “Non ne sono colpevoli”. E qui si rifece alla tradizione orale, perché quei lavori sarebbero rimasti proibiti se non ci fosse stata l’interpretazione corretta data dalla Toràh orale. Come se non bastasse, le parole usate da Yeshùa sono le stesse identiche che si rinvengono nella tradizione orale giudaica (Shabàt 15b; Yoma 85b). Yeshùa usò la tradizione orale per rispondere a quelli che avevano messo in discussione le azioni dei suoi discepoli, mostrando di avere una profonda conoscenza della Toràh, sia scritta sia orale.
Ai “cristiani” viene insegnato che Yeshùa rivoluzionò la Legge, modificandola o abrogandola del tutto. Ma Yeshùa – come fa notare Julius Wellhausen – “non fu cristiano, fu ebreo”. La sua teologia giudaica aveva profonde radici. Alcuni detti di antichi rabbini erano molto simili agli insegnamenti di Yeshùa. Ad esempio, le parole da lui dette in Mr 2:27 sono le stesse identiche del saggio giudeo Rabbi Simeone ben Menasya; “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (cfr. Enciclopedia Giudaica e Mechiltà di Rabbi Yishmaèl su Es 31:3). Sebbene i cosiddetti cristiani credano che l’espressione di Yeshùa abbia segnato chissà quale rottura riguardo all’osservanza del sabato, tale espressione fu sua quanto lo fu del rabbino Simeone ben Menasya e faceva parte della corrente comune nel pensiero giudaico. Il linguaggio di Simeone ben Menasya sottolineava l’idea di un dono divino: il sabato fu donato all’umanità per il suo bene e a suo beneficio.
Tuttavia, il detto di Yeshùa aveva un significato più profondo, collegato all’insegnamento giudaico della creazione del mondo. Infatti, la Bibbia dice che Dio ha creato il mondo in sei giorni ma si riposò nel settimo. Questo fatto si riflette nel Decalogo con l’ingiunzione a osservare il sabato come un giorno di riposo. Nella frase di Yeshùa (“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”) il verbo “fatto” è ἐγένετο (eghèneto), voce del verbo γίνομαι (ghìnomai) che significa non solo “essere fatto” ma anche “iniziare ad esistere”, quindi “essere creato”. Questo verbo è usato molto spesso dalla LXX greca per tradurre l’ebraico בָּרָא (barà), “creare”. “Il sabato è stato fatto” potrebbe essere quindi meglio tradotto con “il sabato è stato creato”; in ogni caso l’allusione di Yeshùa è alla creazione. La tradizione orale giudaica asseriva che il mondo era stato creato per tutta l’umanità e che Dio aveva creato l’uomo nel sesto giorno, alla vigilia del primo sabato, così da poter entrare direttamente nell’osservanza dei Comandamenti di Dio. – Talmùd Gerosolimitano, Sanhedrin 22c, cap.4; Talmùd Babilonese, Sanhedrin 38a.
Riferendosi a questa interpretazione giudaica della Scrittura, Yeshùa non abrogò il sabato, ma pose l’accento sullo scopo del sabato, opinione condivisa da molti rabbini giudei come Simeone ben Menasya. In questo contesto, l’affermazione che “il figlio dell’uomo è signore del sabato” può essere riferita a ogni singolo essere umano (che è quindi come tale signore del sabato), tanto più che la frase è data come spiegazione alla non giusta condanna dei suoi discepoli che avevano preso le spighe di sabato: “Non avreste condannato gli innocenti; perché il figlio dell’uomo è signore del sabato”. – Mt 12:7,8.
Esaminando a fondo le parole di Yeshùa nel loro contesto storico e culturale, apprezziamo di più tutta la profonda competenza e l’autorità del suo insegnamento. Con perfetta eloquenza e ottimo ragionamento, Yeshùa non solo accettò la sfida dei farisei sulla questione del sabato, ma seppe controbattere dando loro un profondo insegnamento: Dio va incontro ai bisogni di ogni persona, perché “il sabato è stato creato per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Tutti e tre i sinottici, riportando l’episodio, non aggiungono altro: segno che quei farisei non seppero replicare.
L’osservanza del sabato è soltanto per gli ebrei?
La santificazione del sabato da parte di Dio sin dalla creazione denota tutta la sua importanza di là dal fatto che la sua osservanza sia ordinata nella Legge.
Un argomento – alquanto sciocco, in verità – portato da chi vorrebbe ritenere abolito il quarto Comandamento, è che l’osservanza del sabato riguarderebbe soltanto gli ebrei. Dalla Bibbia invece sappiamo che:
- Il sabato fu creato e reso santo da Dio alla sua creazione, molto prima che il popolo ebraico esistesse. – Gn 2:2,3.
- Il sabato fu fatto per tutti gli esseri umani: “Il sabato è stato fatto per l’uomo [διὰ τὸν ἄνθρωπον (dià ton anthròpon); la parola greca ἄνθρωπος (ànthropos) indica l’essere umano sia maschio sia femmina]”. – Mr 2:27.
“Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi” (Gn 26:5). Abraamo fu il capostipite del popolo ebraico, ma quando egli già osservava i comandamenti di Dio, gli ebrei non esistevano ancora.
Si noti anche come Dio definisce il sabato in Es 31:13: “Badate bene di osservare i miei sabati”. Il sabato è di Dio, non degli ebrei (cfr. Lv 19:30). Chi viola il sabato sta quindi calpestando qualcosa di santo che appartiene a Dio.
Va poi considerato che quello del sabato costituì anche un patto a parte e separato. Fermo restando il Comandamento specifico che fa parte del Decalogo e quindi della Legge, Dio fece con Israele un patto particolare riguardante il sabato: “Il sabato è un segno tra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono il Signore che vi santifica” (Es 31:13). Un “segno”, ebraico אֹות (ot), che indica un segnale per ricordarsi di qualcuno o un segnale della verità di un’affermazione. Si tratta di una specie di marchio, un pegno. Lo scopo di questo segno distintivo lo enuncia Dio stesso: “Affinché conosciate che io sono il Signore”. Si noti la durata che deve avere questo “segno”: “Per tutte le vostre generazioni”, in pratica, per sempre. “I figli d’Israele quindi dovranno osservare il sabato, lo celebreranno di generazione in generazione, come un patto perenne. Esso è un segno perenne tra me e i figli d’Israele”. – Es 31:16,17.
Ma non riguardava forse solo gli ebrei, questo patto particolare? Sì. Ma il punto è un altro. Che succede quando un ebreo diventa discepolo di Yeshùa? Egli rimane sempre vincolato a quel patto particolare, perché così Dio ha voluto. Si avrebbe quindi – se fosse vero che l’osservanza sabatica è stata abolita – che una parte dei credenti (ebrei) dovrebbero osservare qualcosa che agli altri credenti (non ebrei) non sarebbe richiesta. Ma “Dio non è un Dio di confusione” (1Cor 14:33). Il vangelo o buona notizia “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco” (Rm 1:16). Non sono i giudei che, accettando il vangelo, devono adottare il pensiero dei gentili o pagani, ma sono i gentili che devono accettare il pensiero di Dio espresso nella sua santa Legge. Paolo afferma: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. Se siete di Cristo, siete dunque discendenza d’Abraamo, eredi secondo la promessa” (Gal 3:28,29). Tutti i credenti, sia già pagani sia giudei, sono “uno” e tutti, lo si noti, sono “discendenza d’Abraamo, eredi secondo la promessa”.
Parlando a dei pagani divenuti credenti, Paolo dice: “Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa” (Ef 2:12). Divenuti credenti, non erano più “estranei ai patti”: “Non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (v. 19). È quindi chiaro che i credenti provenienti dai non ebrei vengono a far parte del popolo di Dio, “lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo” (v. 14). Quest’accoglienza dei gentili o pagani nel popolo d’Israele era avvenuta anche in passato. Già durante l’Esodo “una folla di gente di ogni specie” si era unita agli ebrei (Es 12:38). Chi entrava a far parte del popolo di Dio doveva ovviamente attenersi alla Legge di Dio: “Vi sia un’unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi”. – Es 2:49.
Is 56:6,7 è una profezia per il futuro: “Anche gli stranieri che si saranno uniti al Signore per servirlo, per amare il nome del Signore, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e si atterranno al mio patto, io li condurrò sul mio monte santo”. Davvero “il sabato è stato fatto per l’uomo”. – Mr 2:27.
Nel mondo futuro la Legge di Dio sarà ancora valida, e con essa l’osservanza del sabato: “’Avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me’, dice il Signore”. – Is 66:23.
“Beato l’uomo che fa così,
il figlio dell’uomo che si attiene a questo,
che osserva il sabato astenendosi dal profanarlo”. – Is 56:2.
Il sabato fu osservato dalla primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa
Vediamo ora alcune evidenze bibliche che dimostrano che la primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa osserverò il sabato.
In Mt 28: leggiamo: “Dopo il sabato, verso l’alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro”. Queste donne, discepole di Yeshùa, osservavano il sabato: per andare alla tomba del loro maestro attesero che passasse il sabato. Luca annota che “durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento”. – Lc 23:56.
“Entrati di sabato nella sinagoga, si sedettero”, “Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per udire la Parola di Dio” (At 13:14,44). Paolo e Barnaba dedicavano il sabato alla lode di Dio, predicando.
At 15:1,2 narra che “alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli, dicendo: ‘Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati’. E siccome Paolo e Barnaba dissentivano e discutevano vivacemente con loro, fu deciso che Paolo, Barnaba e alcuni altri fratelli salissero a Gerusalemme dagli apostoli e anziani per trattare la questione”. Ritenendo non più necessaria la circoncisione, la questione fu alla fine risolta così: “Si scriva loro [ai pagani convertiti] di astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati, e dal sangue” (v. 20), problemi tipici che riguardavano i gentili. La Bibbia insegna non solo da ciò che dice, ma anche da quello che non dice. Qui non si accenna per nulla a una presunta abolizione dell’osservanza del sabato. Anzi, si noti la motivazione per cui i pagani dovevano, come i giudei, stare lontani dall’idolatria, dall’immoralità e dall’uso del sangue: “Perché Mosè [= i primi cinque libri della Bibbia, la Toràh, attribuiti a Mosè] fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo predica nelle sinagoghe dove viene letto ogni sabato” (v. 21). Non solo viene ricordata la Legge di Mosè, la Toràh, ma il fatto che veniva letta “ogni sabato”. Se quei gentili non si fossero radunati di sabato per leggere la Toràh, che importanza avrebbe mai avuto questa motivazione? Si noti poi che quei convertiti, come tutti i gentili o pagani, non avevano mai letto Mosè né tantomeno osservato il sabato. Ora, però, c’era questa preoccupazione: radunandosi di sabato e leggendo la Toràh, dovevano anche osservarla.
“Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera” (At 16:13). Qui si parla di Paolo e di Sila. Vi s’indica che era loro consuetudine dedicarsi al culto durante il sabato.
“Dopo questi fatti egli [Paolo] lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un ebreo, di nome Aquila, oriundo del Ponto, giunto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma. Egli si unì a loro. Essendo del medesimo mestiere, andò ad abitare e a lavorare con loro. Infatti, di mestiere, erano fabbricanti di tende. Ma ogni sabato insegnava nella sinagoga e persuadeva Giudei e Greci” (At 18:1-4). Paolo “rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio” (v. 11). Qui vediamo Paolo che lavorava tutta la settimana, “ma ogni sabato insegnava nella sinagoga”, e lì lo fece per un anno e mezzo, “ogni sabato”. “Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro”. – Es 20:9,10.
Ai pagani convertiti Paolo raccomandò: “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” (1Cor 11:1). “Paolo, com’era sua consuetudine, entrò da loro, e per tre sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture” (At 17:2). Paolo era un imitatore di Yeshùa che, “com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga”. – Lc 4:16.
Riguardo a chi giudicava male i credenti che osservavano il sabato, Paolo dice con decisione: “Nessuno vi giudichi riguardo . . . a osservanza della luna nuova o a sabato”. – Col 2:16, TNM.
“San” Tommaso d’Aquino (13° secolo), filosofo e teologo italiano, canonizzato e proclamato dai cattolici Dottore della Chiesa, riconobbe con franchezza – nella sua opera Summa Theologiae – che l’osservanza cattolica della domenica ha preso il posto del sabato “non in virtù di un precetto della Legge, ma per istituzione della chiesa e consuetudine del popolo cristiano” (“non ex vi praecepti legis, sed ex constitutione ecclesiae et consuetudine populi Christiani”). – Tommaso, Summa Theologiae II, Q. 122, 5.
Il sabato non riguarda quindi solo i giudei. “Il sabato è stato fatto per l’uomo” (Mr 2:27), sin da quando fu creato e santificato da Dio.