Nota:
In questo studio, citando TNM sarà sostituita alla parola italiana quella originale ebraica; ciò sarà indicato così: TNM*.
Dato che nèfesh nei passi esaminati negli studi precedenti che riguardano nèfesh indica nulla di più che la persona, facilmente alla parola nèfesh si può sostituire il pronome personale o il pronome riflessivo. Il passaggio a quest’uso viene spontaneo.
“Ti prego, di’ che sei mia sorella, perché io sia trattato bene a motivo tuo, e certamente la mia nèfesh vivrà grazie a te”. – Gn 12:13, TNM*.
Il parallelismo delle due frasi nel passo precedente induce a intendere “la mia nèfesh” come una variante del pronome personale “io”. Pur traducendo come sopra, che è corretto, dovrebbe tuttavia rimanere chiara la differenza presente nel testo ebraico: l’“io” viene messo in rilievo dall’espressione “la mia nèfesh” che indica il centro della persona. La stessa cosa si ha in Gn 19:19,20:
“Ti prego, ora, il tuo servitore ha trovato favore ai tuoi occhi in modo che tu magnifichi la tua amorevole benignità, che hai esercitato verso di me per conservare in vita la mia nèfesh, ma io, io non posso scampare nella regione montagnosa, affinché la calamità non mi si avvicini e io certamente muoia. Ti prego, ora, questa città è vicina per fuggirvi ed è una piccola cosa. Ti prego, che io scampi là — non è una piccola cosa? — e la mia nèfesh seguiterà a vivere”. – TNM*.
Anche nella poesia ebraica nèfesh può avere un significato corrispondente al comune pronome personale:
“Dio è il mio soccorritore; Geova [l’ebraico אֱלֹהִים (elohìm), “Dio”] è fra quelli che sostengono la mia nèfesh”. – Sl 54:4, TNM*.
Resta quindi importante per la determinazione semantica di nèfesh tenere conto di tutta la gamma di significati che sono attribuiti nella Scrittura a questa parola: da collo fino a vita e persona.
Si consideri il passo relativo alla benedizione carpita a Giacobbe con l’astuzia, che si trova in Gn 27:4:
“Fammi un piatto gustoso come piace a me e portamelo e, ah, fammi mangiare, perché la mia nèfesh ti benedica prima che io muoia”. – TNM*.
Come tradurre qui nèfesh? Anche al v. 19 si legge: “La tua nèfesh mi benedica” (TNM*). E anche al v. 25: “La mia nèfesh ti benedica” (TNM*). Come pure al v. 31: “La tua nèfesh mi benedica” (TNM*). Che senso ha qui nèfesh? Nel testo biblico non c’è assolutamente nulla che induca a pensare a chissà quale dono particolare dell’“anima”, in cui sarebbe rimasta traccia di qualche concezione magica. Molto più semplicemente si deve pensare ad un uso pronominale di nèfesh. Quest’uso riceve il suo pieno significato dal contesto. L’“anima” di Giacobbe o, per meglio dire, la nèfesh di Giacobbe non è altro che l’“io” benedicente di Giacobbe, che è ancora in vita ma che ha davanti a sé la morte. Potremmo benissimo tradurre: “Perché io ti benedica” (v. 4), “Tu mi benedica” (vv. 19 e 31), “Io ti benedica”. – V. 25.
Gb 16:4 dice:
“Io stesso potrei ben parlare come fate voi. Se solo le vostre nèfesh esistessero dov’è la mia nèfesh”. – TNM*.
Che, tradotto, vuol dire: “Parlerei anch’io come voi, se voi foste al posto mio”.
Ma c’è anche una differenza tra nèfesh e il pronome che prende il suo posto, che riguarda non il testo biblico (come abbiamo visto), ma le traduzioni. In questo caso si tratta di una differenza di espressione: l’uomo contemporaneo usa il pronome là dove l’ebreo biblico percepiva fortemente l’accezione personale.
Si veda la differenza tra una traduzione letterale che mantiene la concezione ebraica e una più moderna che rende comprensibile il termine al lettore moderno.
Passo |
TNM* |
Parola del Signore |
Es 12:15 |
“Quella nèfesh dev’essere stroncata da Israele” | “[Lui, sottinteso] verrà escluso dal popolo di Israele” |
Nm 23:10 |
“Muoia la mia nèfesh della morte dei retti” | “[Io, sottinteso] mi auguro di morire come quei giusti” |
Sl 3:2 |
“Molti dicono della mia nèfesh” | “Troppi di me vanno dicendo” |
Pr 13:4 |
“Il pigro si mostra desideroso, ma la sua nèfesh non [ha] nulla” | “Il pigro desidera molto, ma [egli, sottinteso] nulla ottiene” |
Ez 18:4 |
“La nèfesh che pecca, essa stessa morirà” | “Chi pecca morrà” |
Da tutta la casistica precedente abbiamo appurato che nèfesh indica soprattutto l’essere umano bisognoso. Ciò include il suo desiderare, la sua vulnerabilità, la sua eccitabilità emozionale. L’elemento significativo di ciò che è vitale (e che, in quanto tale, appartiene anche agli animali) ha fatto sì che nèfesh venisse a significare anche la singola persona, fino a significare – nel caso estremo – cadavere.
Il fatto che nèfesh indichi in modo particolare l’uomo bisognoso, che anela alla vita (ricondotto con lo stesso termine all’ambito degli animali), è indirettamente confermato anche dal fatto che le Scritture Ebraiche evitano di parlare di una nèfesh di Dio. In tutto il Pentateuco non si trova un solo passo che attribuisca a Dio una nèfesh nel senso di “essere bisognoso”. Quando, più tardi, soprattutto il linguaggio profetico e poetico parla della nèfesh di Dio, esso mette in risalto l’eccitazione di Dio (Gdc 10:16; Zc 11:8), la sua ira e il suo sdegno (Is 1:14; Sl 11:5; Pr 6:16; Ger 6:8;9:8;14:19), il suo amore (Ger 12:7), il suo libero desiderio (Gb 23:13; Ger 15:1;32:41; 1Sam 2:35 o il suo stesso io vivente (Am 6:8; Ger 51:14). Lo stesso concetto emotivo si ha nei rarissimi passi che nel Pentateuco attribuiscono a Dio una nèfesh. – Lv 26:11,30.
A conclusione accenniamo a questo fatto: davanti a Yhvh sorge il rivolgersi a Dio dell’essere umano con la sua nèfesh, cioè con se stesso. Dice il Sl 103:1:
“Benedici Geova [ebraico: יְהוָה (Yhvh)], o nèfesh mia, sì, ogni cosa che è dentro di me, il suo santo nome”. – TNM*.
Si noti qui il parallelismo (tanto amato dagli ebrei):
a |
Nèfesh di me benedici Yhvh |
b |
Ogni interiora di me [benedici] nome [della] santità di lui |
(Traduzione letterale dall’ebraico)
Si ha qui il passo biblico più significativo per comprendere cosa sia la nèfesh: il parallelo mostra che si tratta della totalità delle interiora (l’occidentale direbbe: tutta l’interiorità). È tutta la persona viva che loda il Dio di Israele. Tutta la persona con tutti i suoi bisogni. Con un linguaggio più occidentale potremmo dire: “Loda, vita mia, Yhvh!”.
Il riconoscimento dell’azione salvifica di Dio libera l’essere umano in un giubilo gioioso in cui esprime tutto il suo io emozionale, vivo e bisognoso, pregnante di desiderio.
Tutto ciò nasce davanti al Dio d’Israele. L’io-nèfesh vegetativo che accomuna l’essere umano agli animali rivela l’io-nèfesh-a-immagine-somiglianza-di-Dio. E riconosce se stesso davanti a Dio non solo come nèfesh nella sua miseria e nel suo bisogno, ma anche come nèfesh che si apre ad una speranza che si fa lode.
“Vado in cerca di te,
di te, mio Dio.
Di te ho sete, o Dio,
Dio vivente:
quando potrò venire
e stare alla tua presenza?”
– Sl 42:3,4, PdS.
Queste stesse identiche parole, che noi riconosciamo appartenenti al nostro modo di esprimerci, le diceva il salmista nella sua lingua e nel suo modo particolare di esprimersi (dicendo molto di più con il profondo significato delle sue parole, che le nostre non hanno pienamente):
“La mia medesima nèfesh anela a te, o Dio.
La mia nèfesh in realtà ha sete di Dio, dell’Iddio vivente.
Quando verrò e apparirò dinanzi a Dio?”
– Sl 42:1,2, TNM*.
Non c’è una sola volta, nella Scrittura, un caso in cui si possa tradurre nèfesh con “anima”. I traduttori che scelgono “anima” per rendere nèfesh fanno davvero una scelta dissennata.