Per la Bibbia molto più importante della “testa” è il “volto dell’uomo”, che viene sempre indicato con il termine plurale פנים (panìm). Questa parola appare nella Bibbia almeno 2100 volte. La parola panìm si riferisce alle molteplici connessioni che la persona ha con ciò che le sta di fronte.

   I lineamenti di un uomo rispecchiano i suoi sentimenti. Per fare un esempio: “[Dio] non guardò con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, e il suo viso [פָּנָיו (panàyu)] era abbattuto” (Gn 4:5). L’aspetto esteriore di una persona può già costituire un elemento che parla al suo interlocutore; per esempio: “Giacobbe osservò pure il volto [פְּנֵי (penè)] di Labano e vide che non era più, verso di lui, quello di prima”, “Io vedo che il volto [פְּנֵי (penè)]  di vostro padre non è più, verso di me, quello di prima”. – Gn 31:2,5.

   Il volto è considerato quella parte della persona che si rivolge verso gli altri.

   Nel “volto”, panìm, sono riuniti tutti quegli organi con i quali si compie la comunicazione. Tra questi sono da ricordare gli occhi, la bocca e gli orecchi. In queste fattezze si riconosce l’essenza umana che distingue la persona dalle altre creature.

1. – Vedere e udire.

   Esaminiamo alcuni testi biblici per osservare quale sia il tipo di comunicazione caratteristica dell’uomo che in essi emerge. Fra i canti di lamento si trova nel Sl 38 il grido d’angoscia di un uomo che vede avvicinarsi la sua fine. Fra i molti sintomi della sua malattia appare quello dell’indebolimento della vista: “La luce dei miei occhi m’è venuta meno” (v. 10). Ma nel punto culminante del lamento noi leggiamo:

“Io mi comporto come un sordo che non ode,

come un muto che non apre bocca.

Sono come un uomo che non ascolta,

nella cui bocca non ci sono parole per replicare”. – Vv. 13,14.

   Il sofferente, che qui sta diventando sordo, teme per il suo stesso essere uomo. Gli orecchi e l’udito costituiscono l’uomo in quanto tale: in modo corrispondente la bocca e il rispondere.

   Da un tutt’altro punto di vista la letteratura sapienziale attribuisce alla capacità di udire la radice di un autentico essere uomo: “Chi rifiuta l’istruzione disprezza sé stesso, ma chi dà retta alla riprensione acquista senno” (Pr 15:32). E per Pr 18:21 “morte e vita sono in potere della lingua”.

   Dato che la vita umana è una vita razionale, l’orecchio atto ad udire e la lingua bene orientata costituiscono gli organi essenziali della persona. Per questo l’invito “ascolta, Israele” – il famoso שְׁמַע יִשְׂרָאֵל (shemà, Israèl) – (Dt 6:3), che ha un’importanza centrale nel Deuteronomio, raccoglie l’antichissimo richiamo alla parola di Dio che fonda e rinnova in modo essenziale la vita umana. La bocca e gli orecchi non sono solo lo strumento di scambio fra persone, ma anche l’intercomunicazione tra Dio e Israele, tra l’umanità e Dio.

   Così il servo di Yhvh in Is 50:4,5 può essere considerato il vero modello dell’umanità:

“Il Signore, Dio, mi ha dato una lingua pronta,

perché io sappia aiutare con la parola chi è stanco.

Egli risveglia, ogni mattina, risveglia il mio orecchio,

perché io ascolti, come ascoltano i discepoli.

Il Signore, Dio, mi ha aperto l’orecchio

e io non sono stato ribelle,

non mi sono tirato indietro”.

   Non di rado l’occhio viene posto accanto all’orecchio: “L’orecchio che ascolta e l’occhio che vede, li ha fatti entrambi il Signore” (Pr 20:12). Anche per la percezione delle azioni di Dio giova sia il vedere che l’udire. “Vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi” (Es 14:13). “Voi avete visto tutto quello che il Signore ha fatto sotto i vostri occhi . . .  i tuoi occhi hanno visto . . . ma, fino a questo giorno, il Signore non vi ha dato un cuore per comprendere, né occhi per vedere, né orecchi per udire” (Dt 29:1-3). “Fa’ uscire il popolo cieco che ha occhi, e i sordi che hanno orecchi!” – Is 43:8.

   Anche l’apertura degli occhi avviene attraverso la parola: “Io ho annunziato, salvato, predetto, e non un dio straniero in mezzo a voi; voi me ne siete testimoni, dice il Signore; io sono Dio” (Is 43:12). Dio ha parlato (“annunciato”, “predetto”) e Israele ha visto: “Voi me ne siete testimoni, dice il Signore”. Si potrebbe dire: testimoni oculari.

   Si deve quindi ammettere una prevalenza dell’udito e del linguaggio sulle altre capacità comunicative, se vi vuole avere un’autentica comprensione dell’essere umano.

2. – L’orecchio.

   L’orecchio viene ornato volentieri con gioielli (Gn 35:4; Es 32:2,3; Ez 16:12). Ma l’orecchio ha anche a che fare con un atto giuridico che decide dell’appartenenza di una persona per tutta la sua vita. Quando uno schiavo ama il suo padrone al punto che vuole rimanere con lui per sempre anziché godere della libertà che gli spetta dopo sei anni, “allora il suo padrone lo farà comparire davanti a Dio, lo farà accostare alla porta o allo stipite; poi il suo padrone gli forerà l’orecchio con una lesina ed egli lo servirà per sempre”. – Es 21:6.

   In Gb 4:12-15 Elifaz ci fa comprendere in che modo l’orecchio possa mobilitare una persona. L’udire va qui a scuotere nel suo complesso tutta la persona, anche fisicamente. L’udito determina la totalità del comportamento umano. “Udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il Signore fra gli alberi del giardino. Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: ‘Dove sei?’. Egli rispose: ‘Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto’”. – Gn 3:8-10.

   Data l’importanza dell’ascolto, questo costituisce una caratteristica fondamentale della sapienza. Salomone, il grande sapiente, ritenne più importante chiedere a Dio una mente disponibile all’ascolto che non lunga vita, ricchezze e successi. Le traduzioni bibliche non sanno cogliere quest’aspetto fondamentale. NR lo passa sotto silenzio, dicendo che Salomone chiese semplicemente “un cuore intelligente” (1Re 3:9), che diventa “un cuore docile” per CEI. Diodati si avvicina un po’ all’ebraico, traducendo “un cuore intendente”, ma Nuova Diodati corregge il tiro e ritorna a “un cuore intelligente”, come Luzzi. Per TNM si tratta di “un cuore ubbidiente”. Ma Salomone chiede a Dio ben altro. Salomone chiede unלֵב שֹׁמֵעַ  (lev shomèa), “un cuore che ascolta”.

   Shemà (“ascolta”) è la parola che ancora oggi ogni ebreo devoto recita due volte al giorno. Shemà. È l’invito divino che si trova nella più grande preghiera di Israele. Di solito è l’uomo che prega Dio, ma nella Bibbia è Dio che si rivolge all’uomo: “Shemà, Israèl”, “Ascolta, Israele” (Dt 6:3). Salomone chiede a Dio un cuore ovvero, tradotto in occidentale, una mente che sappia ascoltare.

   Il parlare non può e non deve precedere l’ascolto. “Chi risponde prima di avere ascoltato, mostra la sua follia”. – Pr 18:13.

   L’essere umano non si riconosce in maniera autentica in uno specchio che riflette la sua immagine, ma piuttosto nella chiamata che lo interpella. Dio interpella ancora l’uomo di oggi come interpellò Adamo: “Dove sei?” (Gn 3:9). La persona autentica si riconosce nella parola che riceve da Dio. “Se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato ma uno che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare” (Gc 1:23-25). “Se uno volge altrove gli orecchi per non udire la legge, la sua stessa preghiera è un abominio”. – Pr 28:9.

   La persona autentica riconosce ciò che il salmista ispirato aveva già compreso: “Tu non gradisci né sacrificio né offerta; m’hai aperto gli orecchi”. – Sl 40:6.

   “[Dio ha voluto] insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”. – Dt 8:3; cfr Mt 4:4.

   Sarà una delle caratteristiche della liberazione e della salvezza finale il fatto che gli orecchi dei sordi saranno aperti. – Is 35:5.

3. – La bocca.

   La parola udita attende una risposta. Israele dimostra di essere il popolo di Dio nella misura in cui si manifesta disponibile all’ascolto della parola divina (Es 19:7,8;24:3,7). Israele viene sottoposto al giudizio quando alla chiamata non segue alcuna risposta. – Is 65:12.

   La Bibbia riconosce nella capacità di parlare un privilegio dell’essere umano (Gn 2:18-23); ciò è dovuto alla premura di Dio. Con la parola – che è risposta ad un dono più grande – l’essere umano diventa veramente se stesso. Se la sua vita è davvero riuscita, la persona trova la sua pace nella Legge di Dio e, meditandola, si rispecchia in essa: “Beato l’uomo . . . il cui diletto è nella legge del Signore” (Sl 1:1,2). “Chi esamina attentamente e osserva con fedeltà la legge perfetta di Dio, la quale ci porta a libertà . . . sarà beato in tutto quel che fa”. – Gc 1:25, PdS.

   La bocca – che esprime in linguaggio ciò che gli orecchi e gli occhi hanno sperimentato – caratterizza l’essere umano in confronto a tutte le altre creature. Anche l’animale ha orecchie e occhi. Ma solo nel linguaggio emerge il fatto che quelli dell’uomo sono orecchi e occhi umani. L’apprendimento di una lingua è una capacità legata all’uomo. Nessun altro essere è in grado di apprendere e di parlare una lingua.

   La Bibbia conosce una sola parola per indicare gli occhi: עינים (eynàym), e una sola per indicare gli orecchi: אָזְנַיִם (asnàym). Esiste però tutta una serie di organi che vengono riconosciuti atti al linguaggio.

   Anzitutto la “bocca”: פה (peh), con la quale l’uomo anche mangia e degusta: “Mi disse: ‘Figlio d’uomo, nùtriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do’. Io lo mangiai, e in bocca [פה (peh)] mi fu dolce come del miele” (Ez 3:3). Ma con la bocca soprattutto l’uomo parla. A Mosè che accampa motivazioni per non parlare al faraone, Dio – indicandogli Aaronne – gli dice: “Ti servirà da bocca [פה (peh)]” (Es 4:16). Aaronne divenne il portavoce di Mosè. Allo stesso modo i profeti divengono portavoce di Dio. “La bocca del Signore ha parlato” dice Isaia in Is 1:20. In Ger 9:10 il profeta si lamenta per le condizioni in cui versa la nazione, poi – di punto in bianco, senza introduzione – al v. 11 prorompe: “Io ridurrò Gerusalemme in un mucchio di macerie, in un covo di sciacalli; e farò delle città di Giuda una desolazione senza abitanti”. È chiaro che qui parla ancora il profeta, ma è altrettanto chiaro che non parla a nome suo: non è lui che distruggerà la città santa. Al versetto successivo egli continua: “Chi è il saggio che capisca queste cose? A chi ha parlato la bocca del Signore perché egli ne dia notizia?” (v. 12). Il virgolettato di TNM crea confusione, attribuendo a Dio parole che sono di Geremia. Comunque, il profeta fu la bocca di Dio. Il concetto è chiaro in Os 6:5, dove troviamo il parallelismo tra la bocca di Dio e i profeti: “Li faccio a pezzi mediante i profeti, li uccido con le parole della mia bocca”.

   Abbiamo poi la parola שפה (sefà), “labbro”, che al plurale שפתים (sefatìm) indica le “labbra”: “Ti ha toccato le labbra (sefatìm)” (Is 6:7, TNM). Questa parola può essere usata anche per significare il linguaggio in quanto tale. Il “parleranno la lingua di Canaan” di TNM in Is 19:18 è nell’ebraico “parlanti labbro [שפה (sefà)] di Canaan”.

   La stessa cosa accade per לְשֹׁון (leshòn), “lingua”. Come organo del corpo può essere attaccata al palato per la sete: “La lingua [לְשֹׁון (leshòn)] del lattante si è attaccata al palato a causa della sete” (Lam 4:4, TNM). Ma può indicare l’idioma, la lingua parlata: “Uomini di tutte le lingue [לְשֹׁנֹות (leshonòt)] delle nazioni”. – Zc 8:23.

   Anche il “palato” (חך, khèk) non è soltanto l’organo del gusto, ma anche uno strumento del linguaggio. “Oh, come sono dolci le tue parole al mio palato [חך (khèk)]! Son più dolci del miele alla mia bocca” (Sl 119:103). “Non permisi al mio palato [חך (khèk)] di peccare chiedendo un giuramento contro la sua anima” (Gb 31:30, TNM), “La mia lingua col mio palato [חך khèk)] deve parlare”. – Gb 33:2, TNM.

   Infine anche la “gola” (גרון, garòn) ha la funzione di linguaggio. Con la gola si beve: “[Trattieni] la tua gola [גרון (garòn)] dalla sete” (Ger 2:25, TNM). Ma con la gola anche si parla: “Chiama a piena gola” (Is 58:1), “Mi sono affaticato a chiamare; la mia gola [גרון (garòn)] è divenuta rauca” (Sl 69:3, TNM), “Siano nella loro gola [גרון (garòn)]  i canti che esaltano Dio”. – Sl 149:6, TNM.

   Nessuna attività umana annovera nella Bibbia un numero così grande di organi atti al suo funzionamento. D’altra parte, di nessun’altra parte del corpo vengono ricordate tante funzioni ed attività come della bocca umana con la lingua, le labbra, il palato e la gola intesi come organi del linguaggio. Tali funzioni ed attività sono: parlare (√dbr), dire (√mr), chiamare (√qr), ordinare (√svb), insegnare (√lmd), istruire (√yrh), rimproverare (√ykch), accusare (√rib), giurare (√shb), benedire (√brk), bestemmiare (√rr), maledire (√pll), cantare (√shyr), vantare (√hll), giubilare (√rnn), confessare (√ydh), pregare (√pll), gridare e lamentarsi (√zq, √sq, √spd), mormorare (√hgh) e molte altre.

   La maggior parte di queste attività non vengono attribuite ad altre creature. Dovrebbe quindi risultare chiaro che con la facoltà di parlare noi ci siamo avvicinati in maniera speciale a quella che è l’essenza dell’essere umano. Nella capacità di parlare è data la condizione decisiva per la realizzazione dell’umanità stessa della persona.

4. – Il linguaggio.

   Se poi la condizione autenticamente umana si realizzi dipende dall’uso corretto della parola.

“Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo”. – Gc 3:2.

   Che cosa intende la Bibbia per una parola giusta? Innanzitutto una parola che nasce dall’ascolto. “Chi risponde prima di avere ascoltato, mostra la sua follia” (Pr 18:13). “Ascolta il consiglio e ricevi l’istruzione, affinché tu diventi saggio per il resto della vita” (Pr 19:20). “Chi rifiuta l’istruzione disprezza sé stesso, ma chi dà retta alla riprensione acquista senno”. – Pr 15:32.

   Esiste una parola al tempo giusto: “Le parole dette a tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato”. –  Pr 25:11.

   La parola va attentamente meditata: “Hai mai visto un uomo precipitoso nel parlare? C’è più da sperare da uno stolto che da lui”. – Pr 29:20.

   La parola deve essere misurata e pacifica: “Chi è lento all’ira piega un principe, e la lingua dolce spezza le ossa”. – Pr 25:15.

   Infine, la parola giusta giova – come ogni operare sapiente – al timore di Dio. “Il timore del Signore è il principio della scienza; gli stolti disprezzano la saggezza e l’istruzione!” (Pr 1:7). “Il principio della saggezza è il timore del Signore, e conoscere il Santo è l’intelligenza” (Pr 9:10). “Il timore del Signore è scuola di saggezza; e l’umiltà precede la gloria”. – Pr 15:33.

   Sulle labbra di una persona perversa c’è come un fuoco acceso: “L’uomo cattivo va scavando il male ad altri; sulle sue labbra c’è come un fuoco consumante” (Pr 16:27). Ma tra la parola progettata segretamente dall’astuzia umana e quella che poi viene detta dalle labbra, tra queste è in opera Dio: “All’uomo spettano i disegni del cuore; ma la risposta della lingua viene dal Signore”. – Pr 16:1.

   Così la persona che non vuole perdere la sua stessa identità e la sua natura in atteggiamenti di autoesaltazione o d’indolenza, rimane ancorato a Dio che in Israele ha cominciato a parlare con l’umanità nel linguaggio degli uomini.