Per descrivere più a fondo il fenomeno dell’ispirazione, i cosiddetti padri della chiesa ricorsero alle esperienze religiose del loro tempo, come al caso della Sibilla (da essa proverrebbero i libri sibillini così tanto stimati dagli antichi “cristiani”, da ritenerli talora ispirati) che prima di profetizzare, presa da convulsioni, rotolava al suolo, finché invasata da Dio (en-theòs) pronunciava i suoi oracoli. Talora l’estasi divina si procurava artificialmente con musica, danze, liquori (qualcosa di simile si ha oggi con l’uso degli psichedelici che producono una specie di estasi mistica. – Cfr. H. Bacht, Wahres und falsches Prophetentum, in Biblica 32 (1951) pagg. 237-262 (specialmente pagg. 240-251); Platone, Fedra 22 ; Menone 41; Ione 5,6; Cicerone, De divinatione 1,31; Virgilio, Eneide 6,15 e segg.; Luciano, Farsalia 5, 166.
Anche i profeti, secondo Atenagora (2° secolo), avrebbero parlato “in estasi” (PG 6, 908), ossia in uno stato simile al sonno (Epifanio, Haer. 48 PG 41,861), poiché l’estasi, che è essenziale alla profezia, sospende l’esercizio della ragione (così Tertulliano – del 2°-3° secolo -, che subì l’influsso del movimento montanista; cfr. Adv. Marc. 4,22;5,8;a.208). Questa idea poggia su Lc 9:32,33 dove si dice che Pietro durante la trasfigurazione parlò, senza sapere quel che dicesse: “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva”. – Cfr. De Anima 11:21,40.
Montano (metà del 2° secolo), partendo dal paragone della lira fatta vibrare dal plettro, concludeva erroneamente che l’uomo agisse inconsciamente sotto l’azione dello spirito santo, come accadeva ai sacerdoti della dea Cibele di cui Montano era stato membro prima di convertirsi alla fede in Yeshùa. Questi devoti di Cibele, entrando in una specie di furore sacro, giungevano persino a evirarsi per consacrare se stessi alla dea. Secondo i montanisti, anche gli autori ispirati agivano inconsciamente, allo stesso modo con cui, durante le estasi, si comportavano le montaniste Prisca e Massimilla del 2° secolo. Al contrario, l’azione dello spirito santo non può appartenere all’ordine della violenza fisica e il pensiero di Montano non corrisponde affatto alla presentazione biblica dell’ispirazione profetica. È bensì vero che al principio del movimento profetico alcuni membri delle cosiddette “scuole profetiche” (i biblici “figli dei profeti”) cercarono di procurarsi artificialmente tale stato estatico (Enc. Bibl. 57, Muñoz Iglesias, pagg. 179-181. Quest’affermazione ripeteva la precedente del Concilio di Firenze del 1441: “I santi dell’uno e dell’altro Testamento hanno parlato per ispirazione del medesimo Spirito Santo” – Enc. Bibl. 40-49; Muñoz Iglesias, pag. 173 e sgg..
“Incontrerai un gruppo di profeti che scenderanno dall’altura preceduti da arpe, timpani, flauti e cetre, in atto di fare i profeti. Lo spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta insieme con loro e sarai trasformato in un altro uomo” (1Sam 10:5,6); “Lo spirito di Dio investì i messaggeri di Saul e anch’essi fecero i profeti”, “Saul mandò di nuovo messaggeri per la terza volta, ma anch’essi fecero i profeti”, “Cadde anche su di lui lo spirito di Dio e andava avanti facendo il profeta”, “Egli si tolse gli abiti e continuò a fare il profeta” (1Sam 19:20,21,23,24); “[Davide] cominciò a fare il pazzo ai loro occhi, a fare il folle”. – 1Sam 21:14.
Tuttavia, i profeti principali che ci lasciarono degli scritti erano contrari a tale metodo e guardarono con disprezzo ai membri di tali gruppi di esaltati. “Amos rispose ad Amasia: «Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori»”. – Am 7:14.
Paolo affermava con chiarezza che “le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti” (1Cor 14:32), il che significa che essi conservano la piena libertà d’azione.
Il periodo scolastico
I teologi di questo periodo esaltano il valore della Scrittura con molteplici paragoni: essa è un bosco, un oceano, un banchetto che si estende a tutto.
Bonaventura (13° secolo) ne richiama i vari sensi e ne trae il succo, non solo dalle parole, ma anche dai fatti: “Siccome Dio non parla soltanto con parole, ma anche con fatti, perché il suo dire è fare e il suo fare è dire, e tutte le creature come effetti di Dio richiamano la loro causa, appunto perciò nella Scrittura, trasmessaci per volere di Dio, non devono avere significato solo le parole, ma anche i fatti. Siccome era lo Spirito Santo a illuminare e a rivelare (delle realtà) nei cuori dei profeti in diversi modi, ne viene che a lui non è nascosta alcuna intelligenza; lui poi era stato inviato per rivelare tutta la verità e perciò spetta al suo insegnamento racchiudere in un solo discorso una molteplicità di sensi”. – Bonaventura, Breviloquium e Ad Claras Aquas V, 202-206; Schöckel, La parola ispirata pag. 24 e sgg..
Oggi questa molteplicità di sensi non è più gradita poiché gli esegeti vanno alla ricerca del senso letterale; si accetta tuttavia – come vedremo – la possibilità di una rilettura da parte degli scrittori sacri di brani più antichi ai quali attribuiscono un senso adeguato alla situazione a loro contemporanea. Così facevano gli esseni di Qumràn quando, commentando Abacuc, vi scoprivano gli eventi della loro comunità. Così fecero gli apostoli quando nei passi messianici delle Scritture Ebraiche o nei passi che si riferivano direttamente al re davidico, videro profezie riguardanti Yeshùa (senso tipico).
Il dottore che più degli altri cercò di analizzare il processo dell’ispirazione biblica fu nel 13° secolo Tommaso d’Aquino, la cui soluzione è tuttora accolta e seguita dai cattolici. Egli distingue fra autore principale e autore secondario della Sacra Scrittura: “Autore principale di essa è lo Spirito Santo . . . l’uomo ne fu invece l’autore strumentale” (Tommaso d’Aquino, Quodlibeta VII, q 6 a 14 ad 5). Questo punto di vista è certamente condivisibile. È scritturale: “Degli uomini parlarono da parte di Dio mentre erano sospinti dallo spirito santo” (2Pt 1:21, TNM). Anche i Testimoni di Geova accettano questa idea dell’Aquinate, anche se la espongono in maniera un po’ rozza: “Questo significa che la Bibbia ha un unico autore, Geova Dio. Egli usò uomini per scrivere le informazioni, come un uomo d’affari può far scrivere una lettera alla segretaria. La segretaria scrive la lettera, ma la lettera contiene i pensieri e le idee del datore di lavoro. Perciò la lettera è sua, non della segretaria, come la Bibbia è il Libro di Dio, non il libro degli uomini che furono impiegati per scriverla”. – Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca, pagg. 48,49, § 8.
Lo strumento ha la sua propria funzionalità che però è elevata dall’artista ad ottenere un effetto superiore. Lo scalpello taglia in un determinato modo, ma l’artista se ne serve per tagliare la pietra in modo tale da formare una statua. L’artista ne è quindi l’autore principale, lo scalpello la causa strumentale (l’importanza dello strumento è tuttavia comprensibile a chiunque pensi all’effetto di un pianoforte scordato, rovinato oppure in ottime condizioni). “La causa principale si serve dell’azione svolta dallo strumento per suo potere naturale in modo da elevare questo suo potere perché consegua un effetto superiore. In tal caso lo strumento ottiene con la sua azione un effetto a esso connaturale, ma nello stesso tempo ne ottiene un altro superiore, così come la scure scindendo il legno con il suo taglio gli fa raggiungere strumentalmente la forma di uno sgabello”. – Tommaso D’Aquino, IV Sent. Dist. 1 a 4 sol 1.
Duplice è l’azione dello strumento: “Una, strumentale, per la quale agisce non per virtù propria, ma in virtù dell’agente principale; l’altra, che le è connaturale, gli compete secondo la sua natura. Così la scure, tagliando il legno secondo la propria acutezza, lo taglia in forma di letto come strumento dell’artigiano. Questa azione strumentale tuttavia non è svolta se non attraverso la sua azione propria. Infatti, è tagliando il legno che la scure fa il letto”. – Tommaso D’Aquino, Summa Theologica III q.62 a. 1 ad 2.
Lo strumento è quindi un prolungamento dell’uomo: la penna del dito, la spada e il coltello dell’unghia affilata, il martello è un pugno di metallo. Eppure senza il movimento che le membra dell’uomo gli danno, lo strumento è incapace di eseguire l’azione per la quale è adoperato. Chi è che scrive: la penna o l’uomo? Entrambi. Non si può dire: le parole che appaiono sulla carta sono dell’uomo e l’inchiostro della penna. Sono tutt’e due. Oppure, per usare un paragone vivo, il solco è tracciato tanto dall’uomo che dal bue che tira l’aratro. Il bue non può arare se la sua forza non viene applicata al lavoro dall’uomo e l’uomo non può tirare l’aratro con le sue sole forze. Dio non può produrre un libro umano, né l’uomo da solo può produrre un libro divino.